Riforma processo civile: i professionisti delegati nell'espropriazione immobiliare
01 Giugno 2022
Premessa
Come noto, la maggiore efficienza (ovviamente in termini relativi rispetto alla situazione precedente) dalle procedure esecutive immobiliari nell'ultimo ventennio si deve, oltre all'incessante attività dei giudici dell'esecuzione nell'elaborazione di buone prassi non di rado poi recepite dal legislatore, dal fondamentale ausilio per l'intero ufficio esecutivo costituito dalla possibilità per il giudice di delegare le operazioni di vendita ai professionisti di cui all'art. 591-bis c.p.c., ovvero gli avvocati, i commercialisti e i notai. Il cammino sinora percorso ha mostrato che la strada prefigurata sin dal 1998 ha dato risultati positivi, risultati che, tuttavia, potranno essere conservati e incrementati solo se accompagnati da una crescente specializzazione dei professionisti delegati - cui sono ormai demandati adempimenti che implicano una particolare cognizione tecnica, formazione ed esperienza nel settore – e da un “dialogo costruttivo” tra gli stessi e i giudici delle esecuzioni. Questa sembra la direzione che cercano di delineare i criteri di delega, peraltro già molto dettagliati, contenuti nel dodicesimo comma dell'art. 1 della l. 206/2021, specificamente dedicati ai professionisti delegati. La prima parte della lettera 1) del criterio di delega enunciato dall'art. 1, comma 12, della l. 206/2021 prevede che «la delega delle operazioni di vendita nell'espropriazione immobiliare abbia durata annuale, con incarico rinnovabile da parte del giudice dell'esecuzione, e che in tale periodo il professionista delegato debba svolgere almeno tre esperimenti di vendita con l'obbligo di una tempestiva relazione al giudice sull'esito di ciascuno di essi». Pertanto, il Governo, in un'attività a “rime obbligate”, dovrà limitare ad un anno (rinnovabile) la durata della delega, nel corso della quale il professionista sarà onerato dell'espletamento di almeno tre tentativi di vendita e di relazionare al giudice dell'esecuzione circa l'esito di ciascuno di essi. La ratio – volendo utilizzare un'espressione colloquiale, è evitare che i delegati «dimentichino» le procedure assegnate - non effettuando tentativi di vendita ravvicinati e così rallentando la definizione delle procedure esecutive immobiliari. Riteniamo che, peraltro, e ciò anche qualora il legislatore delegato rimanesse silente sul punto, in tutte le ipotesi in cui lo svolgimento ravvicinato dei tentativi di vendita possa determinare un ribasso eccessivo del prezzo - ad esempio per una particolare situazione contingente riguardante lo stato o l'ubicazione del cespite pignorato ovvero il contesto di mercato - il professionista delegato potrà, mediante un'istanza al giudice dell'esecuzione, comunque chiedere l'autorizzazione a differirne il compimento nonché, nelle ipotesi in cui l'opportunità della “stasi” nella fase di liquidazione si prospetti più lunga, sollecitarlo a porre il bene in amministrazione straordinaria ex art. 590 c.p.c. L'obiettivo di una procedura esecutiva immobiliare, invero, non è solo la ragionevole durata ma anche la vendita dei beni ad un prezzo congruo. Inoltre, al fine di evitare che tale novità comporti - in una sorta di “eterogenesi dei fini” - un aggravio nelle attività demandate al giudice dell'esecuzione, sarebbe auspicabile che nel decreto attuativo si preveda che il rinnovo, al termine di ciascun anno, della delega delle operazioni di vendita possa essere disposto con decreto, ossia senza la necessità di fissare a tal fine un'udienza nel contraddittorio tra le parti. La seconda parte del criterio di delega enunciato dalla stessa lettera i) dell'art. 1, dodicesimo comma, della l. 206/2021, demanda inoltre al Governo di «prevedere che il giudice dell'esecuzione debba esercitare una diligente vigilanza sull'esecuzione delle attività delegate e sul rispetto dei tempi per quelle stabiliti con l'obbligo di provvedere immediatamente alla sostituzione del professionista in caso di mancato o tardivo adempimento». E' così contestualmente rafforzato anche il dovere del giudice di vigilare sulla diligente esecuzione delle attività delegate da parte dei professionisti, al punto da stabilire che il giudice debba provvedere all'immediata sostituzione del delegato nelle ipotesi di mancato o tardivo adempimento. A nostro sommesso parere tale doverosità dovrebbe essere intesa alla luce di un criterio di “rimproverabilità”, nel senso di giustificare la sostituzione del delegato per tale ragione solo ove il ritardo sia ascrivibile, almeno a titolo di colpa, alla responsabilità dello stesso. E' pur vero, nondimeno, che deve sempre riconoscersi al giudice dell'esecuzione la possibilità, anche senza addurre particolari giustificazioni, di sostituire il delegato dallo stesso nominato ove non lo ritenga più adeguato allo svolgimento dell'incarico. Riterrei quindi che il criterio di delega vada letto, piuttosto che come un obbligo, alla stregua di un'“esortazione” del legislatore nei confronti dei giudici dell'esecuzione ad essere più rigorosi nei confronti dei professionisti delegati che, non rispettando i termini per lo svolgimento delle attività agli stessi demandate, finiscano con il ritardare anche la definizione della procedura esecutiva. Nella prospettiva di una riduzione delle attività svolte direttamente dal giudice dell'esecuzione e di ampliamento di quelle delegabili, recependo le c.d. buone prassi dei giudici dell'esecuzione, si muove anche la lett. m) del comma 