Alle Sezioni Unite il contrasto in tema di regime di rilevabilità dell'inosservanza dei divieti inerenti all'ammissibilità della prova testimoniale

12 Ottobre 2020

La Seconda sezione della Cassazione, ravvisando un evidente contrasto giurisprudenziale in ordine al diverso regime processuale di rilievo della violazione dei limiti di ammissibilità della prova per testi a seconda che per l'atto sia richiesta la forma scritta ad substantiam vel ad probationem, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
QUESTIONE CONTROVERSA

L'art. 2725 c.c., come noto, prescrive l'inammissibilità della prova testimoniale con riguardo sia agli atti per i quali la legge o la volontà delle parti impone la prova per iscritto, sia agli atti per i quali la forma scritta è richiesta a pena di nullità, facendo salva in ambo i casi unicamente l'ipotesi in cui si debba dimostrare la perdita incolpevole del documento.

Più precisamente, il primo comma della citata norma commina il divieto di prova testimoniale con espresso riferimento agli atti per i quali è richiesta la forma scritta ai fini della prova, mentre il secondo comma si limita ad estendere la medesima limitazione alle ipotesi in cui la forma scritta è elemento essenziale per l'esistenza e la validità del negozio giuridico.

Il tenore letterale dell'art. 2725 c.c. fa evidentemente proprio l'antico brocardo «contra scriptum testimonium, non scriptum testimonium non fertur», senza tuttavia minimamente accennare al regime processuale di rilevabilità della violazione dei limiti imposti.

ORIENTAMENTI CONTRAPPOSTI

Orbene, non rinvenendosi un'espressa previsione legislativa in ordine al regime di rilevabilità, d'ufficio o ad istanza di parte, dei limiti sostanziali di ammissibilità della prova testimoniale, la prassi ha colmato il silenzio legislativo e, individuata la ratio di tali divieti, con la sola eccezione degli atti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam, nell'esclusivo interesse delle parti, ne ha tratto l'inevitabile corollario, per cui l'inammissibilità della prova testimoniale non può essere rilevata d'ufficio, ma è eccepibile esclusivamente dalle parti (che non vi abbiano concorso o rinunziato) in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva o, quanto meno, in sede di espletamento della stessa (Cass. civ.,sez. II, 19 settembre 2013, n. 21443, Cass. civ.,sez. III, 18 luglio 2008, n. 19942, Cass. civ.,sez. II, 28 aprile 2006, n. 9925, Cass. civ.,sez. III, 17 ottobre 2003, n. 15554, Cass. civ.,sez. III 9 gennaio 2002, n.194 e Cass. civ., Sez. Un., 13 gennaio 1997, n. 264).

Come accennato, il riferito orientamento giurisprudenziale ammette comunemente un'unica eccezione ex art. 2725 comma 2 c.c., ovvero con riguardo alla violazione del divieto di prova testimoniale per i contratti aventi forma scritta a pena di nullità.

È, infatti, unanime l'opzione ermeneutica per cui, ove si tratti di provare atti e contratti per i quali la forma scritta sia richiesta a pena di nullità, il divieto di provare per testi l'esistenza del negozio è stabilito a tutela dell'ordine pubblico, con conseguente rilevabilità anche d'ufficio della inammissibilità della testimonianza articolata e/o espletata; per contro, la prassi è altrettanto granitica nel ritenere che per gli atti e i contratti per i quali la forma scritta sia richiesta quale prova del negozio l'inammissibilità della prova testimoniale, in quanto attinente alla tutela di interessi privati, è eccepibile soltanto dalla parte interessata (cfr. Cass. civ.,sez. I, 25 giugno 2014, n. 14470; Cass. civ.,sez. III, 21 marzo 2013, n. 7122; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2010, n. 7765; Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2004, n. 3392; Cass. civ.,sez. III, 17 ottobre 2003, n. 15554; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2002, n. 144; Cass. civ.,sez. I, 19 gennaio 2000, n. 551; Cass. civ.,sez. III, 12 maggio 1999, n. 4690; Cass. civ.,sez. III, 29 aprile 1999, n. 4334; Cass. civ.,sez. lavoro, 1° ottobre 1991, n. 10206; Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1982, n. 6172).

