Cessione del credito garantito da ipoteca iscritta su beni oggetto di confisca e malafede del terzo

25 Luglio 2018

Se la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito ipotecario precedentemente insorto determini o meno di per sé uno stato di malafede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell'ammissibilità della sua ragione creditoria.
1.

La quinta sezione della Corte di cassazione è chiamata a decidere su un ricorso proposto avverso il decreto con cui il tribunale di Palermo ha rigettato la domanda di ammissione al pagamento del credito garantito da ipoteca iscritta su beni oggetto di confisca di prevenzione, proposta da una società finanziaria, ai sensi degli articoli 52 del d.lgs. 159 del 2011, applicabile ratione temporis al caso indi specie, per effetto degli art. 1, commi 194 e ss., della legge 228 del 2012.

Avverso il decreto ha proposto ricorso la società la quale ha eccepito l'erroneità dell'orientamento giurisprudenziale su cui il tribunale ha fondato il provvedimento di rigetto, secondo cui il diritto del terzo che si sia reso cessionario di un credito posteriormente all'adozione del sequestro di prevenzione sul bene costituito a garanzia del suddetto credito, sarebbe, per ciò solo, pregiudicato dall'intervento ablativo in quanto in mala fede.

Nel ricorso, invece, si rileva l'esistenza di un altro e opposto orientamento della giurisprudenza di legittimità che estende la tutela prevista dall'art. 52 d.lgs.159/2011 cit. – secondo cui la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi che risultano da atti aventi data certa anteriore al sequestro – anche all'acquirente del credito, qualora ricorrono le condizioni poste dal comma 1 dell'art. 52 cit.

Nel caso all'esame della Corte di cassazione, il credito garantito è stato oggetto di una operazione di cartolarizzazione, ai sensi dell'art. 58 del d.lgs.385 del 1993, e riservata a investitori professionali sottoposti a vigilanza da parte delle autorità competenti del settore; si tratterebbe di un'operazione che per le sue modalità renderebbe inesigibile in capo al cessionario la preventiva verifica delle condizioni giuridiche di tutti i beni assoggettati a garanzia reale, in quanto ceduti in blocco. Sussisterebbe, dunque, in tali casi la buona fede dell'acquirente.

Pertanto la quinta Sezione ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per rimettere il ricorso alle Sezioni unite perché sia stabilito se il cessionario di un credito di data certa anteriore al decreto con cui è stato disposto il sequestro finalizzato alla confisca di prevenzione sul bene costituito a garanzia del credito medesimo, possa godere della suddetta tutela, ricorrendo le ulteriori condizioni poste dall'art. 52 d.lgs. 159/2011, anche qualora il suo acquisto sia intervenuto successivamente all'adozione del provvedimento di prevenzione.

Le Sezioni unite dovranno quindi rispondere al quesito se la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito ipotecario precedentemente insorto determini o meno di per sé uno stato di mala fede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell'ammissibilità della sua ragione creditoria.

Nel caso in esame è evidente che il tribunale di Palermo abbia risposto in senso affermativo aderendo al primo evidenziato orientamento della Corte di cassazione.

Sul punto deve, dunque, rilevarsi come in capo a diverse Sezioni della Cassazione si siano venuti a delineare gli opposti orientamenti, originati da differenti approcci argomentativi.

Secondo un primo orientamento, ampiamente maggioritario anche se formatosi all'interno della seconda Sezione, il terzo cessionario del credito garantito da ipoteca su beni sottoposti a detti provvedimenti ablativi, gode della medesima tutela del creditore originario a condizione che ricorrano, anche nei suoi confronti, l'anteriorità dell'iscrizione dell'ipoteca e l'anteriorità della cessione rispetto al sequestro per consentire la prova della buona fede, intesa come incolpevole affidamento, non potendosi ritenere sufficiente che tali condizioni si realizzino solo in capo al cedente. Tale orientamento – di cui è recente espressione anche la sentenza Cass. pen.,n. 3821 del 2017 – assume come punto di partenza argomentativo l'affermazione secondo cui l'art. 52 del d.lgs. 159 del 2011 debba interpretarsi nel senso che la confisca pregiudica ipso iure i diritti di credito dei terzi che risultino da atti con data certa posteriore al provvedimento ablativo, nonché i diritti reali di garanzia costituiti in epoca posteriore al sequestro. Ne consegue che il creditore cessionario istante, essendo divenuto titolare del diritto di credito in data posteriore al sequestro, è automaticamente in colpa, con la conseguente irrilevanza della prova delle ulteriori condizioni previste dall'art. 52d.lgs.159/2011, ed in particolare di quella richiesta dalla lettera b), ovvero che «il credito non sia strumentale all'attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, sempre che il creditore dimostri la buona fede e l'inconsapevole affidamento».

