Reato continuato. Al vaglio delle Sezioni unite la questione del concorso eterogeneo di pene

Maria Teresa Trapasso
30 Ottobre 2018

Se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee; e se, in ossequio al favor rei, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria...
1.

La questione che le Sezioni unite sono chiamate ad affrontare ha ad oggetto l'ammissibilità dell'applicazione della disciplina sanzionatoria prevista per il reato continuato, ex art. 81, commi 1 e 2, c.p. nell'ipotesi di reati puniti con pene eterogenee e, nel caso di risposta affermativa, se sia possibile, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite con la pena pecuniaria, operare l'aumento di pena conservando il trattamento sanzionatorio originariamente previsto per il reato satellite – dunque la pena pecuniaria – in ossequio al principio del favor rei. Sostanzialmente, dunque, si tratta di accertare se il cumulo giuridico stabilito dall'art. 81 c.p. vada operato per assimilazione o per addizione (MARINUCCI G., DOLCINI E., Manuale di diritto penale, parte gen., Milano, 2004, p. 315 s).

Secondo la prima soluzione applicativa, ai fini dell'aumento di pena si deve infliggere per i reati satellite, anche ove puniti con pena pecuniaria, una quota di pena detentiva, cioè dello stesso genere di quella prevista per il reato più grave (commutando in pena detentiva la pena pecuniaria prevista per il reato meno grave, secondo i criteri di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.). A tenore del secondo criterio applicativo (“addizione”), alla pena detentiva quantificata per il reato più grave deve aggiungersi la pena pecuniaria prevista per il reato satellite, nei limiti del divieto di superamento del triplo della pena base, ex art. 81, comma 1, c.p. (da verificare ricorrendo ai criteri di ragguaglio di cui all'art. 135 c.p.).

Orientamento favorevole all'unificazione delle pene disomogenee. La questione dell'applicabilità dell'art. 81c.p. in caso di pene disomogenee ha visto inizialmente soluzioni diverse da parte della Corte costituzionale. Se infatti inizialmente la Consulta ne aveva escluso il richiamo (Corte cost. n. 34/1977), successivamente, con altra decisione (Corte cost. n. 312/1988) ne aveva ammesso l'applicabilità per i reati puniti con pene di specie diversa, nella prospettiva esclusiva di far godere all'imputato, in conseguenza del riconoscimento della continuazione, una minore limitazione della libertà personale rispetto a quella che gli sarebbe derivata dal cumulo materiale delle pene.

Con riguardo invece alla Corte di legittimità, in un primo momento le Sezioni unite (n. 12190/1976), nel caso di reati puniti con pene dello stesso genere ma di specie diversa, avevano escluso l'applicazione dell'art. 81c.p. sulla base della considerazione secondo la quale l'unificazione di pene di specie diversa in una sola di unica specie avrebbe comportato la violazione dell'art. 1 c.p., in quanto ne sarebbe derivata l'irrogazione per il reato, per il quale fosse stata prevista una pena di altra specie, di una sanzione che, benché quantitativamente ridotta, non era quella comminata dalla legge e che non sarebbe stata conguagliabile con la prima (in senso critico rispetto a tale soluzione, FIORELLA A., Concorso formale di reato, reato continuato, pene eterogenee, in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, 1553 ss.)

Tale preclusione è stata successivamente superata dalla Suprema Corte, che ha affermato la possibilità – una volta ritenuta la continuazione tra reati – di aumentare solo la pena prevista per la violazione più grave, ritenendo irrilevante la qualità della pena prevista per i reati satellite, il cui trattamento sanzionatorio originariamente previsto non esplicherebbe più alcuna efficacia (Cass. pen., Sez. unite, n. 4901/1992; Cass. pen., Sez. unite, n. 15/1997; Cass. pen., Sez. unite, n. 25939/2013). In tale prospettiva, la perdita di autonomia sanzionatoria dei reati meno gravi, nell'ambito dell'unica pena legale di cui all'art. 81 c.p., determinerebbe come conseguenza l'omologazione delle pene di genere e di specie diversa.

