Niente buono pasto alla lavoratrice madre che usufruisce del permesso per l'allattamento e non raggiunge le 6 ore di lavoro

Attilio Ievolella
06 Giugno 2022

Respinte le pretese avanzate da alcune dipendenti dell'Agenzia delle Dogane. Irrilevante, chiariscono i Giudici, il fatto che ai fini della retribuzione...

Respinte le pretese avanzate da alcune dipendenti dell'Agenzia delle Dogane. Irrilevante, chiariscono i Giudici, il fatto che ai fini della retribuzione vi sia l'assimilazione delle ore di permesso concesse dall'azienda a quelle di lavoro.

Niente buoni pasto per la lavoratrice madre che usufruisce di un permesso per l'allattamento e quindi non raggiunge le sei ore di lavoro nella giornata. Irrilevante, precisano i giudici, che ai fini della retribuzione vi sia l'assimilazione delle ore di permesso concesse dall'azienda a quelle di lavoro.

Protagonisti della battaglia giudiziaria sono l'Agenzia delle Dogane, da un lato, e sette lavoratrici, dall'altro. Sul tavolo c'è, tra l'altro, anche il riconoscimento dei buoni pasto per i giorni di lavoro in cui hanno usufruito di permessi per l'allattamento.

Per le lavoratrici è sacrosanto il loro diritto ai buoni pasto. Opposizione netta, invece, dall'Agenzia delle Dogane, che fa riferimento alle ore effettivamente lavorate dalle dipendenti.

Per i giudici di merito non vi sono dubbi: il riconoscimento dei buoni pasto va ricondotto a quella normativa che stabilisce che «i permessi» riconosciuti alle lavoratrici «sono da considerare ore lavorative agli effetti della retribuzione del lavoro, senza che rilevi l'assenza di una pausa destinata alla consumazione del pasto».

Inoltre, «il permesso per allattamento prevede il diritto di uscire dall'azienda» e quindi, osservano i giudici, «non può l'esercizio di tale diritto comportare la perdita del beneficio dei buoni pasto», anche se ne è derivata «l'assenza di pausa».

Di parere opposto sono invece i magistrati della Cassazione, i quali accolgono l'obiezione proposta dall'Agenzia delle Dogane e negano alle lavoratrici la possibilità di rivendicare i buoni pasto anche per i giorni in cui hanno usufruito di permessi per l'allattamento.

I Giudici richiamano il principio secondo cui «in tema di pubblico impiego privatizzato, l'attribuzione del buono pasto è condizionata all'effettuazione della pausa pranzo che, a sua volta, presuppone, come regola generale, che il lavoratore osservi un orario di lavoro giornaliero di almeno sei ore (oppure altro orario superiore minimo indicato dalla contrattazione collettiva)».

Di conseguenza, «i buoni pasto non possono essere attribuiti ai lavoratori che, beneficiando delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, osservano, in concreto, un orario giornaliero effettivo inferiore alle suddette sei ore, né può valere l'equiparazione dei periodi di riposo alle ore lavorative, che vale agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, in quanto», precisano i Giudici, «l'attribuzione dei buoni pasto non riguarda né la durata né la retribuzione del lavoro ma è finalizzata a compensare l'estensione dell'orario lavorativo disposta dalla pubblica amministrazione, con una agevolazione di carattere assistenziale diretta a consentire il recupero delle energie psico-fisiche dei lavoratori».

Respinte in modo netto le obiezioni proposte dalle lavoratrici. Queste ultime insistono, innanzitutto, sulla «necessaria equiparazione dei permessi per l'allattamento alle ore lavorative», ma viene ribadito dai giudici «il diritto ai buoni pasto ha natura assistenziale e quindi non ha rilievo l'assimilazione delle ore di permesso a quelle di lavoro ai fini della retribuzione, perché il riconoscimento dei buoni pasto non ha valenza retributiva», per l'appunto.

Ciò significa che «le ore di permesso non sono utili all'integrazione del requisito del superamento delle sei ore» previsto per il riconoscimento dei buoni pasto.

Sotto un altro profilo, poi, le lavoratrici «sottolineano la non necessaria coincidenza tra buono pasto ed esistenza nell'orario di lavoro di una pausa pranzo».

Ma i Giudici ribattono che «il contratto collettivo di riferimento subordina il diritto al buono pasto all'effettuazione di un orario di lavoro ordinario superiore alle sei ore, con la relativa pausa al cui interno va consumato il pasto, e dunque non vi è luogo a discorrere di altri e diversi presupposti».

E in questa ottica è irrilevante che i permessi consentano l'uscita dal luogo di lavoro, in quanto ciò, spiegano i Giudici, «non significa che essi abbiano la natura di pausa per pranzare».

Per chiudere il cerchio, infine, i magistrati sanciscono che «le lavoratrici hanno lavorato solo 5 ore e 12 minuti» nei giorni in cui hanno usufruito dei permessi per l'allattamento e quindi non hanno diritto ai buoni pasto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.