A questo primo orientamento, tuttavia, se ne contrappone un altro (Cass. civ.,sez. III, 14 agosto 2014, n. 17986; Cass. civ., sez. Lav., 28 gennaio 2013, n. 1824, Cass. civ.,sez. II, 8 marzo 1997, n. 2101, Cass. civ.,sez. Lav., 9 ottobre 1996, n. 8838, Cass. civ.,sez. Lav., 6 maggio 1996 n. 4167), che, sostenendo l'unitarietà della disciplina risultante dagli artt. 2725 e 2729 c.c., in forza del loro tenore letterale e della mancanza di un distinguo espresso in merito al regime di rilevabilità, esclude l'esistenza di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad substantiam vel ad probationem.

Questo secondo orientamento, pur affermando che quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista per un certo contratto la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l'esistenza del contratto è inammissibile, salvo che per dimostrare la perdita incolpevole del documento, pretende tuttavia che la detta inammissibilità possa essere rilevata anche d'ufficio e non possa, per contro, essere sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata, perché la sanatoria per acquiescenza riguarderebbe soltanto le decadenze e le nullità previste per la prova testimoniale dall'art. 244 c.p.c. (modalità di deduzione e assunzione della prova, indicazione dei testimoni e loro capacità a testimoniare), non anche la prova testimoniale erroneamente ammessa, di talché la relativa eccezione ben potrebbe essere utilmente formulata anche dopo l'espletamento della prova vietata.

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE

Con ordinanza interlocutoria n. 30244 del 20 novembre 2019 (ud. 06 maggio 2019) la Seconda sezione della Cassazione, ha disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, rilevando l'evidente contrasto in ordine al regime processuale di rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad substantiam vel ad probationem, nonché la particolare importanza della questione di massima.

SOLUZIONE

Le Sezioni Unite, premesso che gli opposti orientamenti giurisprudenziali formatisi in seno alla sezioni semplici non divergono in merito alla sanzione comminata per la violazione del divieto di provare per testi un contratto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem (sul punto l'interpretazione dell'art. 2725 c.c. è pacifica nel senso dell'inammissibilità), bensì al regime di rilevabilità dell'inosservanza di tale limite, ritengono che il ravvisato contrasto debba risolversi aderendo alla posizione maggioritaria.

È stato, infatti, pronunciato il seguente principio di diritto: «l'inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell'art. 2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l'eccezione d'inammissibilità, la prova sia stata egualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall'art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione».

Il Plenum, esaminati gli argomenti invocati dal secondo e minoritario orientamento, conclude nel senso che né la collocazione in un unico articolo delle norme limitative del ricorso alla testimonianza sia per gli atti per i quali è richiesta la prova per iscritto, sia per quelli per i quali la forma scritta è richiesta a pena di nullità, né la previsione per ambo le fattispecie di un'unica deroga ex art. 2724 n. 3 c.c., siano sufficienti a giustificare la riduzione ad unità del regime di rilevabilità dell'eventuale violazione del divieto posto.

Ed invero, l'ammissibilità del ricorso alla prova testimoniale in caso di smarrimento incolpevole del documento è eccezione generale, prevista dall'art. 2724 c.c. con riferimento a tutti i limiti di ammissibilità della prova testimoniale, sicché la stessa non avvalora né infirma la pretesa soggezione ad un identico regime.

Dal canto suo, l'argomento della collocazione unitaria non è ex se idoneo ad elidere le ontologiche differenze che l'elemento formale riveste nell'uno e nell'altro caso.

Appare, per contro, dirimente la considerazione che nei contratti aventi forma scritta ad substantiam l'elemento formale è richiesto per l'esistenza e la validità dell'atto ed anche per la sua prova, sicché la carenza della scrittura, generando la nullità del negozio, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo.

