Accordo improvviso ed elemento soggettivo nel concorso di persone nel reato

20 Giugno 2022

Le questioni proposte alla Suprema Corte si innestano su due dei requisivi costitutivi del concorso di persone rilevante ex art. 110 c.p., segnatamente il contributo concorsuale, nonché la portata dell'elemento soggettivo.
Massima

Ai fini della configurabilità di un'ipotesi di concorso di persone nel reato, non è necessario il previo accordo, essendo sufficiente una intesa spontanea intervenuta nel corso dell'azione criminosa che si traduca in un supporto, pur estemporaneo, ma causalmente efficiente alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso.

Il caso

Il giudice di primo grado aveva condannato, tra gli altri, uno degli imputati per il solo reato ex art. 6 l. n. 895/1967, (capo 3) - per avere fatto esplodere ordigni e materiali esplodenti e artifici pirotecnici - e altro imputato anche per i reati di resistenza a pubblici ufficiali (capo 1) e di lesioni aggravate in danno degli stessi (capo 2).

La Corte di appello, in parziale riforma, ha assolto quest'ultimo imputato dai capi 2) e 3) ed ha concesso ad entrambi le circostanze attenuanti generiche.

I fatti in contestazione erano i seguenti: durante la notte un gruppo formato da 60/70 persone - esponenti del movimento anarchico locale - si era riunito, come al solito, dinanzi alla Casa Circondariale per dare solidarietà ai detenuti.

In tale frangente, erano stati esplosi fuochi d'artificio ed artifici esplodenti, alcuni diretti deliberatamente dentro le mura del carcere, nonostante il tentativo del personale di forza pubblica intervenuto di allontanare i manifestanti dalla cancellata.

Uno dei fuochi artificiali, manipolato da uno degli imputati, (riconosciuto dagli operanti) esplodeva ai piedi di appartenenti al Reparto Mobile, ivi intervenuto.

In tale contesto, si verificava un aumento della pressione dei dimostranti che si avvicinavano alla forza pubblica lanciando oggetti e brandendo bottiglie di vetro.

Una bottiglia, lanciata da un manifestante, feriva un appartenente alla P.G., intenta a riprendere la manifestazione non autorizzata.

Contro la sentenza della Corte di appello è stato proposto ricorso per cassazione, deducendo, tra l'altro, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al concorso nel reato ex art. 337 c.p.

Si evidenzia in particolare nel ricorso una contraddizione tra le condotte individuate nelle due sentenze di merito come indicative del concorso del singolo nella resistenza operata dal gruppo, in quanto nella prima sentenza si era valorizzata la condotta tenuta da ogni partecipante, attribuendo quindi rilievo al lancio del liquido di una bottiglia e quindi della stessa bottiglia operato dal ricorrente, mentre nella sentenza impugnata si valorizzava l'inserimento di tale contributo nel fatto collettivo unitario, collocando la singola condotta sul terreno del concorso morale, come rafforzamento dell'altrui azione offensiva.

Il ricorrente sottolinea ancora che il riferimento all'unitarietà dell'azione collettiva dei manifestanti avrebbe consentito di eludere il rigoroso accertamento del nesso eziologico tra le diverse condotte, aggirando l'onere di precisare il contribuito causalmente alla realizzazione del reato.

Quanto al concorso nel reato di cui all'art. 6 l. n. 895/1967, le motivazioni della Corte di appello vengono ritenute incongrue nel loro riferimento al carattere non autorizzato della manifestazione e al luogo particolarmente sensibile che ne è stato teatro, con scoppio dei petardi anche all'interno delle mura carcerarie e conseguente possibilità di disordini nella gestione dei detenuti.

Per il ricorrente i giudici avrebbero dovuto interrogarsi sul contributo causale fornito dal concorrente alla realizzazione del reato collettivo, con riguardo alla necessità della consapevolezza del singolo di cooperare con altri alla realizzazione di specifici eventi, da verificare in un ambito di contestualità al dipanarsi della condotta incriminata.

I ricorsi sono respinti dalla Suprema Corte.

Quanto alla prima questione, si rileva che la sentenza impugnata ha analizzato l'azione del ricorrente, inserendola nella prospettiva finalistica del contributo all'unitarietà del fatto collettivo realizzato, e seguendo tale impostazione non ha attuato alcuna scorciatoia lessicale, avendo altresì proceduto ad illustrare il concreto contributo prestato al fatto collettivo dal ricorrente, nei termini sopra riportati, non controversi dalla difesa. Viene invero individuato sia un contributo morale consistito nella sollecitazione agli altri manifestanti ad avvicinarsi alle forze dell'ordine alla vista dell'intervento di queste nei confronti di un manifestante, sia un contributo materiale consistito nel lancio della bottiglia, ed ancor prima del suo contenuto, contro gli operanti. Sotto tale aspetto, viene rispettato l'insegnamento giurisprudenziale che richiede una effettiva motivazione dell'esistenza di una reale partecipazione alla commissione del reato, precisando sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l'atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall'art. 110 c.p., con l'indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Cass. pen., sez. un., 30 ottobre 2003, n. 45276; Cass. pen., sez. II, 13 ottobre 2021, n. 43067).