All'accoglimento di una tale soluzione interpretativa, si osserva, non osterebbe la considerazione del rispetto dell'art. 1 c.p.: l'aumento ex art. 81 c.p. delle pena detentiva prevista per il reato più grave in astratto – secondo il metodo di calcolo della c.d. moltiplicazione, anche ove il reato sia punito esclusivamente con la pena pecuniaria – si iscrive coerentemente nell'alveo del principio di legalità, in quanto la pena stabilita dalla legge non sarebbe solo quella prevista dalla singola norma incriminatrice, ma anche quella risultante dal coordinamento sistematico delle disposizioni sul trattamento sanzionatorio.

Orientamento contrario all'unificazione di pene diverse. Dalla soluzione sostenuta dalla giurisprudenza prevalente dissente altra, recente, giurisprudenza (si v. Cass. pen., Sez. V, n. 35999/2015 e Cass. pen., Sez. V, n. 26450/2017) che esclude l'applicabilità del criterio di cui all'art. 81, commi 1 e 2, c.p. nell'ipotesi in cui il concorso formale e la continuazione riguardino reati puniti con pene eterogenee o di specie diversa, sulla base dell' argomentazione incentrata sul principio del favor rei che ispira la disciplina del reato continuato, contraddetta, si sostiene, ove l'unificazione delle pene diverse, con relativo aumento della pena prevista per il reato più grave, determinasse la conversione delle pene per i reati satellite in pene più gravi (per genere o specie). In ciò criticando l'orientamento prevalente della giurisprudenza, che nelle sue determinazioni contrasterebbe sia con la giurisprudenza di legittimità, che con quello delle Sezioni unite, che, nella determinazione della pena, preferisce un approccio “multifocale”, che tende cioè «a preservare l'autonomia dei reati satellite rispetto al reato più grave laddove ciò sia funzionale alla realizzazione della ratio del favor rei dell'istituto».

In tal senso viene rilevato un mancato coordinamento tra l'orientamento delle Sezione unite (Cass. pen., Sez. unite, nn. 4901/1992, 15/ 1997, 25939/2013), che, una volta ritenuta la continuazione, ritiene di dover aumentare la pena prevista per il reato-base senza assegnare rilevanza al trattamento sanzionatorio dei reati satellite e alla “qualità” della pena per essi prevista; e quegli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che, nell'ottica del favor rei, privilegiano invece una ricostruzione pluralistica del reato continuato.

A supporto di tali riflessioni circa il privilegio accordato dall'ordinamento a favore di una concezione pluralistica del reato continuato, vengono richiamate decisioni delle Sezioni unite in materia di indulto (Cass. pen., Sez. unite, n. 18/1989), di custodia cautelare (Cass. pen., Sez. unite, n. 1/1997), di benefici penitenziari (Cass. pen., Sez. unite, n. 14/1999), di attenuante della riparazione del danno (Cass. pen., Sez. unite, n. 14/ 1999 e Cass. pen., Sez. IV, n. 4616/2017), di diritto di querela (Cass. pen., Sez. III, n. 42891/2008); oltre che le previsioni normative di cui alla legge 251/2005, a proposito dell'individuazione del dies a quo della prescrizione.

A ciò si aggiungono argomenti tratti dall'interpretazione dell'art. 81 c.p. (che nella formula aumento della quantità della pena appare riferirsi esclusivamente ad un aumento quantitativo della pena-base, ma non ad una sua trasformazione qualitativa); dell'art. 669 c.p.p. (che attribuisce minore gravità alla pena pecuniaria rispetto a quella detentiva, giustificando in un'ottica di favor rei la trasformazione della pena detentiva in quella pecuniaria, ma non il contrario); dell'art. 533, comma 2,c.p.p (che nel processo di quantificazione della pena relativamente al reato continuato, mantenendo distinti i singoli reati, consentirebbe la determinazione in termini di addizione della pena eterogenea più favorevole).

Si conclude con un richiamo alla maggiore gravità della pena detentiva rispetto a quella pecuniaria, dedotto dalla più elevata tutela accordata in sede costituzionale alla libertà personale rispetto ai beni patrimoniali, come argomento a supporto di una interpretazione dell'art. 81 c.p. che ne confermi l'applicabilità ai reati puniti con pene eterogenee, tenendo tuttavia conto della disomogeneità del trattamento sanzionatorio del reato satellite. Da ciò si fa derivare la possibilità che si aumenti la pena base del reato più grave punito con la detenzione (fermo il limite ex art. 81, comma 3,c.p.) e solo con riferimento a tale aumento disporre la conversione in pena pecuniaria grazie all'art. 135 c.p., in modo da assicurare la massima estensione all'istituto della continuazione e contemporaneamente preservare il favor rei che ne costituisce la ratio.

