La recente giurisprudenza della Corte costituzionale sul gratuito patrocinio, in attesa delle nuove riforme

15 Giugno 2022

Il patrocinio a spese dello Stato è stato oggetto di frequenti interventi giurisprudenziali, anche della Corte costituzionale. L'effetto complessivo degli interventi della Consulta è stato quello di ampliare, e comunque meglio definire, l'ambito sia oggettivo che soggettivo di applicazione dell'istituto.
Premessa

L'applicazione dell'istituto del patrocinio a spese dello Stato, per opinione pressoché unanime degli operatori del diritto, risulta da sempre problematica.

Ciò è dovuto ad una serie di fattori tra i quali vi sono:

la disorganicità delle fonti normative che lo regolano (al d.P.R. 115/2002 si aggiungono norme speciali contenute in vari provvedimenti normativi);

la difformità di alcuni parti della disciplina relativa al processo penale da quella relativa al processo civile;

la difficoltà di coordinare le diverse fonti alla disciplina, di carattere generale, sulla liquidazione dei compensi forensi (si tratta dell'art. 13 della l. 247/2012, del d.m. 20 luglio 2012, n.140, poi sostituito, relativamente ai soli parametri forensi, dal d.m. 10 marzo 2014, n. 55, successivamente modificato e integrato dal d.m. 8 marzo 2018, n. 37) e alle norme del codice di rito regolanti la condanna alle spese (artt. 91-96 c.p.c.).

Tali caratteristiche spiegano anche perché molti profili dell'istituto siano stati oggetto di frequenti interventi giurisprudenziali, sia di merito che di legittimità, e, negli ultimi tre anni, anche della Corte costituzionale che, in diversi casi, ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale postele.

L'effetto complessivo degli interventi della Consulta, anche quando sono consistiti in pronunce di rigetto, è stato quello di ampliare, e comunque di meglio definire, l'ambito sia oggettivo che soggettivo di applicazione dell'istituto nonché alcuni suoi meccanismi operativi soprattutto attraverso un raccordo, invero non sempre convincente, tra la disciplina del t.u.s.g. e quella sulle spese di lite.

L'ampliamento dei presupposti soggettivi

La sentenza 31 maggio 2019, n. 135 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 143, comma 1, del d.P.R. 115/2002, per contrasto con l'art. 3 Cost.,nella parte in cui non prevede che siano anticipati dall'erario gli onorari e le spese spettanti al difensore d'ufficio di genitore irreperibile nei processi di cui alla l. 184/1983 (Diritto del minore ad una famiglia).

E' stato infatti ritenuto che tale norma realizzasse una disparità di trattamento del difensore dell'irreperibile, in base al fatto che assistesse l'imputato o altra parte nei giudizi ex lege 184/1983, nonostante esistano significativi profili di omogeneità tra detti due modelli di processo, in relazione, sia alla natura degli interessi in gioco, sia al ruolo del difensore chiamato ad apprestarvi tutela.

Inoltre, ha evidenziato la Corte, la ratio della difesa nei processi di adottabilità è quella, infatti, di dare la massima protezione ai diritti dei minori e dei loro genitori – ai quali è appunto garantito di far valere le proprie ragioni anche in assenza di un avvocato di fiducia – per evitare che l'eventuale debolezza sociale di tali soggetti influisca negativamente nel procedimento. Ad avvicinare i processi di adozione in questione al giudizio penale sta inoltre il fatto che in quei processi, attraverso analoghi percorsi istruttori, si giudicano condotte che possono anche integrare parallele ipotesi di reato, e che possono condurre ad esiti pure più dolorosi di quelli penali.

La sentenza 30 aprile 2021, n. 83 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 148, comma 3, del d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevede tra le «spese anticipate dall'erario» l'onorario del curatore dell'eredità giacente con riguardo al caso in cui la procedura di giacenza si sia conclusa senza accettazione successiva e con incapienza del patrimonio ereditario.

