Il creditore opposto può allegare l’intervenuta retrocessione del credito nel giudizio di opposizione a precetto

28 Luglio 2022

La questione risolta dal provvedimento in commento attiene all'esistenza del potere/dovere, in capo al giudice dell'opposizione a precetto, di conoscere di tutte le vicende relative al credito portato in esecuzione, ancorché successive alla data di notificazione del predetto atto.
Massima

Poiché l'opposizione al precetto costituisce giudizio di cognizione, tutte le vicende relative al credito portato in esecuzione, ancorché successive alla data di notificazione del predetto atto, devono essere considerate dal giudice dell'opposizione, il quale è tenuto a procedere ad una verifica dell'esistenza del credito stesso, e del suo esatto ammontare, con riferimento alla data della decisione del predetto giudizio di opposizione. Ne consegue che il creditore opposto, ove non abbia specificato nel precetto la fonte del suo credito, è legittimato a fornire detta specificazione nel corso del giudizio di opposizione al precetto, documentando l'esistenza e l'importo attuale del credito stesso; il giudice dell'opposizione, in tal caso, è tenuto a tener conto delle deduzioni e allegazioni fornite dall'opposto nel corso del giudizio di opposizione.

Il caso

La vicenda giudiziaria sfociata nel provvedimento in commento prende avvio da un contratto di cessione del credito - attestato da titolo esecutivo giudiziale -, intervenuto tra cliente e avvocato, contratto che veniva successivamente sciolto per mutuo dissenso senza darne notizia al debitore ceduto.

Nel momento in cui l'originario (e ancora attuale) titolare del credito provvedeva a notificare l'atto di precetto al debitore, questi proponeva pertanto opposizione a precetto, eccependo la carenza di titolarità del credito in capo all'intimante opposto.

L'adito Tribunale di Treviso accoglieva l'opposizione, con decisione che veniva confermata, all'esito del giudizio di seconde cure, dalla Corte d'Appello di Venezia.

Avverso tale sentenza, il creditore proponeva ricorso per cassazione rilevando, in particolare, come non vi fosse alcun obbligo di menzionare nel precetto l'avvenuta retrocessione del credito, e che comunque l'onere di notificazione dell'intervenuta retrocessione sarebbe stato assolto con la comparsa di risposta del giudizio di opposizione a precetto.

La questione

La questione risolta dal provvedimento in commento attiene all'esistenza del potere/dovere, in capo al giudice dell'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., di conoscere di tutte le vicende relative al credito portato in esecuzione, ancorché successive alla data di notificazione del predetto atto: nel caso di specie, si trattava dell'intervenuta retrocessione del credito, di cui il debitore ceduto non era stato notiziato prima della notificazione dell'atto di precetto.

Le soluzioni giuridiche

Prima di dedicarsi all'analisi dei motivi di ricorso proposti, la Cassazione affronta la questione circa la validità del contratto intercorso tra cliente e avvocato, in relazione alla previsione di cui all'art. 1261 c.c. che, come noto, prescrive specifici divieti di cessione del credito. A tale riguardo, viene richiamato il precedente di cui a Cass., 24 febbraio 1984, n. 1319, secondo cui “In temadi divieto di cessione a favore di determinate persone di crediti e diritti litigiosi, il dato testuale dell' art. 1261 c.c. - il quale fa riferimento ad una "sorta controversia" avanti all'autorità giudiziaria - e la ratio di tale disposizione - diretta ad impedire speculazione sulle liti da parte dei pubblici ufficiali e degli esercenti un servizio di pubblica necessità, le cui funzioni hanno attinenza con gli uffici giudiziari delle rispettive sedi, oltreché evitare che il prestigio e la fiducia nell'autonomia di quelle persone possano rimanere pregiudicati da Atti di dubbia moralità - comportano che il divieto stesso non trovi applicazione riguardo a credito la cui controversia sia stata definita con sentenza passata in giudicato”. Inoltre, la più recente Cass., 16 luglio 2003, n. 11144 ha chiarito come tale divieto di cessione non trovi applicazione “riguardo a crediti per i quali non sia ancora sorta una controversia giudiziaria”. Entrambi tali principi hanno consentito di affermare, nel provvedimento in commento, la validità del contratto di cessione del credito intervenuto.

Ciò chiarito, la Suprema Corte giudica fondati i motivi di ricorso proposti.

Come risultante dagli atti di causa, infatti, la scrittura privata attestante l'intervenuta retrocessione del credito era stata allegata agli atti del giudizio di opposizione a precetto, e di essa il giudice ben avrebbe dovuto tener conto.

Sul punto, il provvedimento in esame ricorda la natura di giudizio di cognizione dell'opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c., giudizio “in cui il creditore procedente può proporre tutte le domande intese a rimuovere ogni eventuale ostacolo giuridico alla realizzazione del proprio diritto ed è anche facoltato a dedurre, in via riconvenzionale, un'ulteriore ragione creditoria che possa consentire in quella sede la formazione di un nuovo titolo esecutivo in sostituzione od in aggiunta a quello per cui si procede” (in tal senso, le richiamate e risalenti Cass., 27 febbraio 1975, n. 790; Cass., 17 ottobre 1964, n. 2612).

Secondo la Cassazione, la decisione della Corte di Appello di Venezia si pone in contrasto con tali principi, poiché il giudice di merito ha ritenuto che il credito azionato con il precetto opposto dovesse sussistere, ed essere certificato da atto avente data certa opponibile al debitore ceduto, anteriore alla data della notificazione del precetto stesso. In tal modo, il giudice di merito ha però arrestato l'indagine relativa all'esistenza e all'ammontare del credito precettato alla data del precetto opposto, senza tenere in alcun conto le vicende successive del rapporto giuridico dal quale il credito traeva origine. Vicende che, invece – secondo consolidato orientamento di legittimità - il giudice dell'opposizione all'esecuzione deve considerare, posto che l'indagine sull'attuale esistenza del diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata va effettuata attraverso la ricostruzione dei rispettivi rapporti fino al momento della decisione.

Nel caso specifico, risulta pacifico che il creditore si fosse costituito nel giudizio di opposizione a precetto dando atto, con la comparsa di risposta, dell'intervenuta retrocessione del credito azionato e depositando agli atti del giudizio di merito la copia del relativo atto di retrocessione. Quest'ultimo, di conseguenza, avrebbe dovuto essere esaminato dal giudice dell'opposizione, poiché anche la cessione del credito costituisce una vicenda del rapporto giuridico suscettibile di essere apprezzata, non soltanto con riferimento alla data della notificazione del precetto opposto, ma fino alla data della decisione del relativo giudizio di opposizione.

La sentenza impugnata è stata dunque cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Venezia, in differente composizione, affinché il giudice di merito possa procedere al riesame della fattispecie, osservando il seguente principio di diritto: “Poiché l'opposizione al precetto costituisce giudizio di cognizione, tutte le vicende relative al credito portato in esecuzione, ancorché successive alla data di notificazione del predetto atto, devono essere considerate dal giudice dell'opposizione, il quale è tenuto a procedere ad una verifica dell'esistenza del credito stesso, e del suo esatto ammontare, con riferimento alla data della decisione del predetto giudizio di opposizione. Ne consegue che il creditore opposto, ove non abbia specificato nel precetto la fonte del suo credito, è legittimato a fornire detta specificazione nel corso del giudizio di opposizione al precetto, documentando l'esistenza e l'importo attuale del credito stesso; il giudice dell'opposizione, in tal caso, è tenuto a tener conto delle deduzioni e allegazioni fornite dall'opposto nel corso del giudizio di opposizione”.

Osservazioni

La decisione assunta dalla Suprema Corte appare conforme ai precedenti di legittimità rinvenibili sulle questioni decise e muove, correttamente, dall'identificazione della natura del giudizio di opposizione a precetto, stabilita la quale è possibile chiarire se vi siano preclusioni inerenti ai fatti che le parti possono allegare in giudizio, e se vi siano limiti all'ambito della cognizione del giudice.

Con la proposizione di un'opposizione a precetto si instaura un giudizio di cognizione, destinato a sfociare in una sentenza di mero accertamento con la quale si accerta la sussistenza o meno del diritto, in capo al creditore, a procedere a esecuzione forzata (art. 615 c.p.c.). La sentenza che decide l'opposizione a precetto è appellabile, dando così vita a un doppio grado di giudizio.

Da tale qualificazione discende che tutte le vicende relative al credito portato ad esecuzione, ancorché successive alla data di notificazione del predetto atto, debbano essere considerate dal giudice dell'opposizione, il quale è tenuto a procedere a una verifica dell'esistenza del credito stesso, e del suo esatto ammontare, con riferimento alla data della decisione del predetto giudizio di opposizione. Ne consegue, inoltre, che il creditore opposto resta legittimato a fornire la specificazione del proprio credito nel corso del giudizio di opposizione a precetto, documentando l'esistenza e l'importo attuale del credito stesso; il giudice dell'opposizione, in tal caso, è tenuto a tener conto delle deduzioni e allegazioni fornite dall'opposto nel corso del giudizio di opposizione.

Tale affermazione trova diversi riscontri nella giurisprudenza di legittimità, che con riferimento a casi analoghi ha chiarito che “mentre la delibazione della legittimità del precetto va condotta con riferimento alla situazione esistente al momento dell'intimazione dello stesso, l'indagine sull'attuale esistenza del diritto della parte istante di procedere ad esecuzione forzata va effettuata attraverso la ricostruzione dei rispettivi rapporti fino al momento della decisione, e, quindi, tenendo conto non soltanto dei pagamenti che l'opponente deduca e dimostri di aver fatto, pure in corso di causa, ma anche delle nuove ragioni creditorie che l'opposto abbia dedotto in via riconvenzionale, al fine di ottenere un nuovo titolo esecutivo sostitutivo od integrativo di quello posto originariamente a base della procedura esecutiva” (così, la recente Cass., 12 ottobre 2021, n. 27688; e la più risalente Cass., 10 maggio 1978, n. 2259).

Sempre sulla scorta di tale principio, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che ove, all'interno di tale giudizio, “sorga questione di imputazione dei pagamenti parziali eseguiti dal debitore ad uno piuttosto che ad altri crediti, il giudice che, ai soli fini della decisione sull'opposizione procede all'accertamento dei crediti esistenti fra le parti e all'imputazione ad essi dei pagamenti effettuati, non eccede dai limiti del petitum, segnati dalle richieste e deduzioni non solo dell'opponente ma anche dell'opposto. In tale ipotesi, elemento del thema decidendum diventa anche l'accertamento degli altri crediti dedotti dall'opposto (così, le risalenti Cass., 1° giugno 1974, n. 1572; Cass., 5 giugno 1967, n. 1230).

Ancora, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che “il giudice dell'opposizione all'esecuzione è, ai sensi dell' art. 615 c.p.c., tenuto non solo al controllo dell'esistenza e della validità del titolo esecutivo azionato, ma anche alla verifica della sussistenza di eventuali cause che, successivamente alla formazione, ne abbiano determinato l'inefficacia, come nel caso di mancata osservanza degli obblighi nascenti dal titolo, per effetto della quale l'azione esecutiva non ha più ragione di essere intrapresa (così, Cass., 8 settembre 2005, n. 17866).

Ovviamente, tali principi non vanno in alcun modo a scalfire le regole in materia di preclusioni, ordinariamente vigenti nel processo di cognizione ordinario: a tal riguardo, è stato infatti correttamente chiarito che “allorquando nel giudizio di opposizione si controverta della illegittimità del titolo esecutivo, costituisce domanda nuova – come tale inammissibile […] – la proposizione, nel corso del giudizio di primo grado o per la prima volta in appello, della richiesta di accertamento della carenza originaria del titolo per un motivo diverso da quello dedotto con l'atto introduttivo del giudizio di opposizione (così, Cass., 28 luglio 2011, n. 16541).

Riferimenti

Sulle specifiche questioni si rinvia, oltre alla giurisprudenza citata nel testo, a Bove, Sull'oggetto delle c.d. opposizioni di merito, in RTDPC, 2013, 879 ss.; Bucolo, L'opposizione all'esecuzione, Padova, 1982; Garbagnati, Opposizione all'esecuzione, in Noviss. Dig. It., XI, Torino, 1965, 1968 ss.; Liebman, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Milano, 1936; Mandrioli, Opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi, in Enc. Dir., XXX, Milano, 1980, 431 ss.; Olivieri, L'opposizione all'esecuzione, in REF, 2003, 237 ss.; Oriani, Opposizione all'esecuzione, in Noviss. Dig. It., Appendice, V, Torino, 1984, 516 ss.; Tedoldi, Esecuzione forzata, Pisa, 2021; Vaccarella, Opposizioni all'esecuzione, in EGT, XXI, Roma, 1990.

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