A supporto di tale soluzione vengono richiamati taluni precedenti (Cass. pen., Sez. V, n. 1953/1996) nello stesso senso, a tenore dei quali l'ammissibilità della continuazione anche tra reati puniti con pena eterogenea consente l'unificazione delle pene appartenenti allo stesso genere – reclusione/arresto o multa/ammenda – ma non quelle appartenenti a generi diversi, in ossequio al principio di legalità.

***

Le soluzioni interpretative prospettate in tema di concorso di pene disomogenee, anche laddove di segno diverso, richiamano inevitabilmente i parametri della legalità, quale principio su cui si fonda la legittimità della previsione punitiva criminale e il criterio del favor rei, che impone, in presenza di alternative interpretative, di adottare la soluzione meno gravosa per il reo. Ciò tuttavia non è sufficiente per fornire delle risposte definitive a questioni problematiche quali l'individuazione della pena applicabile nel caso di reato continuato, laddove il reato base ed i reati satellite prevedano pene diverse – detentiva, il primo, pecuniaria, i secondi – come dimostra il cospicuo numero di sentenze che la corte remittente nel suo percorso argomentativo richiama.

La materia, benché argomentata in maniera articolata sia in sede dottrinale che giurisprudenziale, trascura tuttavia di considerare taluni profili che invece, a nostro avviso, meriterebbero di essere oggetto di una qualche riflessione, sia con riguardo al tema del cumulo giuridico relativamente al reato continuato, sia con riguardo ai termini di un utile richiamo al principio del favor rei.

Con riguardo al primo profilo, deve osservarsi come sarebbe opportuno “distinguere” il cumulo giuridico riferito al reato continuato da quello riguardante il reato continuato. Se è vero che l'art. 81,comma 2, c.p. estende al secondo il trattamento sanzionatorio previsto per il primo, è pur vero che tra il concorso formale ed il reato continuato esiste una diversità di considerazione da parte dell'ordinamento, benché l'estensione al reato continuato (specie dal 1974, ammettendo la configurabilità del medesimo disegno criminoso ad avvincere reati diversi) della stessa disciplina prevista per il concorso formale, sia stata tradizionalmente fondata sull'unicità della risoluzione criminosa per entrambe le ipotesi di concorso.

Una tale legittimazione della scelta di uniformare il trattamento sanzionatorio di un concorso materiale a quanto previsto per un concorso formale, avrebbe dovuto tuttavia fare i conti con la previsione dell'art. 61, n. 2 c.p., che al “nesso teleologico” tra reati attribuisce il ruolo di fattore di aggravamento della pena, così da porsi in patente contraddizione con la scelta “di favore” – cumulo giuridico in luogo di cumulo materiale – appena descritta per il reato continuato.

Tale contraddizione, pure riscontrata in sede interpretativa, ha portato la dottrina ad assumere posizioni che si sono limitate, per taluni, alla mera constatazione della coesistenza di norma di segno opposto; mentre da altri, più rispettosi del dato normativo, a proporre soluzioni applicative che rendessero compatibile la previsione dell'art. 81 c.p. con quella dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p., così da suggerire l'applicazione dell'aggravante e far seguire a tale operazione l'applicazione del cumulo giuridico.

Perché quest'ampia digressione sul reato continuato e sull'aggravante del nesso teleologico? Perché, a nostro avviso, la considerazione del ruolo del trattamento sanzionatorio originariamente previsto per i reati satellite e l'individuazione della qualità dell'aumento della pena prevista per il reato base (detenzione o pena pecuniaria), non può prescindere dalla considerazione di un tale “assetto normativo” di base, che vede la rappresentazione del nesso di interdipendenza funzionale tra reati come motivo di aggravamento di pena.

Se infatti la mera rappresentazione anticipata del nesso teleologico vale a fondare l'aumento di un terzo della pena base, sarebbe contraddittorio ritenere invece che la sua realizzazione, sub specie di “medesimo disegno criminoso” quale elemento costitutivo del reato continuato, possa essere considerato tamquam non esset in sede di commisurazione della pena.