Si tratta di un orientamento che ha affermato la valenza di tale principio indipendente dalla natura della cessione, non rilevando che questa sia avvenuta “in blocco”, come accade nelle ipotesi disciplinate dall'art. 58 del d.lgs. 385 del 1993. In tal senso deporrebbe l'art. 52 d.lgs. 1259/2011 che non differenzia in alcun modo la posizione degli originari titolari del credito, da quella dei cessionari.

Peraltro, con specifico riferimento alle ipotesi di cessione del credito con le forme di cui all'art. 58 d.lgs. 159/2011, si osserva che tale tipo di operazione non può incidere sugli oneri di diligenza richiesti al creditore titolare della garanzia per far prevalere il proprio diritto sull'interesse pubblico alla apprensione di beni mafiosi. Ciò in quanto – come affermato nella sentenza della Corte di cassazione,Sez. I, n. 8015 del 2017 – un affidamento incolpevole non può configurarsi quando non si è adempiuto all'onere di controllare i pubblici registri, il cui scopo è proprio quello «di rendere opponibile a chicchessia una situazione esteriorizzata nelle forme prescritte».

In conclusione l'orientamento più rigoroso poggia sulla constatazione che l'art. 52 d.lgs.159/2011 riferendosi in generale agli atti aventi data certa anteriore al sequestro, non distinguerebbe in merito alla natura originaria o derivativa del diritto, tutelando solo il cessionario che lo abbia acquistato precedentemente al provvedimento ablativo, avendo altrimenti egli avuto la possibilità di verificare preventivamente la situazione del bene attraverso la consultazione dei pubblici registri.

Tale primo orientamento attribuisce rilevanza al momento in cui la titolarità del diritto di credito privilegiato è passato in capo al soggetto che lo fa valere (in tal senso ancora, Cass. pen.,Sez. II, n. 7694 del 2016; Cass. pen., Sez. II, n. 3821 del 2015; Cass. pen., Sez. II, n. 28839 del 2015; Cass. pen., Sez. II, n. 10770 del 2015), non rilevando il dato oggettivo, cioè la data di origine del credito stesso e della garanzia che lo assiste.

Si tratta, dunque, di un orientamento che nel bilanciamento dell'«interesse alla agevolazione della circolazione dei crediti», insito nella previsione della cessione del credito nelle forme di cui all'art. 58 d.lgs. 385 del 1993, e quello dell'«interesse pubblico all'apprensione di beni mafiosi», fa prevalere quest'ultimo.

Ebbene all'orientamento illustrato se ne è affiancato, contemporaneamente, un altro di segno opposto.

In seno ad altre sezioni della Corte di cassazione si è, infatti, dapprima sostenuto che il riconoscimento dell'affidamento incolpevole del creditore assistito da garanzia non è necessariamente precluso dal fatto che abbia acquistato il credito in epoca successiva all'adozione del sequestro; tale diverso approccio si fonda – evidentemente - sull'assunto che in relazione ai casi in cui l'acquisto sia avvenuto mediante la cessione in blocco di crediti, ai sensi dell'art. 58 d.lgs. n. 385 del 1993, detta particolare modalità della cessione può rendere concretamente inesigibile la verifica delle condizioni giuridiche di tutti i beni sottoposti all'originaria garanzia ipotecaria. Si esclude, in tal modo, che l'acquisto successivo alla trascrizione del sequestro escluda automaticamente la buona fede del cessionario.

Inoltre, nel ribadire tale principio, con la sentenza della quinta sezione della Corte di cassazione n. 1841 del 2017, sì è altresì evidenziato che la cessione del credito – in qualunque modo avvenuta - determina solo la sostituzione del creditore originario, con la conseguenza che il creditore subentrante acquista la medesima posizione del cedente assumendone sia i diritti che gli oneri ed i rischi, compreso quello che il proprio dante causa non fosse in buona fede al momento dell'erogazione del credito.

A sostegno di tale orientamento si osserva, dunque, che il credito fatto valere dal cessionario è lo stesso sorto in capo al cedente, a cui il cessionario si sostituisce, non rilevando le vicende successive all'insorgere del credito stesso.

Si tratta di un percorso argomentativo che trova il fondamento in una diversa lettura dell' art. 52 del d.lgs. 159 del 2011; tale norma – si osserva – si riferisce esclusivamente ai crediti sorti prima dell'avvio del procedimento di prevenzione, non dando rilevanza alle ipotesi di successione nel rapporto obbligatorio, sicché sarà solo la malafede del cedente – e non la cessione in quanto tale – a precludere la possibilità di far valere le pretese sul bene del debitore oggetto di sequestro.

Tale orientamento, pertanto, fornisce una interpretazione dell'art. 52 d.lgs. 159/2011 ben precisa, ovvero che la norma deve essere interpretata nel senso «la confisca non pregiudica - alle condizioni stabilite dalla norma stessa – i diritti di credito dei terzi risultanti da atti aventi data certa anteriore al sequestro, ancorché sia intervenuta sostituzione nel lato attivo del rapporto obbligatorio».

Detto orientamento ha trovato continuità in ulteriori pronunzie di altre sezioni della Corte di cassazione.

Tra queste, la sentenza della sesta Sezione n. 39368 del 2017, che ha affermato che la prova della ignoranza in buona fede del nesso di strumentalità del credito deve essere fornita con riguardo alla posizione soggettiva sia del cedente che del cessionario, ribadendo, da un lato che la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito precedentemente insorto non determina di per sé uno stato di mala fede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell'ammissibilità della sua ragione creditoria; dall'altro che, che per ottenere il riconoscimento del diritto correlato ad un bene confiscato in via definitiva, il soggetto terzo deve allegare elementi idonei a rappresentare non solo la sua buona fede (intesa come assenza di accordi sottostanti che svelino la consapevolezza dell'attività illecita realizzata all'epoca dal contraente poi sottoposto al sequestro), ma anche l'affidamento incolpevole inteso come applicazione, in sede contrattuale, di un livello di media diligenza.

E con specifico riferimento all'ipotesi di acquisto del credito ipotecario c.d. in blocco, la pronuncia citata ha ribadito che la particolare modalità della cessione può determinare l'inesigibilità in concreto della verifica delle condizioni giuridiche di tutti i beni sottoposti all'originaria garanzia ipotecaria. Ciò determina che la buona fede non possa essere esclusa automaticamente per il solo fatto che la cessione del credito sia successiva alla trascrizione del provvedimento ablativo.

L'orientamento espresso dalle pronunzie citate, contrapponendosi a quello precedentemente illustrato, conferisce valore prevalente al profilo oggettivo concernente la data dell'insorgere del credito e, con specifico riferimento alle operazioni di cessione in blocco di crediti, attribuisce rilievo ai fini della prova della buona fede a tale specifica modalità di cessione del credito.

Innanzi alle Sezioni unite, dunque si fronteggeranno due opposti orientamenti.

Il primo, afferma che l'art. 52 d.lgs. 159/2011 debba interpretarsi nel senso che la confisca pregiudica ipso iure i diritti di credito dei terzi che risultino da atti con data posteriore al sequestro, sicché essendo il creditore istante automaticamente in colpa, diventa irrilevante la prova delle ulteriori condizioni di cui alla lettera b) dell'art. cit.; la conseguenza è che al cessionario del credito non è dato dimostrare in nessun caso la propria buona fede, nemmeno quando la cessione abbia avuto ad oggetto crediti garantiti in blocco. Tale approdo sembrerebbe ritenere – secondo un giudizio condotto in astratto – che non sia “credibile” che prima di procedere all'acquisto di rapporti giuridici cd. in blocco, il terzo non proceda ad una analitica verifica della “natura” degli stessi, attraverso la consultazione anche dei pubblici registri, né che possa ritenersi sufficiente una verifica per così dire “a campione” degli stessi, in vista della valutazione della convenienza dell'investimento.

L'altro orientamento, non arrestandosi alla verifica della posteriorità della cessione dei crediti garantiti rispetto al provvedimento ablativo, dà spazio - secondo un giudizio da effettuarsi in concreto – alle modalità della cessione, senza però determinare un affievolimento degli oneri probatori così come previsto dall'art. 52 d.lgs. cit.

