È illegittima la registrazione di una lezione da parte del docente

Maurizio Polato
15 Luglio 2022

Il docente viola il diritto alla riservatezza registrando senza consenso degli alunni la lezione anche qualora la registrazione sia per uso personale e volta al miglioramento della didattica.
Massima

Il docente viola il diritto alla riservatezza registrando senza consenso degli alunni la lezione anche qualora la registrazione sia per uso personale e volta al miglioramento della didattica.

Il caso

Un docente di scuola statale presentava ricorso affinché fosse dichiarata l'illegittimità di un ordine di servizio del dirigente scolastico, con il quale gli veniva vietato di registrare le lezioni svolte in classe. A detta del ricorrente, la registrazione aveva l'esclusivo fine d'uso personale volto al miglioramento della propria didattica.

Come emerso dalle allegazioni di fatto e dalle risultanze probatorie dei giudizi di merito, il docente non aveva informato gli alunni della registrazione.

Secondo alcuni alunni, peraltro, il docente avrebbe persino occultato il registratore: «in ogni caso, il docente aveva compiuto una scelta unilaterale non partecipata e non aveva chiesto alcun consenso».

Oltretutto gli alunni erano minorenni, «sicché in tutte le decisioni doveva avere una considerazione preminente l'interesse superiore del fanciullo ai sensi della convenzione di NEW YORK del 20 novembre 1989» (Cit. sentenza in disamina).

Inoltre, nella fattispecie il regolamento dell'Istituto scolastico vietava l'uso di cellulari e altri apparecchi idonei a effettuare registrazioni audiovideo.

Il Tribunale respingeva la domanda della ricorrente e la Corte d'Appello confermava la sentenza. Il docente ricorreva in Cassazione.

Premessa sul contesto normativo

Si premette anzitutto che i fatti in disamina risalgono al 2010, sono quindi precedenti agli importanti aggiornamenti normativi in tema di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali introdotti dal Reg. UE n. 679/2016 (GDPR) e prima delle modifiche operate dal D.lgs. n. 101/2018 al Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. n. 196/2003).

La norma di riferimento nella causa è, pertanto, l'art. 4, co. 1, lett. a) e b) del D.Lgs. 196/2003 come vigente ratione temporis. Nella sua formulazione in vigore nel 2010, si legge: «1. Ai fini del presente codice si intende per:

a) "trattamento", qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati; b) "dato personale", qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale; (…)».
Gli argomenti della Corte d'appello

La Corte d'Appello ricordava come la decisione di registrare le lezioni fosse in completa collisione con il regolamento dell'Istituto che, a suo dire legittimamente, vietava le registrazioni. Infatti, le direttive del MIUR e del Garante della privacy rimettevano alla discrezionalità degli Istituti scolastici la disciplina dell'uso di cellulari e dispositivi che potessero effettuare registrazioni.

La corte territoriale valutava legittimo uso, del potere conformativo del datore di lavoro, il divieto disposto dal dirigente scolastico con ordine di servizio, dal momento che era finalizzato alla tutela della riservatezza degli alunni e anche a evitare conflitti tra il docente e gli alunni.

La decisione della Suprema Corte

Il ricorrente contestava l'interpretazione del tessuto normativo e delle ulteriori fonti prodotte, deducendo la loro erronea applicazione in fattispecie non pertinente.

La Suprema Corte dichiarava il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato.

Quanto all'inammissibilità si rileva quanto segue.

Il ricorrente denunciava la violazione del provvedimento del Garante della Privacy e del regolamento d'Istituto.

Chiaramente la Corte non poteva che dichiarare inammissibile il ricorso per quanto riguarda tali allegazioni: si tratta di prassi e documenti che in alcun modo possono essere qualificati come norme di legge e che pertanto non sono rilevanti ai fini dell'art. 360 c.p.c., n. 3 (impugnazione delle sentenze «per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro»).

Più pregnanti le considerazioni in merito al rigetto del ricorso per la sua infondatezza.

La Corte riprende la definizione legislativa dei concetti di “trattamento” e di “dato personale”, come sopra riportati nella premessa normativa.

Data la definizione, la Corte rileva come la voce di una persona registrata da un qualsiasi apparecchio elettronico costituisce senz'altro un dato personale «se e in quanto essa consente di identificare la persona interessata» (cit. sentenza in esame).

Questo in quanto per “dato personale” si deve intendere “qualunque informazione”: «tanto dati oggettivi che mere valutazioni; ciò che rileva è che si tratti di informazioni inerenti ad una persona fisica e che quest'ultima sia indentificata o identificabile» (ibid.).

Nel caso specifico, il ricorrente aveva registrato alcune lezioni: com'è ovvio durante una lezione ben possono esservi interventi degli studenti, così come è altrettanto chiaro che lo studente interveniente è identificabile con estrema facilità, essendo la classe «una comunità ristretta».

Il ricorrente, tuttavia, sosteneva che trattandosi di registrazioni a uso esclusivamente personale (al fine di riascoltare le lezioni per migliorarne la didattica), non si debbano applicare le disposizioni in tema di responsabilità e sicurezza previste dal Codice di protezione della privacy. In particolare, il ricorrente argomentava come alla sua condotta non potessero applicarsi gli artt. 15 e 31 della richiamata normativa.

In base all'art. 15: «1. Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile. 2. Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell'articolo 11.»

L'art. 31 invece statuisce: «1. I dati personali oggetto di trattamento sono custoditi e controllati, anche in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, alla natura dei dati e alle specifiche caratteristiche del trattamento, in modo da ridurre al minimo, mediante l'adozione di idonee e preventive misure di sicurezza, i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalità della raccolta.» Il ricorrente, pertanto, riteneva che la propria condotta non avesse leso in alcun modo gli alunni, essendo che le registrazioni erano state effettuate per esclusiva fruizione personale con finalità didattiche. Tuttavia, rileva la Corte come l'intervento del Dirigente sia stato suscitato proprio dagli studenti, i quali lamentavano la lesione dei propri diritti. Per tali ragioni, la Cassazione dichiarava infondato il ricorso. Le motivazioni della Cassazione sono piuttosto trancianti. La normativa è interpretata in senso decisamente ampio in relazione alla tutela dei dati personali: a motivo fondamentale, in ultima analisi, assurge il tema del consenso e, in seconda battuta, della riconducibilità del dato a una persona individuata o individuabile.

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