Probabilmente la giusta valorizzazione di tale dato avrebbe dovuto essere posta a fondamento della scelta di non applicare il cumulo materiale, in quanto, l'eventuale aggravamento di pena per la ricorrenza del nesso teleologico avrebbe comportato un aumento di pena fin troppo consistente ove ad esso si fosse accompagnata la somma delle pene per i singoli reati.

Una giustificazione della scelta del cumulo giuridico per il reato continuato coerente con il dato normativo, avrebbe dovuto dunque fondarsi sull'esigenza di ridimensionare l'aggravio sanzionatorio derivante dal cumulo materiale relativo a reati nel cui novero fosse assegnata una giusta collocazione all'elemento del “nesso teleologico”, sottratto alla bilanciabilità connessa alla natura di circostanza in quanto divenuto, invece, elemento costitutivo ex art. 81, comma 2,c.p.

Spia significativa di questa preoccupazione, la sottolineatura del limite massimo di pena insuperabile (il triplo della pena base e l'ammontare delle pena che verrebbe applicata ove si procedesse al cumulo materiale), mentre nulla si dice per il minimo.

Un'equa considerazione delle scelte di politica criminale – punire di più chi dimostra una maggiore riprovevolezza soggettiva attestata dalla predeteriminazione di un programma criminoso – e della proporzione della pena, avrebbe portato dunque il legislatore ad una scelta compromissoria: il nesso teleologico può costituire un'aggravante fintantoché ad esso non segua la commissione dei reati programmati. Se esso invece si realizza, quale elemento costitutivo del reato continuato, autorizza un aumento di pena che tuttavia non può superare i limiti descritti ex art. 81 c.p.

In ciò consiste il favor rei, che opera nel reato continuato quale principio “immanente” la previsione, e in tali termini – prevedendo il cumulo giuridico in luogo del cumulo materiale - esaurisce la sua funzione. Ad esso non può invece assegnarsi altresì il ruolo di criterio di individuazione di scelte interpretative alternative che tuttavia disattendono il dato normativo: infattirenderebbe sempre illegittime le sanzioni detentive, in quanto sicuramente più afflittive di quelle pecuniarie.

Una tale ricostruzione interpretativa, a nostro avviso, restituisce coerenza a previsioni altrimenti incompatibili, collocando l'aggravante del nesso teleologico in una relazione di progressione di disvalore rispetto al reato continuato, scongiurando tuttavia l'effetto di moltiplicazione sanzionatoria attraverso il limite posto dal legislatore con il prevedere il cumulo giuridico in luogo di quello materiale.

Quali le conseguenze sul piano dell'individuazione della pena.

In primo luogo l'impossibilità di accogliere ricostruzioni interpretative che prevedano l'applicazione congiunta dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p. e dell'art. 81 comma 1 c.p.: il nesso teleologico che si realizza, legittima solo l'aumento dell'art. 81 c.p.; diversamente, lo stesso elemento verrebbe posto a base di entrambi gli aumenti determinando una duplicazione sanzionatoria integrante un'ipotesi di bis in idem.

In secondo luogo, ed è il tema centrale in materia di concorso di pene eterogenee, l'aumento della pena nel reato continuato è un aumento che trova la sua legittimazione nella previsione di disvalore assegnato dall'ordinamento al nesso teleologico, e che fonda, ove qualificabile come mera circostanza, l'aumento di pena di cui all'art. 61 n. 2 c.p.; ove invece integrante l'elemento del reato continuato corrispondente al “medesimo disegno criminoso”, esso autorizza un incremento di pena che non ha un limite minimo (che invero coerenza imporrebbe quanto meno non inferiore al terzo previsto per l'aggravante), ma ha un limite massimo, quello cioè descritto nel doppio divieto di cui all'art. 81 c.p..

L'incremento di pena per il reato base, è indispensabile segnalarlo, è dunque un aumento della “sua” pena e non il risultato dell'estensione del trattamento sanzionatorio previsto per i reati satellite. Ad essi deve invece essere assegnato un duplice ruolo: quello di fondare una valutazione di maggiore disvalore per il reato più grave (autorizzando, per esso, un aumento della pena base); e quello di consentire l'ulteriore incremento sanzionatorio del reato base, estendendo ad esso il trattamento sanzionatorio originariamente previsto da tali reati satellite, fermo il limite dell'ammontare del cumulo materiale (: forse non è superfluo, in tale contesto, osservare come la portata semantica dell' espressione “la pena non può essere superiore” di cui all'art. 81, comma 3, c.p., ricomprende anche il significato secondo il quale essa potrebbe essere “pari” a quella che conseguirebbe dall'applicazione del cumulo materiale).