E' stato ritenuto infatti che l'omessa previsione dell'anticipazione erariale in tale ipotesi, nella quale l'onorario del curatore non può essere imputato a nessuno, determinasse un'irragionevole disparità di trattamento in danno del medesimo curatore, con conseguente lesione del parametro di cui all'art. 3 Cost., rispetto alle altre figure di ausiliario del giudice ed in particolare quella del curatore fallimentare.

La sentenza 20 luglio 2021, n. 157 ha invece dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 79, comma 2, del d.P.R. 115/2002 nella parte in cui non consentiva al cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea, in caso di impossibilità a presentare la documentazione richiesta ai sensi dell'art. 79, comma 2, di produrre, a pena di inammissibilità, una dichiarazione sostitutiva di tale documentazione.

In tal modo, analogamente a quanto previsto per il processo penale e per l'impugnazione in sede giurisdizionale dello status di rifugiato, la disposizione censurata è stata resa conforme alla disciplina generale che concretizza il principio di auto-responsabilità.

Esso infatti non solo esclude che si possa far gravare sull'istante il rischio dell'impossibilità di procurarsi la documentazione consolare, ma oltretutto impedisce di pretendere la probatio spesso diabolica del fatto oggettivo costitutivo di un'impossibilità in termini assoluti.

Definizione ed ampliamento dei presupposti oggettivi

La giurisprudenza ha dubitato della legittimità costituzionale dell'art. 74, comma 2, d.P.R. 115/2002 in riferimento agli artt. 3 e 111, comma 2, Cost. atteso che tale norma non esclude il beneficio del patrocinio erariale nei processi in cui è consentito alla parte difendersi personalmente.

La Consulta, con l'ordinanza 13 novembre 2019, n. 234, ha però giudicato la censura manifestamente infondata precisando che «la possibilità della difesa personale in alcune controversie non costituisce ragione giustificativa per limitare il beneficio in esame al solo esonero dal pagamento del contributo unificato di cui all'art. 9 d.P.R. 115/2002, ben potendo tali controversie richiedere in concreto la competenza professionale della difesa tecnica che assicura l'effettività della tutela giurisdizionale».

La pronuncia si inserisce appieno in quell'orientamento, già espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale: «L'istituto … copre ogni esigenza di accesso alla tutela giurisdizionale: sia quando questa tutela coinvolge necessariamente l'opera di un avvocato, sia quando la parte non abbiente potrebbe, teoricamente, attivare anche personalmente l'istanza giurisdizionale, ma domandi la nomina di un difensore al fine di essere consigliata nel miglior modo sull'esistenza e sulla consistenza dei propri diritti e ritenga di non essere in grado di potere operare da sé» (Cass. civ., 4 dicembre 2017, n.30069; Cass. civ., 5 gennaio 2018, n. 164; Cass. civ., 4 giugno 2019, n. 15175).

Con un altro intervento il giudice delle leggi ha ampliato l'ambito di applicazione dell'istituto alla mediazione obbligatoria che si sia conclusa con una conciliazione.

Infatti la sentenza 20 gennaio 2022, n. 10, ha dichiarato fondata la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 74, comma 2, e 75, comma 1, del d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all'attività difensiva svolta nell'ambito dei procedimenti di mediazione di cui all'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell'art. 83, comma 2, del medesimo d.P.R. 115/2002, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l'autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

La decisione è pienamente condivisibile perché la disciplina che escludeva dal patrocinio a spese dello Stato l'attività prestata in una mediazione obbligatoria ante causam che avesse avuto esito conciliativo era irragionevole, dal momento che, anche in questo caso, come in quelli della mediazione obbligatoria espletata in corso di causa o seguita dal giudizio, il procedimento di mediazione, costituisce pur sempre una fase del processo ai sensi dell'art. 75, comma 1, del d.P.R. 115/2002, cosicchè l'assistenza prestata nel corso di esso dovrebbe ricevere il medesimo trattamento di quella resa in quelle ipotesi.

