IVA: prova della cessione intracomunitaria “a maglie larghe”

30 Maggio 2022

In assenza di una norma che imponga in maniera tassativa e vincolante quali documenti bisogna produrre per dimostrare l'avvenuto trasferimento dei beni in altro Paese dell'Unione Europea, l'onere della prova gravante sul contribuente può ritenersi soddisfatto da un insieme di elementi complessivamente considerati e valutati secondo criteri di logica e ragionevolezza (inter alias: fatture formalmente regolari, esatta individuazione dei codici VAT, compilazione coerente dei modelli lntra, prova dei pagamenti, dichiarazione degli eredi del destinatario, attestazione del ricevimento da parte del destinatario straniero).
Massima

In assenza di una norma che imponga in maniera tassativa e vincolante quali documenti bisogna produrre per dimostrare l'avvenuto trasferimento dei beni in altro Paese dell'Unione Europea, l'onere della prova gravante sul contribuente può ritenersi soddisfatto da un insieme di elementi complessivamente considerati e valutati secondo criteri di logica e ragionevolezza (inter alias: fatture formalmente regolari, esatta individuazione dei codici VAT, compilazione coerente dei modelli lntra, prova dei pagamenti, dichiarazione degli eredi del destinatario, attestazione del ricevimento da parte del destinatario straniero).

Il caso

La controversia concerneva un avviso di accertamento relativo al recupero IVA su fatture emesse dal contribuente in esenzione ex art. 41 d.l. n. 331/1993.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso considerando provata dalla parte privata l'avvenuta consegna della merce attraverso una dichiarazione degli eredi dell'acquirente, per alcune delle fatture contestate, e, per altre, dall'attestazione di ricevimento della merce.

L'Ufficio proponeva appello censurando l'errata interpretazione da parte della Ctp della normativa in materia di cessione intracomunitarie.

La questione

Secondo l'Amministrazione, mancava la prova del trasporto e/o spedizione della merce nel territorio di un altro Stato membro. Da questo punto di vista, l'Ufficio rammentava come il presupposto per emettere fatture in esenzione sia che l'operazione commerciale costituisca una cessione intracomunitaria riscontrabile al ricorrere di determinati requisiti:

  • onerosità della prestazione avente ad oggetto bene mobile materiale;
  • status di operatore economico dell'acquirente comunitario;
  • trasporto e/o spedizione nel territorio di altro Stato membro;
  • comunicazione da parte del cessionario comunitario del proprio codice identificativo VAT abilitato alle operazioni intracomunitarie.
La soluzione giuridica

I giudici “del riesame” ritengono infondato l'appello dell'Agenzia delle Entrate.

Preliminarmente, la CTR ricorda l'insegnamento della Corte di Giustizia UE (ex multis, causa C-146/05 Collée) secondo cui il trasporto/spedizione in altro Stato membro è presupposto essenziale della cessione intracomunitaria perché è quello che realizza il requisito di territorialità necessario per l'applicazione dell'imposta nel Paese in cui è stabilito il cessionario secondo il principio di tassazione a destinazione.

Fatta questa premessa, il Collegio considera punto decisivo della controversia non l'individuazione della normativa rilevante ovvero l'interpretazione di detta normativa, quanto piuttosto una valutazione dei fatti su un piano squisitamente probatorio, nel senso che, secondo l'Ufficio, mancava la prova dell'avvenuto trasporto e/o spedizione della merce fuori dal territorio dello Stato, per la parte privata, invece, tale prova era stata ampiamente fornita, nei limiti in cui il contribuente poteva essere gravato da un onere in questo senso, che non risultasse spropositato o inesigibile. Sul piano probatorio, pertanto, i giudici ritengono opportuno richiamare e sintetizzare il quadro normativo primario e secondario di riferimento; in particolare, la Direttiva 2006/112/CE non ha dato indicazioni precise riguardo i mezzi di prova necessari a provare l'uscita dei beni dallo Stato del cedente e l'entrata nello Stato del cessionario e la Corte di Giustizia, dopo avere ribadito che l'onere della prova è a carico del contribuente che vuole fruire della esenzione , ha ribadito che “ciascuno Stato membro deve individuare, nel rispetto delle libertà fondamentali, la documentazione idonea allo scopo, per consentire il corretto funzionamento del meccanismo di neutralità dell'imposta senza gravare i contribuenti di oneri probatori spropositati”.