12 del più volte citato art. 1 della l. 206/2021 laddove demanda al Governo di «prevedere che il professionista delegato proceda alla predisposizione del progetto di distribuzione del ricavato in base alle preventive istruzioni del giudice dell'esecuzione, sottoponendolo alle parti e convocandole innanzi a sé per l'audizione, nel rispetto del termine di cui all'art. 596 c.p.c.; nell'ipotesi prevista dall'art. 597 c.p.c. o qualora non siano avanzate contestazioni al progetto, prevedere che il professionista lo dichiari esecutivo e provveda entro sette giorni al pagamento delle singole quote agli aventi diritto secondo le istruzioni del giudice dell'esecuzione; prevedere che in caso di contestazioni il professionista rimetta le parti innanzi al giudice dell'esecuzione». Come già avviene in concreto nella prassi di alcuni uffici giudiziari, quindi, il legislatore delegato dovrà prevedere la possibilità per il delegato di predisporre direttamente il progetto di distribuzione secondo le istruzioni del giudice delegato e convocare le parti dinanzi a sé per l'approvazione dello stesso. Si realizzerà, poi, una sorta di “biforcazione” del procedimento a seconda della condotta dei creditori e del debitore una volta che abbiano avuto contezza della bozza del piano di riparto. Se gli stessi non compaiono all'audizione dinanzi al delegato o ivi non formulano contestazioni ex art. 512 c.p.c., sarà consentito al professionista non solo dichiarare direttamente esecutivo il progetto di distribuzione ma anche – e qui si apprezza il contenuto innovativo della riforma, pure non esente da alcuni rischi, rispetto ai quali dovrà vigilare opportunamente il giudice dell'esecuzione – di provvedere direttamente al pagamento delle quote secondo quanto previsto nel progetto medesimo. Qualora sorgano contestazioni distributive ai sensi dell'art. 512 c.p.c., il professionista dovrà invece rimettere il procedimento al giudice dell'esecuzione che deciderà, in base alla predetta norma, sulle stesse con ordinanza, contro cui è esperibile opposizione agli atti esecutivi. La stabilizzazione degli atti del professionista
La lett. l) dell'art. 1 comma 12 della legge n. 206 del 2021 demanda, infine, al Governo di «prevedere un termine di 20 giorni per la proposizione del reclamo al giudice dell'esecuzione avverso l'atto del professionista delegato ai sensi dell'articolo 591-ter del codice di procedura civile e prevedere che l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione decide il reclamo possa essere impugnata con l'opposizione di cui all'articolo 617 dello stesso codice». La finalità, come evidenziato dalla Relazione illustrativa, è quella di individuare un meccanismo che consenta di “stabilizzare” gli atti compiuti dal professionista delegato, anche avendo riguardo ai principi espressi dalla S.C. rispetto all'attuale formulazione, in parte qua, dello stesso art. 591-ter c.p.c. Quest'ultima norma, come a propria volta modificata dal d.l. 83/2015, prevede infatti che contro gli atti assunti del professionista delegato possa essere proposto ricorso al giudice dell'esecuzione che decide con provvedimento reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. La vigente previsione normativa ha sollevato essenzialmente due problemi. Per un verso, non è individuato un termine entro il quale va proposto il ricorso al giudice contro gli atti del delegato che astrattamente potrebbe essere esperito anche dopo molto tempo rispetto al compimento degli stessi, rischiando, nell'ipotesi di accoglimento, di “travolgere” tutti gli atti della procedura successivi e dipendenti. A ciò pone rimedio il delegante laddove “impone” al Governo non solo la previsione di un termine ma lo determina anche direttamente in venti giorni (che decorreranno, giusta i principi generali, dalla comunicazione ovvero dalla conoscenza legale dell'atto). Per altro verso, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., sebbene non si tratti, evidentemente, di un provvedimento avente natura cautelare. In questi anni tale regime ha determinato sia disagi organizzativi ai fini della formazione dei collegi, specie negli uffici di più ridotte dimensioni, sia un più rilevante problema rispetto alla possibilità di “stabilizzazione” delle relative decisioni. Infatti, con la sentenza n. 12238/2019,(in questa Rivista, con nota di Parisi, nonché in Rass. esec. forz., 2019, 1179, con nota di M.L. Guarnieri; ivi, 2020, 917, con nota di Santagada), la Corte di cassazione, facendo leva sulla natura ordinatoria e non decisoria dei provvedimenti emanati dal giudice dell'esecuzione nell'ambito dei ricorsi proposti contro gli atti dei professionisti delegati, ha ritenuto che le ordinanze pronunciate sul relativo reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. non fossero provvedimenti decisori rispetto ai quali è ammesso, ove anche definitivi, il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, settimo comma, Cost. Il “ripristino” del vecchio (e più idoneo) rimedio dell'art. 617 c.p.c. consente invece di pervenire, al di là della natura decisoria, ad una stabilizzazione dei provvedimenti in quanto, come noto, alla fase sommaria del giudizio di opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice dell'esecuzione può seguire, su iniziativa di ciascuna delle parti, l'introduzione della relativa causa di merito dinanzi al giudice competente, che deciderà con sentenza inappellabile e, dunque, ricorribile direttamente per cassazione. Riferimenti
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