Quanto alla seconda questione, il ricorso viene respinto sulla base del principio di diritto secondo cui «in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro» (Cass. pen, sez. un., 22 novembre 2000, n. 31), rilevando che «ai fini della configurabilità di un'ipotesi di concorso di persone nel reato, non è necessario il previo accordo, essendo sufficiente una intesa spontanea intervenuta nel corso dell'azione criminosa che si traduca in un supporto, pur estemporaneo, ma causalmente efficiente alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso» (Cass. pen., sez. I, 15 febbraio 2019, n. 28794, Peveri, Rv. 276820).

La questione

Le questioni proposte si innestano su due dei requisivi costitutivi del concorso di persone rilevante ex art. 110 c.p., segnatamente il contributo concorsuale, nonché la portata dell'elemento soggettivo.

Quali requisiti deve possedere il contributo concorsuale per essere rilevante e qual è il secondo termine di riferimento dello stesso?

In tema di elemento soggettivo della fattispecie concorsuale e necessario il previo accordo o sufficiente l'accordo improvviso?

Le soluzioni giuridiche

Quanto al primo interrogativo, va ricordato che il punto nevralgico del concorso di persone è costituito dall'identificazione dei requisiti della condotta del singolo concorrente ed in particolare del contributo materiale atipico; invero, l'art. 110 c.p. punisce chiunque concorre nel reato, senza però specificare cosa debba intendersi per concorrere.

Perché si possa parlare di contributo concorsuale punibile ex art. 110 c.p., è necessario e sufficiente che sussista un contributo causale, anche meramente agevolativo, alla realizzazione del fatto di reato.

Si tratta di comprendere quali sono i termini della relazione eziologica con la condotta dell'agente.

La giurisprudenza intende il secondo termine del rapporto causale in ampio: in base alla concezione unitaria del concorso di persone nel reato, l'attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, nelle fasi di ideazione, organizzazione ed esecuzione (o in alcune di esse), alla realizzazione collettiva, anche soltanto mediante il rafforzamento dell'altrui proposito criminoso con l'agevolazione dell'opera dei concorrenti (Cass. pen., sez. V, 14 luglio 2020, n. 25221; Cass. pen., sez. IV, 7 luglio 2021, n. 30233).

Il contributo concorsuale può dunque realizzarsi anche in una fase antecedente all'inizio di esecuzione della condotta tipica. Ciò non implica, tuttavia, che il concorso di persone presupponga un previo accordo: il concorso può esplicarsi in un intervento di carattere estemporaneo sopravvenuto a sostegno dell'azione altrui, ancora in corso, quand'anche l'iter criminoso sia iniziata all'insaputa dell'agente (Cass. pen., sez. II, 1 ottobre 2019, n. 51174).

Il criterio della condicio sine qua non viene sostituito dalla giurisprudenza con la più ampia nozione di causalità agevolatrice: questo per sottoporre a sanzione a titolo di concorso anche quei contributi che poi non siano stati utilizzati nello sviluppo della condotta criminosa.

Mentre, tuttavia, alcuni autori propongono che la facilitazione sia valutata ex ante, altri ribadiscono l'opportunità che anche l'agevolazione sia giudicata ex post.

Nell'ambito di quest'ultima teorica vi è una impostazione secondo la quale il contributo del complice, per integrare gli estremi della fattispecie punibile, dovrebbe comunque essere tipico, anche se non causale, come nel caso in cui, nell'ipotesi di una rapina, l'arma portata da Caio, non sia stata utilizzata, in quanto tale condotta sarebbe comunque tipica, perché integrerebbe una circostanza aggravante.

Quanto ai contributi rivelatisi ex post inutili o dannosi, la punibilità si potrebbe ipotizzare verificando rigorosamente l'eventuale sussistenza di un concorso morale sotto forma di rafforzamento dell'altrui proposito criminoso. La rilevanza sotto questo profilo del contributo di agevolazione è sostenuta anche dalla giurisprudenza (Cass. pen., sez. IV, 8 novembre 2018, n. 52791): fermo restando il fatto che il concorso morale non debba essere il frutto di inammissibili presunzioni probatorie.