Si è in presenza di due orientamenti tra loro contrapposti che ripropongono due differenti opzioni in ordine al sistema delle misure di prevenzione patrimoniale. Una di matrice prevalentemente penalistica “più interessata” ad assicurare il bene cd. mafioso al patrimonio dello Stato, garantendo l'effettività del sistema stesso; l'altra, “più attenta” a tutelare la garanzia patrimoniale dei terzi, secondo un'impostazione civilistica, che non sposando la necessità di un sacrificio indiscriminato dei terzi, attua il bilanciamento degli interessi coinvolti, spostando l'ago della bilancia sulla verifica della sussistenza in concreto della buona fede, non arrestandosi ad un giudizio di mala fede cd. automatica.

Tale ultimo orientamento sembra operare un più ragionevole contemperamento tra le diverse esigenze, ponendosi in linea con i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, tesi ad affermare l'irragionevolezza di quelle previsioni o interpretazioni che importano effetti pregiudizievoli sui diritti dei terzi secondo automatismi.

È, infatti, ben vero che l'interesse pubblico può ricevere una tutela privilegiata anche nei confronti del terzo, in deroga al principio previsto dall'art. 1147 c.c., secondo cui la buona fede si presume, pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina quale principio di portata generale e non limitato all'istituto del possesso in relazione al quale è enunciato; però, come affermato nella sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1997 – sia pure in tema di confisca della cosa appartenente al terzo estraneo al reato di contrabbando - detta tutela privilegiata, non può spingersi al punto da non consentire al terzo di provare il proprio affidamento incolpevole.

Ne consegue che, fermo il presupposto che si tratti di un credito risultante da atto avente data certa anteriore al sequestro, requisito, questo, che - come affermato nell'ordinanza della Corte costituzionale n. 101 del 2015 – è « finalizzato precipuamente ad evitare che la persona sottoposta al procedimento di prevenzione possa eludere gli effetti della confisca tramite collusioni con creditori di comodo», il terzo cessionario del credito ipotecario dovrebbe poter avvalersi della tutela di cui all'art. 52 d.lgs. 159/2011 qualora il suo acquisto sia intervenuto successivamente all'adozione del provvedimento di prevenzione, al fine di provare la propria estraneità rispetto all'attività delittuosa del debitore.

In attesa della decisione delle sezioni unite viene, però, da chiedersi, se non spetti a scelte di politica legislativa, anziché alla pur puntuale e pregevole attività interpretativa dei giudici, intervenire in modo così consistente sulla disposizione di cui all'art. 52 d.lgs. 159/2011

L'introduzione di un “nuovo caso”, ovvero la successione nel rapporto obbligatorio come è la cessione del credito, e l'estensione ad esso della regola della anteriorità rispetto al provvedimento ablativo, sembra costituire espressione tipica della discrezionalità del legislatore in tema di configurazione degli istituti rilevanti sul piano processuale e sostanziale, soprattutto là dove – come affermato nella citata ordinanza della Corte costituzionale n. 101 del 2015 – si incide su «meccanismi di tutela dei diritti dei terzi».

2.

Con ordinanza resa all'udienza del 9 gennaio 2018, ai sensi dell'art. 618 c.p.p., la quinta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale: «se la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito ipotecario precedentemente insorto determini o meno di per sé uno stato di malafede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell'ammissibilità della sua ragione creditoria».

3.

Con provvedimento del 9 gennaio 2018, depositato in cancelleria il 2 febbraio 2018, il Primo Presidente della Suprema Corte, ha assegnato il ricorso alle sezioni unite penali, fissando per la trattazione l'udienza del 31 maggio.

4.

All'udienza del 31 maggio 2018, le Sezioni unite della Cassazione penale – chiamate a pronunciarsi sulla questione controversa «se la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito ipotecario precedentemente insorto determini o meno di per sé uno stato di malafede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell'ammissibilità della sua ragione creditoria» – hanno adottato soluzione negativa, «potendo il terzo cessionario del credito ipotecario oggetto del sequestro o della confisca di prevenzione dimostrare la buona fede».

5.

In data 31 maggio 2018 le Sezioni unite penali con sentenza n. 29847 (depositata in data 3 luglio 2018) hanno affermato il seguente principio di diritto:

«Nel caso in cui la cessione di un credito ipotecario precedentemente insorto avvenga successivamente alla trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione del bene sottoposto a garanzia, tale circostanza non è in quanto tale preclusiva dell'ammissibilità della ragione creditoria, né determina di per sé uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest'ultimo dimostrare la buona fede».

Prima di affrontare gli argomenti oggetto della risposta fornita al quesito posto con ordinanza della quinta Sezione penale, in via preliminare, deve rilevarsi come i giudici di legittimità abbiano avvertito la necessità di porre ordine nei differenti temi trattati nei contrapposti orientamenti giurisprudenziali, distinguendo, in modo netto, la questione della c.d. cessione in blocco di cui all'art. 58 d.lgs. 385/1993, da quella della collocazione temporale della cessione del credito e da quella della incidenza della posteriorità della cessione rispetto al sequestro sulla buona fede del creditore.

Le Sezioni unite sottolineano che la circostanza per la quale la cessione del credito sia stata realizzata attraverso l'operazione di cessione di crediti in blocco, ai sensi del citato articolo 58 d.lgs. 385/1983, costituisca un profilo di mero fatto nonostante gli opposti orientamenti giurisprudenziali abbiano avuto ad oggetto fattispecie concrete nelle quali era venuto in rilievo tale tipo di cessione del credito.

Nella sentenza si afferma, infatti, che la particolare modalità del trasferimento dei crediti di cui all'art. 58 d.lgs. 385/1993 cit., che si caratterizza – come più volte riferito – per essere una cessione in blocco degli stessi- non interferisce con il tema della necessità (o meno), ai fini dell'ammissione del credito, dell'anteriorità della cessione rispetto al provvedimento di sequestro o confisca del bene costituito a garanzia del suddetto credito.

Ciò puntualizzato i giudici affrontano il tema, centrale, concernente le conseguenze della collocazione temporale della cessione del credito.

Essi affermano di condividere il secondo orientamento – quello, espressione della impostazione più aderente ai principi civilistici, secondo cui l'affidamento incolpevole del creditore non è automaticamente precluso dall'avere acquistato il credito in epoca successiva all'adozione del sequestro – evidenziando come la pre-condizione dell'anteriorità, ai fini dell'ammissione del creditore al riparto del credito assistito da garanzia sul bene confiscato, «è prevista solo per la costituzione del credito e non anche per l'eventuale cessione dello stesso».

La preferenza per tale orientamento prescinde dal dato letterale dell'art. 52 d.lgs. 159/2011.

Nella sentenza si osserva, infatti, che non vi è alcun dubbio che la disposizione citata non contempli l'ipotesi della cessione del credito in tema di requisiti di ammissibilità dell'istanza creditoria, con la conseguenza che la mancata indicazione costituisce un dato neutro, utilizzabile – come infatti avvenuto – a sostegno di entrambi gli orientamenti fronteggiatisi innanzi alle Sezioni unite.

Diversi sono invece gli elementi valutati dai giudici di legittimità a sostegno della ammissibilità del credito, anche quando sia stato ceduto in epoca successiva al sequestro.

In primo luogo, essi valorizzano il dato oggettivo – enucleabile dalla portata letterale dell'art. 52 d.lgs. 159/2011 cit. – della data di insorgenza del credito, nel senso che l'anteriorità rileva quale «attributo del diritto di credito» non riferendosi «alla posizione creditoria del terzo»; e al credito si riferiscono anche le condizioni di cui alle lettere a) e b) dell'art. 52 d.lgs. 159/2011 cit., risultando dunque ininfluente l'eventuale cessione.

Ad avviso dei giudici di legittimità tale opzione troverebbe conferma argomentativa nella medesima disposizione che, ancora una volta, riferisce l'anteriorità anche ai diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore al sequestro e, dunque, al momento della costituzione del diritto reale di garanzia.

Integrando, dunque, l'anteriorità rispetto al provvedimento ablativo, un attributo del credito “necessario” al momento della costituzione del diritto di credito o del diritto reale di garanzia, le Sezioni unite negano la possibilità di estendere in via analogica o in via di interpretazione estensiva la disciplina in esame anche alle ipotesi di cessione del credito, trattandosi di fattispecie giuridica del tutto diversa da un fenomeno costitutivo del credito e dei diritti reali garanzia ad esso associati.

Infatti, la cessione del credito – che certamente non integra un'ipotesi di novazione di cui all'art. 1230 c.c. – comporta “semplicemente” la sostituzione del creditore originario con il cessionario, il quale subentra, secondo la disciplina di cui agli artt. 1260 e ss. c.c., nella stessa posizione giuridica del cedente. Conseguenza è che la pre-condizione dell'anteriorità del sequestro non possa riferirsi alla cessione del credito, trattandosi di una previsione normativa applicabile, per ciò che si è finora osservato, solo a fattispecie costitutive del diritto reale di garanzia.

Ma vi è di più. La differenza tra fattispecie con efficacia costitutiva e fattispecie con efficacia derivativa, qual è la cessione del credito porta, coerentemente, i giudici di legittimità a porre in evidenza come, realizzandosi, in quest'ultimo caso, il trasferimento del credito con tutti i suoi accessori, ai sensi dell'art. 1263 c.c., il cessionario assuma la titolarità del credito «anche nella possibilità di far valere le condizioni, a quel credito afferenti, per l'ammissione dello stesso al riparto in caso di confisca del bene oggetto del diritto di garanzia associato al credito».

Tra queste “condizioni” vi è anche quella dell'anteriorità della costituzione originaria del credito rispetto al provvedimento di sequestro, condizione che permane in capo al cessionario anche là dove abbia acquistato, a titolo derivativo, il credito in epoca successiva al provvedimento restrittivo.

La decisione delle Sezioni unite, nel riferire la pre-condizione dell'anteriorità al solo momento di costituzione del credito, e non anche a quello del suo trasferimento, si pone come armonico sviluppo della ratio della previsione normativa in tema di tutela dei terzi in presenza di misure di prevenzione patrimoniali, individuabile nella finalità di assicurare gli effetti della misura restrittiva, impedendo la costituzione di crediti simulati in relazione ai beni oggetto di confisca.

La prescrizione dell'anteriorità è stata infatti “pensata” dal Legislatore proprio al fine di contrastare la precostituzione di posizioni creditorie di comodo, assicurando l'effettiva esistenza del credito sicché, appurata l'anteriorità del diritto di credito, è possibile escludere «che siffatte operazioni si siano verificate» non trovando, pertanto, alcuna ragione la necessità che l'eventuale cessione del credito preceda il sequestro.

L'iter argomentativo appena sintetizzato, nell'escludere la possibilità di “estendere” la pre-condizione dell'anteriorità anche alla cessione del credito, dà forza alle conclusioni cui si è pervenuti al paragrafo 1 di questo elaborato là dove, nel dare conto dei contrapposti orientamenti, si è rilevato che la necessità dell'anteriorità anche in relazione alla successione nel rapporto obbligatorio, come è la cessione del credito, dà luogo all'introduzione di un “nuovo caso”, la cui eventuale previsione avrebbe dovuto essere il frutto di scelte, specifiche, di politica criminale; anche se dopo la pronunzia in esame, sembrerebbe potersi aggiungere, che si tratterebbe di una previsione eccesiva rispetto allo scopo di impedire la costituzione di crediti simulati, incidendo in modo significativo su «meccanismi di tutela dei diritti dei terzi».

Nella parte finale della sentenza (paragrafi 8 e 9), i giudici di legittimità affrontano l'altro tema oggetto del quesito rimesso alla Sezioni unite riguardante l'incidenza della posteriorità della cessione rispetto al sequestro sulla buona fede del creditore.

Infatti, se l'anteriorità della cessione del credito non costituisce una condizione (recte: pre-condizione) di ammissibilità dell'istanza creditoria, rilevando a tal fine soltanto la data di insorgenza del credito, certamente la buona fede del creditore cessionario costituisce, invece, una condizione di ammissibilità diversa e ulteriore.

I giudici di legittimità sul punto danno atto della tesi del procuratore generale secondo il quale se da un lato non è necessaria l'anteriorità della cessione, dall'altro la posteriorità della cessione rispetto alla trascrizione del provvedimento di sequestro «porrebbe inevitabilmente il cessionario in una situazione di malafede» sull'assunto che sul cessionario incomba l'onere di verificare che sul bene oggetto della garanzia non vi siano vincoli.

Ebbene, con la pronunzia in esame i giudici di legittimità si discostano dalla posizione dell'organo requirente che sembrerebbe tendere a far proprio un concetto di mala fede automatica, trattandosi di una posizione che considera pregiudizievole per la sussistenza del presupposto della buona fede del creditore la conoscenza o la conoscibilità del sequestro gravante sul bene.