Diversamente, ove la forma scritta sia richiesta ai soli fini della prova, l'esistenza e la validità dell'atto non sono inficiate dalla mancanza dello scritto, venendo questa in rilievo se e solo se le parti si contrappongono in un giudizio, nel corso del quale nulla vieta che i litiganti ne offrano prova mediante confessione o giuramento.

Ne consegue che il limite posto dall'art. 2725 comma 1 c.c. con riguardo a atti e contratti a forma scritta ad probationem, non attenendo l'elemento formale agli effetti sostanziali dell'atto, è dettato nell'interesse esclusivo dei litiganti in maniera del tutto analoga a quanto avviene per i limiti di cui agli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c.

E dalla natura dispositiva delle norme appena citate discende giocoforza la derogabilità ad opera delle parti.

Le Sezioni Unite, avendo attribuito all'onere della forma scritta ad probationem natura disponibile, ne traggono l'ulteriore conseguenza dell'operatività della non contestazione, indi per cui in presenza di non contestazione della stipula e del contenuto di un contratto scritto ad probationem, la prova scritta non è surrogata, ma diviene superflua.

La conclusione secondo cui il limite posto dall'art. 2725 comma 1 c.c. con riguardo a atti e contratti a forma scritta ad probationem, non attenendo l'elemento formale agli effetti sostanziali dell'atto, è dettato nell'interesse esclusivo dei litiganti viene, inoltre, corroborata dal raffronto con le norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel giudizio di cognizione, volte evidentemente a garantire l'ordine pubblico processuale, indi per cui la loro violazione è rilevabile d'ufficio.

Rebus sic stantibus, finisce coll'essere condivisa anche la tradizionale impostazione che riconduce la violazione dei limiti di ammissibilità delle prove, siccome posta a tutela di interessi privati, nell'alveo della nullità relativa, di talché l'inammissibilità della prova testimoniale, con la sola eccezione degli atti e contratti a forma scritta ad substantiam, non può essere rilevata d'ufficio, ma è eccepibile esclusivamente dalle parti (che non vi abbiano concorso o rinunziato) in sede di ammissione della prova, ovvero nella prima istanza o difesa successiva e rimane sanata se la parte interessata non eccepisce la nullità della prova comunque assunta e qualora detta eccezione venga respinta, se la parte interessata non la ripropone in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione.

A modesto parere dello scrivente, il Plenum risolve il contrasto in tema di regime di rilevabilità dell'inosservanza dei divieti inerenti all'ammissibilità della prova testimoniale, sposando tralatiziamente l'orientamento tradizionale, che muove evidentemente dalla massima valorizzazione del principio di disponibilità delle prove.

Si tratta, in linea di massima, di un approdo condivisibile in un sistema interamente improntato al principio dispositivo, quantunque non esente da rilievi critici, se si considera che la ricostruzione prescelta conduce in taluni casi (si pensi al processo contumaciale o al processo con collusione di parti in danno di terzi) alla paradossale situazione, per cui il Giudice debba ammettere qualsivoglia prova testimoniale pur dedotta in aperta violazione dei limiti sostanziali e soggettivi previsti dalla legge.

A tale ultimo riguardo, sebbene manchi nell'arresto in commento qualsiasi riferimento ad eventuali distorsioni o abusi connessi alla massima valorizzazione del principio dispositivo in tema di violazione dei limiti sostanziali di ammissibilità della prova testimoniale, non può sottacersi come la Suprema Corte abbia precisato che il delineato quadro non interferisce col potere giudiziale di revoca delle ordinanze istruttorie (art. 177 c.p.c.), né col potere di controllo del collegio sulle ordinanze (art. 178 c.p.c.) e di certo non limita il potere del Giudice di valutare la prova testimoniale raccolta in violazione dei limiti sostanziali di ammissibilità secondo il suo prudente apprezzamento.

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