Vale ritenere che detta agevolazione debba essere valutata in concreto individuando il secondo termine della relazione causale non nell'evento astratto descritto dalla fattispecie, bensì appunto nell'evento concreto, realizzatosi «qui e ora».

Tra le teorie non strettamente causali, occorre segnalare la dottrina che, ribadita l'opportunità di superare, nel concorso, la categoria della causalità, propone, come criterio ad essa alternativo, quello della obiettiva strumentalità rispetto alle condotte che compongono la vicenda concorsuale, ritenuto più consono alla valutazione dei rapporti fra condotte umane: esse sono frutto non di determinismo causale ma di scelte, iniziative, di un attivo manifestarsi delle modalità operative cui si ricollegano i singoli contributi.

Venendo al concorso morale, lo stesso può assumere, innanzitutto, le due fondamentali forme della determinazione di altri al reato o del rafforzamento dell'altrui proposito criminoso, talora inquadrate nella superiore nozione di istigazione.

Per quanto riguarda, in via generale, il punto di confluenza tra la compartecipazione morale e l'iter criminis, mentre parte della dottrina sottolinea la necessità che il contributo psicologico intervenga esclusivamente nella fase ideativa del reato, altra dottrina ed in genere la giurisprudenza, ritengono invece possibile che il concorso morale si inserisca anche solo quale sostegno all'altrui attività esecutiva.

Problema fondamentale delle forme di concorso morale è quello relativo all'inquadramento o meno delle stesse all'interno dello schema causale.

La giurisprudenza adotta una nozione particolarmente ampia di concorso morale. Accanto alle decisioni che riconoscono expressis verbis l'idea di una responsabilità penale basata esclusivamente sulla mera adesione morale, sono assai numerose quelle che sanciscono la rilevanza penale della mera adesione morale cui consegua un rafforzamento dell'altrui proposito criminoso. La giurisprudenza ritiene penalmente rilevante anche la condotta, valutata ex ante, astrattamente idonea a determinare l'altrui comportamento, da cui altri abbia comunque tratto «motivo di sicurezza» o «di stimolo» nella realizzazione del reato (Cass. pen., sez. V, 12 gennaio 2012, n. 14991).

La dottrina sottolinea l'importanza di rimanere saldamente ancorati al criterio causale (condizionalistico o di agevolazione) anche nel caso del concorso morale.

In tale contesto, la pronuncia in esame inserisce la condotta nella prospettiva finalistica del contributo all'unitarietà del fatto collettivo realizzato, illustrando il concreto contributo prestato al fatto collettivo dal ricorrente. Su queste basi, al ricorrente è stato addebitato sia un contributo morale consistito nella sollecitazione agli altri manifestanti ad avvicinarsi alle forze dell'ordine, sia un contributo materiale consistito nel lancio della bottiglia, ed ancor prima del suo contenuto, contro gli operanti.

A parere della Suprema Corte risulta poi infondata la censura di erronea focalizzazione della valutazione dei giudici sull'unitarietà dell'azione collettiva dei manifestanti, a discapito dell'accertamento della causalità efficiente del contributo morale e materiale alla commissione del reato, in quanto l'impugnata sentenza ha trattato anche tale snodo, escludendo che le condotte dell'imputato rappresentassero isolate ed autonome reazioni di stizza e manifestazione di ostilità nei confronti delle forze dell'ordine, trattandosi di condotte consapevolmente orientate alla realizzazione dell'obiettivo comune, da intendersi nella specie quello di opporre resistenza all'operato delle forze dell'ordine.

La seconda questione richiama il tema dell'elemento soggettivo nel concorso di persone nel reato, laddove va ricordato che per ritenersi integrata la fattispecie di cui all'art. 110 c.p. occorre provare riguardo all'agente la consapevolezza e la volontà di realizzare con la propria condotta e quella degli altri concorrenti il fatto tipico. Ai fini del concorso è necessaria, quindi, la volontà di realizzare il reato interagendo con la condotta degli altri soggetti, giacché diversamente le condotte degli autori che agiscano l'uno all'insaputa dell'altro costituirebbero cause indipendenti del medesimo fatto, integrative di distinti reati monosoggettivi.

Ciò nonostante, non è indispensabile la sussistenza di un previo accordo a commettere il reato essendo sufficiente che la volontà di concorrere sussista nel momento della consumazione del fatto tipico, sia pur a seguito di un accordo improvviso.

È poi pacificamente ammessa la configurabilità del concorso cd. unilaterale (nel quale soltanto uno dei concorrenti abbia consapevolezza della realizzazione comune del fatto), ancorché chi tale consapevolezza non abbia non sarà punibile a titolo di concorso, potendo rispondere semmai di un reato monosoggettivo (uguale o diverso da quello del concorrente consapevole).

