Le Corti di merito bocciano la tassazione autonoma delle clausole moratorie e penali contenute in un contratto di locazione

13 Giugno 2022

Continua il dibattito giurisprudenziale sulla legittimità o meno della ripresa a tassazione, ai fini dell'imposta di registro, delle clausole moratorie/penali contenute nei contratti di locazione considerate dall'Amministrazione finanziaria quali pattuizione autonoma. La querelle ruota intorno alla collocazione della fattispecie nel perimetro del comma 1 o del comma 2 dell'art. 21 d.P.R. 131/1986. In sostanza, mentre l'Ufficio considera tali clausole come autonome e non strutturalmente collegate al contratto principale (comma 1), i contribuenti ricorrenti, invece, ritengono che dette clausole derivino necessariamente, per la loro intrinseca natura, dal contratto principale di locazione (comma 2) e che, quindi, non debbano essere autonomamente tassata.
Massima

Continua il dibattito giurisprudenziale sulla legittimità o meno della ripresa a tassazione, ai fini dell'imposta di registro, delle clausole moratorie/penali contenute nei contratti di locazione considerate dall'Amministrazione finanziaria quali pattuizione autonoma. La querelle ruota intorno alla collocazione della fattispecie nel perimetro del comma 1 o del comma 2 dell'art. 21 d.P.R. 131/1986. In sostanza, mentre l'Ufficio considera tali clausole come autonome e non strutturalmente collegate al contratto principale (comma 1), i contribuenti ricorrenti, invece, ritengono che dette clausole derivino necessariamente, per la loro intrinseca natura, dal contratto principale di locazione (comma 2) e che, quindi, non debbano essere autonomamente tassata.

La questione

La Commissione tributaria della Lombardia (con sentenza n. 1644/2021) veniva chiamata a pronunciarsi sull'applicabilità del primo o del secondo comma rispetto ad una clausola posta dalle parti sul contratto di locazione la quale testualmente prevedeva che “...sulle somme non pagate il conduttore corrisponderà un interesse di mora pari al tasso legale maggiorato di due punti percentuale ...".

I giudici ambrosiani decidevano di collocare il caso esaminato nel comma 2 del citato art. 21 il quale recita che “se le disposizioni contenute nell'atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l'imposta si applica come se l'atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa".

La soluzione giuridica

Indirizzo giurisprudenziale maggioritario

Nell'iter logico-giuridico seguito gli interpreti affermavano che la clausola penale non costituisce un negozio giuridico autonomo, ma una integrazione all'obbligazione principale; essa non presenta carattere di unicità, ma di secondarietà alla disposizione principale.

Se non ci fosse il vincolo contrattuale cui accede la clausola essa non avrebbe ragione di esistere; in concreto, tale clausola trova la sua ragione nel vincolo contrattuale per rafforzarlo e determinare in via preventiva il danno che può derivare dal suo inadempimento: senza il contratto cui accede sarebbe priva di significato giuridico e quindi non potrebbe costituire un autonomo negozio giuridico e, di conseguenza, non potrebbe avere valenza fiscale ai finì dell'imposta di registro.

Veniva, altresì, richiamata dai giudici la giurisprudenza della Corte di Cassazione (n. 5305 del 20/10/1984, n. 1183/2007 e n. 10180/2009) nella misura in cui ha statuito che la citata clausola «è una pattuizione accessoria del contratto convenuta dalle parti per rafforzare, da un lato, il vincolo contrattuale e per stabilire, dall'altro, preventivamente, una determinata sanzione per il caso di inadempienza o di ritardo nell'adempimento, con l'effetto di limitare alla prestazione prevista il risarcimento del danno indipendentemente dalla prova dell'effettivo pregiudizio economico verificatosi».

La clausola che prevede un interesse di mora maggiorato rispetto a quello legale non costituisce disposizione autonoma né può considerarsi condizione sospensiva. In buona sostanza, si tratta di una penalità che attiene la modalità di determinazione degli interessi applicabili in caso di ritardato pagamento del canone e, in quanto tale, è interconnessa alle altre obbligazioni contrattuali.

Convincente, a parere di chi scrive, la motivazione di una recente sentenza della Ctp di Milano (n. 2096 del 14 maggio 2021) che si è pronunciata nella stessa direzione ritenendo evidente la natura accessoria della clausola in questione rispetto al prevalente oggetto del contratto, in quanto «una clausola penale non può sussistere autonomamente rispetto all'obbligazione principale». I giudici milanesi hanno offerto diversi spunti di riflessione sulla sorte di tale tipologia di clausole in relazione a vicende che incidono sull'obbligazione principale:

a) in caso di invalidità del contratto principale, la clausola penale finirebbe con l'essere travolta dalla sua caduta, quale ne sia la ragione;

b) e se, per effetto di una causa decadenziale, il debitore è liberato dall'obbligo di adempimento della prestazione oggetto del contratto, il creditore non può conservare il diritto a pretendere la prestazione risarcitoria prevista dalla clausola penale. In sostanza, puntualizzavano i giudici, qualora venga meno l'obbligazione principale, la clausola accessoria non può che seguirne le sorti, sottolineando una connessione oggettiva e necessaria che rende la clausola penale non autonoma rispetto al contenuto ed alla causa del contratto principale, e quindi assorbita nella sua tassazione ai sensi dell'art. 21, co. 2. Ad analoghe conclusioni, aggiungeva la CTP, si giunge dalla ricostruzione dell'ambito di intervento dell'art. 21 TUR alla luce della interpretazione dell'art. 20 segnata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 158/2020 e che ha assunto una significativa centralità in tutto l'impianto dell'imposta in questione: è stata, infatti, rimarcata la natura di "imposta d'atto" dell'imposta di registro, precisando l'oggetto dell'imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell'atto presentato per la registrazione, senza che assumano rilievo gli elementi extratestuali e gli atti collegati privi di qualsiasi nesso testuale con l'atto medesimo, salvo le ipotesi espressamente regolate dal Testo Unico. La capacità contributiva dell'imposta di registro è, infatti, la ricchezza corrispondente al contenuto patrimoniale di un atto giuridico, e gli atti devono essere tassati secondo il loro preciso significato giuridico: in tale contesto «la clausola penale contenuta in un contratto di locazione non è qualificabile come disposizione astrattamente tassabile, né come condizione sospensiva dell'atto, e quindi non deve essere autonomamente tassata».

Con riferimento agli interessi moratori, la CTR Lombardia (sentenza n. 56/2021) ha osservato come la clausola inserita in un contratto di locazione, che prevede la misura degli stessi in caso di ritardato pagamento da parte del conduttore, non vada assoggettata ad autonoma imposta di registro. Essa, hanno motivato i giudici ambrosiani, «si colloca in un ambito risarcitorio che per nulla integra i requisiti di applicazione di un'autonoma imposta di registro». Pertanto, tale clausola e il contratto di locazione in cui è contenuta sono soggetti ad unica imposta di registro.

A sfavore della tassazione autonoma delle clausole in questione si riscontrano diversi altri provvedimenti giurisdizionali (ex pluribus, CTR Lombardia n. 3488/2017, nn. 1901 e 2927/2020, nn. 14-536-590-930-1226-1508-2165-2166-2463/2021; CTR Piemonte n. 98/ 2009; CTP Varese n. 48/2019, nn. 284 e 346/2020; CTP Milano nn. 894 e 2769/2019, n. 2750/2020, nn. 285-347-833-1071-2053-2782/2021; CTP Pavia n. 224/3/2018; CTP Brescia nn. 335-373-442/2020, nn. 58-125-126-216-235-338/2021; CTP Sondrio n. 16/2021).

Indirizzo giurisprudenziale minoritario

La CTR Lombardia, nella recente sentenza del 15 febbraio (n. 510/2022), pur consapevole delle diverse opinioni espresse dalla giurisprudenza di merito, ritiene che per disposizione ai sensi dell'art. 21, primo comma, del d.P.R. 131/1986 debba intendersi non soltanto il negozio giuridico ma anche «qualunque clausola negoziale dotata di efficacia precettiva che si ponga in termini di autonomia con gli elementi costitutivi del negozio cui accede»: l'interpretazione contraria, osservano i giudici, toglierebbe alcuna utilità all'art. 21 citato il cui scopo è quello di meglio specificare il contenuto del precedente art. 20 che, infatti, all'ultimo inciso fa salvo quanto disposto dagli articoli successivi. Militerebbe, poi, in favore della tesi che sostiene che anche le clausole penali, ed in generale le clausole contrattuali non necessarie, possano assurgere al rango di disposizione ai sensi dell'art. 21, primo comma, del d.P.R. 131 del 1986 anche il disposto del terzo comma del più volte citato art. 21 che prevede che «non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni nonché le quietanze rilasciate nello stesso atto che contiene le disposizioni che si riferiscono».

Trattasi di clausole, specificano gli interpreti, non necessarie ai fini del perfezionamento del contratto che sono state espressamente escluse dalla tassazione, il che a contrario induce a ritenere che, in mancanza di una espressa previsione di esenzione, la clausola penale vada piuttosto tassata. Non occorre poi, secondo la CTR, al fine di sostenere la tassabilità con l'imposta di registro in misura fissa della clausola penale, scomodare il contenuto dell'art. 27 dello stesso TUR nella misura in cui prevede che gli atti sottoposti a condizione siano tassati con l'imposta di registro in misura fissa, e ciò per il fatto che la tassabilità della clausola penale discende dall'applicazione dell'art. 21, non essendo necessario il richiamo, in via diretta od analogica, del suddetto art. 27 che si limita soltanto a dire che alla clausola penale cui non sia poi seguito alcun inadempimento si applica la tassazione in misura fissa.

Viene dai giudici condivisa la tesi erariale laddove ha sostenuto che «il carattere dell'accessorietà della clausola penale, clausola non dotata di alcuna autonomia e caratterizzata da posizione ancillare volta al rafforzamento del vincolo obbligatorio e della realizzazione del programma negoziale, non osta alla tassabilità di essa in misura fissa e non si pone in alternatività al concetto di autonomia»: la clausola penale è accessoria nel senso che non concerne gli elementi costitutivi del rapporto necessari alla sua configurazione e qualificazione, ma è anche del tutto autonoma e non necessaria rispetto al contenuto precettivo del rapporto, il che basta a ritenerla passibile di tassazione in quanto distinta dalla causa del contratto e volta a predeterminare una sanzione per l'inadempimento od il ritardo nell'adempimento dell'obbligazione dedotta in contratto.

In conclusione

In linea con il suddetto indirizzo giurisprudenziale minoritario e a favore della tassazione autonoma delle clausole in questione si riscontrano altre pronunce di merito (inter alias CTP Brescia n. 262/2020; CTP Lecco n. 70/2020; CTP Milano n. 4877/2019 e n. 2409/2020; CTR Lombardia n. 2311/2019).

Stante il contrasto giurisprudenziale esistente, si rimane in attesa di un intervento chiarificatore della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.