2.

All'udienza del 20 marzo 2018 la quarta Sezione penale ha rimesso alle Sezioni unite le seguenti questioni di diritto:

«se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee; e se, in ossequio al favor rei, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l'aumento di pena per quest'ultimo debba conservare il genere di pena pecuniaria».

3.

Il Primo Presidente della Corte di cassazione ha fissato per il 21 giugno 2018 l'udienza davanti alle Sezioni unite per la trattazione della questione controversa:

«se sia ammissibile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee; e se, in ossequio al favor rei, ferma la configurabilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, ove il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello satellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l'aumento di pena per quest'ultimo debba conservare il genere di pena pecuniaria».

4.

All'udienza del 21 giugni 2018, le Sezioni unite della Cassazione penale hanno affermato i seguenti principi di diritto:

  • è configurabile la continuazione tra reati puniti con pene eterogenee;
  • nel caso in cui il reato più grave sia punito con la pena detentiva e quello saltellite esclusivamente con la pena pecuniaria, l'aumento di pena per quest'ultimo deve conservare il genere della pena pecuniaria ma deve essere effettuato secondo il criterio della pena unitaria progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, per il principio di legatlità della pena e del favor rei, il genere della pena previsto per il reato satellite, nel senso che, l'aumento della pena detentiva del reato più grave andrà ragguagliato ai sensi dell'art. 135 c.p.»
5.

Le Sezioni unite della Corte di legittimità, chiamate a decidere sulla questione della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee, affermano i seguenti principi: il primo, che l'eterogeneità delle pene non può essere di ostacolo al riconoscimento della continuazione; il secondo, che l'aumento della pena detentiva deve essere ragguagliato a pena pecuniaria, secondo il criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione.

Quali le argomentazioni che il Collegio pone a fondamento di tali affermazioni?

Innanzitutto il dato letterale: l'assenza nel testo dell'art. 81 c.p. di limitazioni all'applicabilità del regime di favore di cui all'art. 81, comma 2, c.p. (disciplinante il reato continuato), relative alla tipologia dei reati di cui si assume la medesimezza del disegno criminoso (delitti o contravvenzioni), o al genere (detentive o pecuniarie) o alla specie (reclusione, arresto; multa, ammenda) delle pene per essi previste.

Quindi, l'interpretazione teleologica; la ratio che la norma di cui all'art. 81 cpv c.p. si propone è quella della valorizzazione in senso favorevole dell'esistenza di un medesimo disegno criminoso a unificare le plurime violazione di disposizioni di legge, qualeelemento sintomatico di minore pericolosità.

La considerazione di entrambi questi profili induce il Collegio a prendere le distanze da quegli orientamenti che, in adesione al criterio di applicazione del cumulo giuridico nei termini della pena unica progressiva per moltiplicazione, mediante aumento della pena per il reato più grave (indipendentemente dal genere di quella prevista per i reati satellite che andrebbero ad omologarsi alla pena base), condizionano l'applicabilità del cumulo giuridico al risultato all'esito - trattamento deteriore o meno - per l'imputato rispetto al cumulo materiale.

La necessità di contemperare il riconoscimento della continuazione (con il trattamento di favore che ne consegue), con il principio di legalità, induce pertanto le Sezioni unite a valutare in senso critico, sia le soluzioni interpretative che legano l'aumento per la continuazione all'omologazione al genere e alla specie della pena prevista per la violazione più grave; sia quelle che legittimano l'aumento previsto per la violazione più grave a prescindere dal genere di pena previsto per i reati satellite affermandone la natura di “pena legale”, qualificando come tale non solo «la pena prevista dalla singola norma incriminatrice, ma anche quella risultante dall'applicazione delle varie disposizioni che incidono sul trattamento sanzionatorio».

A tali osservazioni critiche su assunti sostenuti in sede giurisprudenziale, le Sezioni unite fanno seguire indicazioni operative nel merito; e dunque, in primo luogo, si afferma come il concetto di aumento di cui all'art. 81 c.p. debba essere inteso nel senso di prescindere dalla omologazione delle pene: l'integrazione della pena base, in presenza della medesimezza del disegno criminoso, non deve essere necessariamente omogenea e condizionata dal tipo di sanzione prevista per il reato più grave.