In tale contesto, la pronuncia in esame afferma che l'invocazione di un criterio cronologico di contestualità, che escluderebbe il rilievo tanto degli atti perpetrati prima che dopo rispetto a quelli degli altri concorrenti, postula che dovrebbe sempre escludersi la consapevolezza dell'agente di collaborare a reati in corso d'opera, il che è un dato che si colloca in contrasto con la giurisprudenza secondo cui pacificamente «in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo o, comunque, la reciproca consapevolezza del concorso altrui, essendo sufficiente che la coscienza del contributo fornito all'altrui condotta esista unilateralmente, con la conseguenza che essa può indifferentemente manifestarsi o come previo concerto o come intesa istantanea ovvero come semplice adesione all'opera di un altro che rimane ignaro» (Cass. pen., sez. un., 22 novembre 2000, n. 31). Nei medesimi termini, è stato affermato che «in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo, in quanto l'attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso, talché assume carattere decisivo l'unitarietà del "fatto collettivo" realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui» (Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2013, n. 18745), giungendo infine a rilevare che «ai fini della configurabilità di un'ipotesi di concorso di persone nel reato, non è necessario il previo accordo, essendo sufficiente una intesa spontanea intervenuta nel corso dell'azione criminosa che si traduca in un supporto, pur estemporaneo, ma causalmente efficiente alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso» (Cass. pen., sez. I, 15 febbraio 2019, n. 28794).

Osservazioni

Sono di particolare rilevanza alcuni aspetti sottesi al ragionamento della Suprema Corte nella decisione in esame.

A ben vedere, il criterio della condicio sine qua non viene sostituito dalla più ampia nozione di causalità agevolatrice, all'evidente fine di sottoporre a sanzione a titolo di concorso anche quei contributi che poi non siano stati utilizzati nello sviluppo della condotta criminosa.

Sennonchè, la prospettiva di un rigoroso accertamento ex post, con un evento definito nei suoi elementi costitutivi concreti, è fondata sulla necessità, nel rispetto del principio di stretta legalità, di non punire il mero tentativo di partecipazione (ex art. 115 c.p.), integrato ad esempio dalla condotta di colui che fornisce uno strumento di scasso non utilizzato, pena altresì la violazione del principio costituzionale di offensività. Tale teoria richiede che l'incidenza causale del singolo contributo vada valutata in ossequio ai canoni della teoria condizonalistica e, dunque, secondo una prospettiva ex post. Senza considerare che il criterio causale è espressamente sancito nel contesto concorsuale dall'art. 116 c.p.

Quanto all'elemento soggettivo, perché si abbia partecipazione è necessario che il contributo causale sia sorretto da un coefficiente soggettivo, che svolge una funzione costitutiva della tipicità concorsuale e, quindi, contribuisce ad implementare l'offesa tipica.

La pronuncia ribadisce un orientamento pacifico in giurisprudenza secondo cui un previo accordo fra i concorrenti, pur costituendo la situazionenormale, non è un elemento necessario.

Agisce infatti con dolo di concorso colui che ha la consapevolezza e volontà di contribuire, con la propria condotta, alla realizzazione del fatto di reato, rappresentato nei suoi elementi costitutivi.

L'elemento soggettivo doloso del concorso di persone è quindi costituito da due componenti, necessarie affinché ciascun compartecipe risponda del reato concorsuale: la coscienza e la volontà del fatto tipico previsto dalla fattispecie di parte speciale; la coscienza e la volontà di cooperare con altri alla realizzazione concorsuale.

Va tuttavia ricordato che parte della dottrina ritiene in ogni caso necessaria – tra i compartecipi – la reciproca consapevolezza quantomeno del “collegamento finalistico delle condotte”, anche al fine di tracciare il confine con figure limitrofe quali il favoreggiamento.

Riferimenti
  • Dell'Andro, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano, 1956;
  • Fiandaca, Visconti, Il patto di scambio politico-mafioso al vaglio delle Sezioni Unite, in Foro it., 2006, II, 80;
  • Gallo, Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957;
  • Insolera, Concorso di persone nel reato, in Dig. pen., II, Torino, 1988, 120 ss.;
  • Latagliata, I Principi del concorso di persone nel reato, Napoli, 1964;
  • Padovani, Le ipotesi speciali di concorso nel reato, Milano, 1973;
  • Papa, La compartecipazione criminosa, in Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Diritto penale, Milano, 2022, 609 ss.;
  • Pedrazzi, Il concorso di persone nel reato, Palermo, 1952;
  • Seminara, Tecniche normative e concorso di persone nel reato, Milano, 1987;
  • Vassalli, Note in margine alla riforma del concorso di persone nel reato, in Studi in onore di Marinucci, II, Milano, 2006, 1939.

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