Le Sezioni unite respingono tale opzione argomentativa affermando che la conoscibilità o conoscenza dell'apposizione sul bene del vincolo derivante dal sequestro costituisce il presupposto in presenza del quale la legge impone le verifiche finalizzate ad ammettere il credito del terzo al riparto. Conseguenza è che la conoscenza o la conoscibilità dell'esistenza del sequestro non esclude che il creditore possa far valere le condizioni di cui alla lettera b), comma 1, dell'art. 52 d.lgs. 159/2011 e, dunque, la propria buona fede in ordine all'assenza di strumentalità del credito rispetto all'attività illecita del proposto o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego.

Al creditore cessionario è pertanto consentito provare l'esistenza delle condizioni per l'ammissione del credito garantito anche nel caso in cui abbia acquisito la titolarità del credito in data successiva al sequestro del bene oggetto di garanzia.

Un passaggio particolarmente delicato della decisione in commento è costituito dal punto in cui i giudici di legittimità affermano che nel caso in cui il credito sia ceduto successivamente al sequestro, il «creditore cessionario può avvalersi della condizione di buona fede sussistente in capo al creditore originario»al quale è subentrato nella stessa posizione giuridica.

Sotto tale profilo la decisione in commento puntualizza come, per effetto della vicenda successoria che caratterizza i rapporti tra creditore originario e creditore cessionario, non solo la pre-condizione dell'anteriorità ma «anche la buona fede del creditore sull'assenza di strumentalità rispetto all'attività illecita debba sussistere all'epoca della costituzione del credito e in capo al creditore originario».

In tal modo, escludendo la legittimità di interpretazioni fondate su automatismi, si ribadisce come sul cessionario incomba l'onere di provare, ai fini dell'ammissione del credito, sia la sussistenza originaria del requisito della buona fede, sia la propria buona fede in ordine alla mancanza di accordi fraudolenti con il proposto.

Ai fini di tale prova i giudici di legittimità nel confermare che la cessione del credito avvenuta nell'ambito di un'operazione di acquisti di crediti in blocco costituisca un profilo di mero fatto, sottolineano che la modalità della cessione del credito non esime affatto dagli oneri di verifica dei requisiti di ammissibilità dei crediti appena enunciati. L'adempimento di tali oneri di verifica deve essere dimostrato dal cessionario non potendo affidare la prova della sussistenza della propria buona fede alla particolare modalità della cessione.

Con tale affermazione i giudici di legittimità respingono, pertanto, l'opzione ermeneutica secondo cui nell'ipotesi di cui all'art. 58 d.lgs. 385/1993, sarebbe inesigibile in capo al cessionario la preventiva verifica delle condizioni giuridiche dei beni assoggettati a garanzia reale, in quanto ceduti in blocco, con la conseguenza che sussisterebbe, in tali casi, la buona fede dell'acquirente.

Ne consegue che tale tipo di operazione non può incidere sugli oneri di diligenza del creditore, il quale per far prevalere il proprio diritto su quello pubblico volto all'apprensione di beni illeciti, dovrà dimostrare di avere adempiuto agli oneri specificati.

In conclusione, dalla sentenza delle Sezioni unite può dedursi che soltanto alla luce di una verifica in concreto della sussistenza della buona fede in ordine alle condizioni richieste dalla previsione normativa le ragioni creditorie potranno o meno trovare soddisfacimento, non trovando ingresso – dopo la pronuncia in esame – giudizi fondati su automatismi in ordine alla sussistenza della mala o buona fede.

Ciò, ora, anche con specifico riferimento alle ipotesi di cui all'art. 58 d.lgs. 385/1993.

Il principio di diritto enunciato nella decisione in commento, pertanto, nell'escludere che l'anteriorità della cessione del credito rispetto al provvedimento ablativo, sia una pre-condizione dell'ammissibilità della ragione creditoria, nel consentire al cessionario di provare la buona fede in ordine alle condizioni di ammissibilità di cui all'art. 52, comma 1, lett. b), d.lgs. 159/2011, ed ancora nel “relegare” a mero “profilo di fatto” la modalità con cui si realizza il trasferimento del credito, contribuisce ad attuare l'interesse pubblico ad assicurare l'effettività della misura di prevenzione patrimoniale, senza sacrificare, significativamente se non a determinate condizioni, l'interesse dei creditori del proposto a non veder negata la garanzia patrimoniale.

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