Ulteriore criticità di quel regime si rinveniva nel fatto che essa induceva la parte che si fosse trovata nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio erariale a non coltivare la mediazione e a perseguire nel giudizio poiché solo così avrebbe potuto beneficiare dell'istituto.

Dopo la decisione sopra menzionata risulta ancor più evidente l'incostituzionalità del comma 6 dell'art. 3 del d.l. 132/2014, in tema di negoziazione assistita, secondo il quale: «quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda all'avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al d.P.R. 115/2002 e successive modificazioni…».

E si noti che la formulazione della norma è così ampia da escludere il patrocinio a spese dello Stato anche per la negoziazione assistita che si svolga in corso di causa senza giungere ad un esito conciliativo.

A ben vedere con essa è stato di fatto reintrodotto, limitatamente a questo tipo di ADR, l'istituto del gratuito patrocinio, una volta disciplinato, in via generale, dal r.d. 3282/1923, abrogato dall'art. 23 della l. 217/1990.

La disposizione appare irragionevole, e quindi in contrasto con l'art. 3 Cost., sotto almeno tre profili.

Essa infatti non distingue l'ipotesi in cui, dopo l'insuccesso della negoziazione assistita, venga introdotto il successivo giudizio e questo si concluda favorevolmente per la parte non abbiente, con la condanna alle spese della controparte.

Anche in questo caso, stando al tenore letterale della norma, al difensore della parte non abbiente non spetterebbe il compenso per l'attività prestata nella fase stragiudiziale, sebbene esso dovrebbe essere posto a carico della parte abbiente soccombente.

Infine, va evidenziato come la previsione consenta, sia pure implicitamente, il patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui la negoziazione assistita sia facoltativa, quindi anche nelle ipotesi di negoziazione assistita in materia matrimoniale, mentre il testo unico spese di giustizia esclude dall'ambito di applicazione dell'istituto le procedure stragiudiziali che non costituiscano fase di un processo.

La questione pare però destinata ad essere risolta a breve se si considera che l'art. 1, comma 4, lett. a) della legge delega per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (l. 206/2021) prevede, tra i criteri da seguire nell'adozione dei decreti legislativi recanti modifiche alle discipline della procedura di mediazione e della negoziazione assistita, l'estensione ad entrambi tali istituti del patrocinio a spese dello Stato.

Gli interventi sulle modalità di liquidazione dei compensi

Recentemente la Consulta è stata investita, o meglio reinvestita, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 131, comma 3, d.P.R 115/2002, che definiva le modalità di recupero del compenso liquidato agli ausiliari del giudice e al consulente di parte nei processi con parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, stabilendo che gli onorari fossero «prenotati a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite, se non è possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte ammessa, per vittoria della causa o per revoca dell'ammissione».

In precedenza in più occasioni (sentenza 18 luglio 2008, n. 287; ordinanze 3 novembre 2008, n. 408, 26 giugno 2009, n. 195; n. 203 e n. 88 del 2010 e 6 febbraio 2013, n. 12) la Corte costituzionale era stata investita della questione se la norma succitata determinasse la sostanziale gratuità dell'incarico dell'ausiliare del giudice, con conseguente violazione dell'art. 36 Cost., e se prevedesse un trattamento più sfavorevole rispetto a quello riservato all'avvocato, sempre nel processo civile, per il quale è previsto il sistema della anticipazione a carico dello Stato, ma aveva escluso tale possibilità sulla base di una duplice considerazione.

Il giudice delle leggi aveva però escluso la sussistenza di tali profili di incostituzionalità sulla base della duplice considerazione che, da un lato, «il procedimento di liquidazione previsto dall'art. 131 del d.P.R. 115/2002, (…) consente al consulente tecnico d'ufficio, mediante il rimedio residuale della prenotazione a debito, di ottenere il pagamento delle somme a lui dovute» e, dall'altro, che non era ravvisabile nessuna disparità di trattamento rispetto ai differenti modi di liquidazione dei compensi previsti per gli altri professionisti che intervengono nei procedimenti civili o penali, data la eterogeneità delle figure processuali.