In tale contesto, la prassi citata dall'Amministrazione avrebbe chiarito che la mera fattura e la registrazione della operazione nell'elenco riepilogativo delle cessioni intracomunitarie non sono prove sufficienti a dimostrare lo spostamento della merce, servendo altra documentazione non fiscale; ancora, la Risoluzione n. 345/E del 28 novembre 2007 ha fatto riferimento al documento di trasporto (CMR firmata dal trasportatore per presa in carico della merce e dal destinatario per ricevuta della merce), o documentazione bancaria attestante il pagamento del corrispettivo; inoltre, le Risoluzioni n. 19/E del 25 marzo 2013 e n. 71/E del 24 luglio 2014 hanno ritenuto rilevanti anche la CMR elettronica e le informazioni tratte dal sistema informatizzato del vettore; di recente, la circolare n. 12 del 12 maggio 2020 esplicativa dell'art. 45-bis del Regolamento UE di esecuzione n. 282/2011 applicabile dal 01 gennaio 2020 (Regolamento IVA che, secondo l'Ufficio, pur introducendo una vera e propria presunzione relativa in ordine alla prova di avvenuta consegna, sembrerebbe qualificare le dichiarazioni di parte come elementi insufficienti allo scopo).

In pratica, puntualizzano i giudici, per garantire una applicazione armonizzata della non imponibilità prevista per le cessioni intracomunitarie e per migliorare gli scambi commerciali, è stata introdotta una presunzione relativa di avvenuto trasporto di beni in ambito comunitario che richiede, relativamente alla fattispecie in cui i beni sono trasportati dall'acquirente o da un terzo per suo conto (come nel caso di specie), che l'acquirente entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione rilasci al venditore una dichiarazione scritta da cui risultino la date del rilascio, nome e indirizzo dell'acquirente, quantità e natura dei beni ceduti, data e luogo di arrivo della merce, identificazione della persona che ha accettato i beni per conto dell'acquirente, numero di identificazione del mezzo di trasporto. Se la trasmissione di tale dichiarazione avviene oltre il decimo giorno del mese successivo, purché sussistano gli altri requisiti, non è preclusa comunque al venditore la fruizione del regime di esenzione se il venditore ha almeno due dei documenti relativi al trasporto delle merci (ad es. CMR firmata dal trasportatore, polizza di carico, fattura di trasporto aereo, fattura emessa dallo spedizioniere), o un documento di trasporto e un altro documento che provi il movimento della merce (ad es. polizza assicurativa relativa alla spedizione, prova del pagamento delle spedizione, documenti pubblici di ingresso nell'altro Stato).

Tali disposizioni valgono anche per le operazioni realizzate prima del 1° gennaio 2020 (come indicato anche dalla suddetta circolare). Nel caso in esame, però, chiosa il Collegio, difettano i requisiti per potere ritenere applicabile la presunzione di cui al nuovo art. 45-bis del sopracitato Regolamento UE.

Osservazioni

Dal sopra delineato quadro normativo e regolamentare, emerge come manchi una norma che imponga in maniera tassativa e vincolante quali documenti bisogna produrre per provare l'avvenuto trasferimento dei beni e di fatto, pur gravando tale onere probatorio in capo al contribuente che pretende di fruire di una esenzione, le prove offerte in tale direzione rimangono liberamente apprezzabili dal giudice. Proprio da tale punto di vista, la Commissione rileva come il contribuente avesse offerto in prova i documenti che aveva avuto la possibilità di reperire e che aveva nella sua disponibilità: per alcune fatture, a parte la corretta formalizzazione delle stesse con l'indicazione del codice identificativo VAT del destinatario, vi era la documentazione bancaria attestante il pagamento e una dichiarazione degli eredi del destinatario che confermano l'avvenuta ricezione della merce; per altre, copia delle stesse con attestazione di ricevimento.

Considerato, altresì, che il trasporto era avvenuto a cura dell'acquirente che aveva prelevato (o fatto prelevare da terzi per suo conto) la merce presso la fabbrica, evidentemente, concludono la motivazione i giudici, il contribuente non poteva oggettivamente (e non per causa a lui imputabile) essere in possesso di documenti di trasporto che non aveva mai curato in proprio. Non è, pertanto, la presenza delle sole dichiarazioni (di parte) degli eredi del destinatario che consente di ritenere provato l'avvenuto trasporto della merce fuori dal territorio dello Stato, ma l'insieme degli elementi complessivamente considerati e valutati secondo criteri di logica e ragionevolezza (fatture formalmente regolari, esatta individuazione dei codici VAT, compilazione coerente dei modelli lntra, prova dei pagamenti, in alcuni casi la dichiarazione degli eredi del destinatario, in altri casi la fattura con l'attestazione del ricevimento da parte del destinatario straniero).

*In linea di principio con quanto affermato nella sentenza qui commentata, si ricorda anche altra sentenza della stessa CTR Lombardia n. 1544 dell'8 luglio 2020 in cui, pur ribadendo che l'onere della prova grava sul contribuente, esso può essere integrato attraverso fatture di vendita, bolle di consegna, documenti vettoriali di trasporto, conferme di avvenuta esportazione e dichiarazioni vettoriali di uscita delle merci dallo stato.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.