In secondo luogo si osserva come l'aumento, sub specie di pena detentiva, della pena detentiva prevista per il reato più grave, a fronte di un reato punito con la sola pena pecuniaria, determinerebbe la violazione del doppio limite all' aumento di pena, ex art. 81 c.p., che dovrebbe applicarsi per la violazione più grave: quello interno, relativo al triplo della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave; ed il limite esterno, di cui al comma 3, del non superamento della pena rispetto a quella che deriverebbe dall'applicazione del cumulo materiale.

Una tale operazione interpretativa, consistente nell'aumento della pena detentiva a fronte di una pena solo pecuniaria prevista per il reato satellite, determinerebbe ad avviso del Collegio i seguenti effetti: l'applicazione di una pena superiore a quella che deriverebbe dall'applicazione del cumulo materiale (in quanto il cumulo giuridico comprenderebbe una frazione di pena detentiva estranea al cumulo materiale, con conseguente illegalità della stessa pena); l'integrazione del divieto di cumulo tra pene detentive e pene pecuniarie (distinte a qualunque effetto giuridico, ex art. 76, comma 3, c.p.); la violazione del principio della proporzionalità della pena, che lega la natura della sanzione prevista alla gravità del reato.

Le Sezioni unite, promuovendo un'ottica di valorizzazione di quella che definiscono la visione “multifocale” del reato continuato (a tenore della quale l'individuazione delle pene per i singoli reati costituisce un'operazione essenziale ai fini della misura degli aumenti da apportare alla pena base), affermano come la perdita dell'autonomia sanzionatoria dei reati satellite nell'ambito del reato continuato non si traduca nell'irrilevanza della valutazione della gravità di tali reati singolarmente considerati. A supporto di tale conclusione, la procedura “bifasica” per definire la pena complessiva da applicare, descritta dall'art. 533 cpv c.p.p. che impone al giudicante di stabilire in primo luogo la pena per ciascun reato; quindi, di determinare la pena da applicare per il reato considerato unitariamente. All'interno della pena così individuata, si osserva, dovrebbe essere specificata l'entità dei singoli aumenti per i reati satellite, al fine di soddisfare due esigenze: l'eventualità delle necessità della scissione delle pene (per applicare taluni istituti ai singoli reati); il controllo dell'esercizio della discrezionalità del giudice nella determinazione della pena, e, dunque, il rispetto del principio di proporzionalità della stessa (diversamente, illegale), dovendo i singoli aumenti corrispondere alla valutazione della gravità degli episodi in continuazione.

Si conclude pertanto in senso affermativo rispetto al quesito concernente l'ammissibilità della continuazione tra reati puniti con pene eterogenee e l'aumento in termini di pena pecuniaria (nel caso in cui questo sia il genere di pena previsto per il reato satellite, mentre la pena base per la violazione più grave sia di tipo detentivo), affermando come, affinché la pena del reato continuato sia legale, occorra rispettare il genere della pena pecuniaria previsto per il reato satellite.

Per procedere a tale operazione, le Sez. unite mostrano di aderire al c.d. criterio della moltiplicazione, comportante l'aumento della pena base, applicato dalla giurisprudenza tradizionale prevalente, e ritenuto il criterio più coerente sia alle indicazioni testuali dell'art. 81 c.p., che alla struttura unitaria del reato continuato con riguardo alla pena. L'aumento di pena pertanto, ad avviso del Collegio, deve essere effettuato in due fasi: sub specie di pena detentiva sulla pena detentiva del reato base; quindi mediante ragguaglio di tale aumento a pena pecuniaria (ex art. 135 cp).

Stabilito il criterio, viene precisato come nei casi in cui la pena dei reati in continuazione sia dello stesso genere (detentiva o pecuniaria) anche se di specie diversa (reclusione/arreso, multa/ammenda), l'aumento per moltiplicazione debba avvenire rendendo omogenea la pena per il reato satellite a quella dello stesso genere, sia pure più grave, del reato base.

Mentre nell'ipotesi in cui la pena detentiva base sia la reclusione, e quella del reato satellite una pena pecuniaria, la specie di pena pecuniaria frutto del ragguaglio sarà la multa, anche ove il reato satellite prevedesse l'ammenda, conformemente peraltro a quanto stabilito dall'art. 76, comma 2, parte prima, c.p., relativo al cumulo materiale, secondo cui le pene di specie diverse concorrenti si considerano, per ogni effetto giuridico, come pena unica della specie più grave.

La sentenza si chiude con una sorta di indicazione casistica dei casi più significativi e frequenti nella prassi. Così, se il reato più grave è punito con pena detentiva, mentre il reato satellite solo con pena pecuniaria, l'aumento di pena per il reato satellite da effettuarsi sulla pena detentiva andrà ragguagliato a pena pecuniaria (ex art. 135 c.p.); mentre nel caso in cui il reato più grave sia punito con pena detentiva e il reato satellite con pena congiunta, l'aumento di pena si effettuerà con pena detentiva della specie di quella prevista per la violazione più grave.

Nel caso in cui il reato più grave sia punito con pena congiunta, ed il reato satellite solo con pena pecuniaria, saranno aumentate entrambe le pene previste per il reato base, con ragguaglio a pena pecuniaria dell'aumento della pena detentiva; nel caso in cui invece il reato satellite preveda la pena alternativa, il giudice potrà operare l'aumento di pena in relazione ad una soltanto delle pene previste per la violazione più grave, motivando la scelta ex art. 133 c.p. Ove il reato satellite sia punito con pena detentiva, si aumentano entrambe le pene previste per la violazione più grave.

Nel caso in cui il reato più grave sia punito con le pena alternativa ed il reato satellite con pena pecuniaria, il giudice opererà l'aumento di pena in relazione ad una soltanto delle pene previste per la violazione più grave, motivando la scelta ex art. 133 c.p.; e in caso di aumento della pena detentiva, esso andrà ragguagliato a pena pecuniaria in applicazione dell'art. 135 c.p.

Da ultimo, nell'ipotesi in cui il reato più grave sia un delitto punito con la sola pena della multa e quello satellite una contravvenzione punita con pena congiunta, o alternativa, verrà aumentata soltanto la pena pecuniaria sub specie di multa.

***

Con la pronuncia in commento le Sezioni unite dimostrano di respingere l'assunto che vede nell'eterogeneità delle pene un ostacolo al riconoscimento della continuazione, e individuano nel ragguaglio dell'aumento della pena detentiva a pena pecuniaria il criterio di applicazione del cumulo giuridico al reato continuato. La decisione appare dunque ispirata dall'intento di evitare un'applicazione della previsione di cui al comma secondo dell'art. 81 c.p. che si traduca in un trattamento deteriore rispetto a quello che sarebbe derivato dall'applicazione del cumulo materiale, sanzione prevista per le ipotesi di concorso materiale, cui “strutturalmente” il reato continuato si richiama. Strutturalmente, ma non quanto a disvalore, come dimostra di considerare l'ordinamento, che assegna al medesimo criminoso, quale connotato qualificante la continuazione di reati, il significato di indice di minore pericolosità del soggetto attivo, il quale, come è stato efficacemente sintetizzato, “cede ai motivi a delinquere una sola volta”, quando cioè concepisce il disegno criminoso (Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale, Parte generale, Milano, 2004, p. 318).

Benché la continuazione di reati, quale deroga all'applicazione del cumulo materiale delle pene, si presenti come istituto di compatibilità non agevole con talune previsioni (si pensi all'aggravante del nesso teleologico, di cui all'art. 61, n. 1 c.p.) e riflessioni di tipo politico criminale (dovute ad un'interpretazione irragionevolmente estensiva del requisito della medesimezza del disegno criminoso), l'ordinamento ha da sempre guardato con favore al riconoscimento della sua configurabilità, maxime dopo la sua estensione, a seguito della riforma del 1974, anche alle ipotesi di concorso eterogeneo di reati, rappresentandosi l'eterogeneità delle pene (per la verità esclusivamente in sede giurisprudenziale), come unico ostacolo ad una sua ordinaria applicazione.

Come operare l'aumento fino al triplo della pena prevista per il reato più grave (ex art. 81, comma 1, c.p.), in presenza di pene di genere (detentive e pecuniarie) diverso? Se il problema delle eterogeneità della specie (arresto/detenzione, ammenda/multa) non si è mai posto come insuperabile - ed in tal senso, la decisione in commento, prevedendo l'applicazione della specie della pena principale, si adegua a quanto tradizionalmente affermato - più complessa e dagli esiti diversi si è posta per la giurisprudenza la questione della eterogeneità delle pene tra reato base e reati satellite, elaborando per essa soluzioni interpretative, per così dire, “estreme” (inapplicabilità della disciplina di favore del reato continuato) o di “problematica compatibilità” con il principio di legalità e del favor rei, ovvero di apertura, da parte di alcune decisioni, verso soluzioni volte alla valorizzazione dell'applicazione del reato continuato quale istituto di maggior favore per il reo.

La decisione delle Sez. unite si iscrive in questo filone, benché in maniera “originale” rispetto alle soluzioni giurisprudenziali ordinariamente sintetizzabili nei termini dell'applicazione del cumulo giuridico “per assimilazione” (consistente in un aumento della pena detentiva per il reato base quale quota di pena da imputarsi ai reati satellite) ovvero “per addizione” (aggiunta alla pena detentiva per il reato base di una pena pecuniaria per il reato satellite).

Infatti, pur ammettendo, conformemente al criterio da ultimo indicato, la compresenza della pena detentiva (per il reato base) con la pena pecuniaria (quanto all'aumento da imputarsi ai reati satellite), tuttavia non applica direttamente la quota di quest'ultima al reato base, ma la ricava dalla conversione ex art. 135 c.p. dell'aumento della pena detentiva in pena pecuniaria.

Una “variante” che appare quale soluzione compromissoria che consente di superare i limiti della pretesa omogeneità quale presupposto per l'applicazione del regime sanzionatorio previsto per il reato continuato (in senso critico Fiorella, Le strutture del diritto penale, Torino, 2018, p. 578 ss), dunque per la sua applicazione, e, nel contempo, di dare adeguato rilievo agli effetti sanzionatori di favore legati all'applicazione del cumulo giuridico.

Con riguardo al primo profilo, si ammette l'eterogeneità delle pene in relazione all'applicazione del cumulo giuridico, consentendo che l'aumento di cui all'art. 81, comma 1, c.p. possa consistere nella pena pecuniaria (meno grave rispetto alla detenzione).

Dall'altro, tuttavia, le Sezioni unite appaiono ancora legate al concetto di pena unica omogenea, laddove operano sul reato base l'aumento in termini di pena pecuniaria non “per aggiunta” ma “per conversione” della pena detentiva. Prospettiva interpretativa, questa (peraltro proposta in sede dottrinale da Mantovani, Diritto penale, Padova, 1992, p. 504; Padovani, Diritto penale, Milano, 1998, p. 509), che appare coerente con un rilievo non richiamato in sede argomentativa, ma che pure potrebbe dirsi significativo nel senso fatto proprio dal criterio proposto; in sede interpretativa si è infatti osservato, a proposito degli aumenti di pena per i reati satellite, come trattandosi di cumulo giuridico e non di cumulo materiale, essi potrebbero essere inferiori al limite edittale minimo previsto per ciascun reato (Coppi, voce Reato continuato, in Dig. disc. pen., XI, 2000, p. 231). In tal senso, la considerazione autonoma e non collegata ai limiti edittali della pene pecuniarie previste per i reati satellite, varrebbe ad emanciparne la considerazione ai fini dell'aumento, limitandone la significatività quanto al genere – pene pecuniaria – ma non quanto alla partita considerazione quale pena collegata a “quel” reato satellite determinato.

Se l'incremento sanzionatorio non può consistere nei termini della pena detentiva (violandosi altrimenti i limiti posti nell'art. 81, comma 3, c.p., che pure le Sezioni unite richiamano in un passaggio della decisione), esso corrisponderà alla pena pecuniaria, non “per addizione” ma “per conversione”. Si adotta pertanto una soluzione interpretativa in termini di favor rei di una dizione legislativa, quello di cui all'art. 81, comma 1 (e comma 2, c.p.), che certo, nella sua ambiguità, ha nel tempo autorizzato soluzioni di segno opposto, rispetto alle quali la scelta delle Sezioni unite nella decisione in commento è stata quella di aderire alla ratio di favore che ispira la previsione del reato continuato, incoraggiandola e non depotenziandola.