Con la sentenza 11 ottobre 2019, n. 217 si è però avuto un vero e proprio revirement del succitato indirizzo.

La Corte, infatti, ha riconosciuto la fondatezza della questione di legittimità costituzionale ripropostale, sotto il profilo del difetto di ragionevolezza,evidenziando, nella parte motiva, l'erroneità del proprio precedente orientamento per aver equiparato l'istituto della «prenotazione a debito» a quello dell'anticipazione degli onorari a carico dello Stato, previsto per il compenso dell'avvocato del non abbiente, sebbene la prima, a differenza di questa, non consista in un pagamento da parte dell'erario.

Il giudice delle leggi ha quindi ritenuto che la norma scrutinata prevedesse un meccanismo, costituito dall'onere dell'ausiliario della previa intimazione di pagamento e dall'eventuale successiva prenotazione a debito del relativo importo, che «impedisce il rispetto della coerenza interna del nuovo sistema normativo incentrato sulla regola dell'assunzione, a carico dello Stato, degli oneri afferenti al patrocinio del non abbiente».

La Consulta con questo intervento è quindi giunta ad estendere il meccanismo dell'anticipazione a carico dello Stato, già previsto per il compenso del difensore del non abbiente dall'art. 131, comma 4, lett. a) a quello per gli ausiliari del giudice e il ctp della parte non abbiente.

Un altro intervento della Consulta ha riguardato la definizione delle modalità di liquidazione del compenso del difensore del creditore esecutante che sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Con la sentenza 5 maggio 2022, n. 109 sono state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 95 del c.p.c. che erano state sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma, 36 e 111, primo comma, Cost. sul presupposto che tale norma, secondo la quale il credito per le spese della procedura esecutiva può ottenere soddisfazione nei soli limiti della capienza del ricavato, non fosse esclusa in caso di liquidazione delle spese a carico dell'Erario ai sensi del d.P.R. 115/2022.

Ebbene, la Corte partendo dalla premessa opposta, ovvero che nella liquidazione delle spettanze dell'avvocato del creditore ammesso al patrocinio a spese dello Stato, la regola espressa dall'art. 95 c.p.c., non trovi applicazione, ha dichiarato inammissibili le questioni.

Ad avviso della Corte la disciplina del patrocinio per i non abbienti e le norme sul governo delle spese del processo si rivolgono a rapporti distinti e autonomi come si può evincere, in linea generale, dal disposto dell'art. 83, comma 2, del d.P.R. 115/2002, nella parte in cui statuisce che «[p]er il giudizio di cassazione, alla liquidazione procede il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato» e, con riguardo al processo esecutivo, dall'art. 135, comma 2, del d.P.R. 115/2002, secondo il quale «[l]e spese relative ai processi esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e 2770 del c.c., sul prezzo ricavato dalla vendita o sul prezzo dell'assegnazione o sulle rendite riscosse dall'amministratore giudiziario».

Tale previsione implica che, una volta che il difensore del creditore ammesso al beneficio abbia ottenuto dal giudice dell'esecuzione la liquidazione delle proprie spettanze secondo i criteri indicati dall'art. 82 del d.P.R. 115/2002 è lo Stato che, per rivalersi delle somme anticipate, partecipa, in via privilegiata, alla distribuzione della somma ricavata o assegnata.

Il monito sui limiti di reddito

Merita di essere inserita nella rassegna in esame anche una pronuncia monito della Corte in tema di presupposti reddituali per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

E' stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 2, per contrasto con gli art. 2, 3, 24 e 31, primo comma, Cost. sulla base del rilievo che non prevede, nel processo civile, l'elevazione del limite di reddito in presenza di coniuge o familiare convivente.

La disposizione appare invero intrinsecamente irragionevole poiché parifica la condizione del soggetto che non conviva con altri familiari, e disponga di un reddito superiore al limite per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, a quella di colui che, disponendo di identico reddito, si trovi però a convivere con uno o più familiari nullatenenti, individuando per entrambe il medesimo presupposto per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ovvero il limite reddituale predetto.

Essa risulta poi in contrasto con altri parametri costituzionali se si considera che il legislatore ha assunto lo scostamento dal limite del reddito, individuato dall'art. 76, comma 1, d.P.R. 115/2002, come indice insuperabile dello stato di abbienza o non abbienza del nucleo familiare di cui fa parte il soggetto che necessita di assistenza difensiva.

Il riferimento al solo parametro reddituale, oggettivo ma rigido, non consente però di tener conto di tutta una serie di variabili che incidono sulla effettiva situazione reddituale di una famiglia e possono quindi privare di significato quel dato, quali il numero e le condizioni reddituali degli altri componenti il nucleo familiare in cui è inserito il soggetto che necessita di assistenza difensiva, nonchè gli oneri economici che gli obblighi di assistenza verso quei soggetti possono comportare, anche in ragione delle loro età e condizioni di salute (si pensi agli obblighi di mantenimento del genitore verso i figli, anche maggiorenni se non economicamente autosufficienti).

In tali casi il disposto normativo pone il soggetto che dispone di un reddito superiore al limite di legge, e che abbia uno o più familiari a carico, nella situazione di dover scegliere se rinunciare alla difesa propria o del familiare, per destinare le risorse di cui dispone al mantenimento del medesimo o di altri familiari, o se venir meno agli obblighi legali di assistenza e solidarietà nei confronti di costoro per privilegiare il diritto di difesa.

Esso determina quindi un conflitto, drammatico e praticamente irrisolvibile, tra due diritti costituzionalmente garantiti ovvero tra il diritto alla solidarietà sociale, sancito dall'art. 2 della carta costituzionale, da un lato, e il diritto di difesa, espresso dall'art. 24 Cost, dall'altro lato.

Palese è anche il contrasto di questa disciplina con l'art. 31, primo comma, Cost. poiché essa limita di fatto la possibilità delle famiglie, ed in particolare di quelle numerose, di accedere ad un beneficio economico (il patrocinio a spese dello Stato) che le metterebbe in condizioni di adempiere ai doveri di solidarietà e assistenza che le stesse hanno nei confronti di tutti i loro componenti.

La previsione appare difficilmente giustificabile anche se la si raffronta con quella del d. lgs. 116/2005 che, all'art. 4 comma 2, prevede che il limite di reddito, fissato dal primo comma della stessa norma in euro 9.296,22 (tale limite non è stato mai aggiornato, atteso che i decreti ministeriali che si sono susseguiti dopo l'entrata in vigore del d. lgs. 116/2005 hanno riguardato espressamente solo quello di cui all'art. 76, comma 1, d.P.R. 115/2002) è elevato di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi.

In questo caso il legislatore nazionale, nell'esercizio della discrezionalità lasciatagli dall'Unione Europea, ha infatti attribuito rilievo alla situazione reddituale della famiglia del richiedente il beneficio sotto forma di aumento del limite reddituale per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato di un importo fisso per ciascun componente del suo nucleo familiare.

La Corte costituzionale, con la sentenza 20 ottobre 2017, n. 219, ha ritenuto però inammissibili le questioni, sul presupposto che l'ordinanza di rimessione era finalizzata ad integrare il dettato normativo, così da includere, nella valutazione del presupposto reddituale, le variabili che, incidendo sulla misura astratta del parametro, ne condizionano in concreto la dimensione e il potere effettivo di spesa di cui è espressione.

Al contempo il giudice delle leggi ha rappresentato «l'esigenza di un intervento normativo volto a sanare l'evidente inadeguatezza dell'attuale disciplina, dando la dovuta rilevanza agli elementi idonei ad incidere sul livello reddituale richiesto per l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato» conferendo così alla propria pronuncia valenza di monito.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario