Luci ed ombre del nuovo orientamento di legittimità sul contratto con effetti protettivi a favore dei terzi
01 Agosto 2022
Massima
Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitari o il medico non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, perché, fatta eccezione per il circoscritto campo delle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione, trova applicazione il principio generale di cui all'art. 1372, comma 2, c.c., con la conseguenza che l'autonoma pretesa risarcitoria vantata dai congiunti del paziente per i danni ad essi derivati dall'inadempimento dell'obbligazione sanitaria, rilevante nei loro confronti come illecito aquiliano, si colloca nell'ambito della responsabilità extracontrattuale. (Nella specie, la S.C. ha escluso la spettanza dell'azione contrattuale "iure proprio" alla moglie di un soggetto che, affetto da Morbo di Parkinson, si era allontanato dalla struttura sanitaria presso cui era ricoverato e non era stato mai più ritrovato, precisando che la stessa avrebbe potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana, con le conseguenti regole in tema di ripartizione dell'onere della prova). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 27/06/2019) Il caso
La vicenda portata all'attenzione della Corte riguarda la scomparsa di un paziente che, dopo tre giorni dal ricovero in una struttura sanitaria per riabilitazione motoria, fa perdere le proprie tracce. La moglie chiede il risarcimento del danno iure proprio allegando una condotta colposa di omessa sorveglianza. La domanda viene rigettata sia in primo che in secondo grado.
In particolare, la Corte d'Appello, nel confermare la decisione gravata, rileva che la responsabilità dell'ente doveva essere ricondotta non nel paradigma dell'art. 1218 c.c., ma in quello dell'illecito aquiliano essendo l'attrice terza rispetto al contratto stipulato dal consorte. La pretesa non poteva quindi essere accolta perché era mancata la prova della colpa e del nesso: il paziente, pur essendo affetto da morbo di Parkinson, aveva conservato la pienezza delle facoltà cognitive, e dunque non si trovava in una condizione che imponeva un obbligo di controllo e vigilanza; dalle risultanze istruttorie era inoltre merso che il sig. X era persona mentalmente sana e perfettamente capace di intendere e di volere e che, poco prima del suo spontaneo allontanamento, era stato notato sulla spiaggia , alla quale i degenti potevano liberamente accedere, mentre conversava confidenzialmente con due donne, in un contesto di perfetta serenità, che non avrebbe giustificato alcun provvedimento limitativo della sua libertà di movimento.
La donna ricorre in Cassazione lamentando anzitutto la errata qualificazione della domanda: i Giudici avrebbero dovuto inquadrare il rapporto entro le coordinate della responsabilità contrattuale “in quanto la pretesa risarcitoria trovava la propria fonte nell'inadempimento del contratto atipico stipulato dal coniuge, dal quale discendevano obbligazioni non limitate alla somministrazione di cure mediche e farmacologiche, ma comprensive del dovere di salvaguardare l'incolumità fisica e patrimoniale del paziente”. Il principio affermato dalla Corte
La Cassazione rigetta il ricorso e coglie l'occasione per ribadire l'orientamento affermatosi nel corso degli ultimi anni, secondo il quale il perimetro del contratto con effetti protettivi a favore dei terzi deve ritenersi limitato ai soli rapporti afferenti alla procreazione. In questo ambito, osserva la Corte, <<l'inesatta esecuzione della prestazione che forma oggetto di tali rapporti obbligatori, infatti, incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre talché la tutela contro l'inadempimento deve necessariamente essere estesa a tali soggetti, i quali sono legittimati ad agire in via contrattuale per i danni che da tale inadempimento siano loro derivati>>. Al di fuori di tale peculiare settore, <<poiché l'esecuzione della prestazione che forma oggetto della obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi, torna applicabile anche al contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria la regola generale secondo cui esso ha efficacia limitata alle parti (art. 1372 c.c., comma 2); pertanto, per un verso non è predicabile un "effetto protettivo" del contratto nei confronti di terzi, per altro verso non è identificabile una categoria di terzi (quand'anche legati da vincoli rilevanti, di parentela o di coniugio, con il paziente) quali "terzi protetti dal contratto">>.
I prossimi congiunti che vantino pretese iure proprio potranno sì avere tutela, ma attraverso l'art. 2043 c.c. (ovvero in forza del contratto stesso, ma solo, come è ovvio, qualora agiscano iure hereditario).
La Corte coglie l'occasione per ripercorrere le linee che danno corpo e sostanza al nuovo indirizzo, al quale vuole dare << ulteriore continuità>> e riprende in buona parte gli argomenti sviluppati nei propri precedenti ponendo l'accento sulla necessità di tener conto della “relatività” che caratterizza il rapporto obbligatorio, come relazione che intercorre solo tra debitore e creditore (a cui appunto il terzo è estraneo).
Nello sviluppo delle argomentazioni il Collegio richiama, in sostanza, le osservazioni già svolte in Cass. 19188/2020 e conclude in questi termini: << la prestazione, pertanto, deve corrispondere all'interesse specifico del creditore (art. 1174 c.c.) e non a quello di terzi, salvo che questi ultimi non siano portatori di un interesse assolutamente sovrapponibile a quello del primo>>.
L'estensione degli effetti del contratto è dunque ammissibile nei soli casi limite in cui i terzi siano portatori di un “interesse assolutamente sovrapponibile” a quello del creditore. Ed il caso paradigmatico sarebbe appunto quello dei rapporti coinvolti dal parto e dalla nascita.
Questo, dunque, è il cuore della motivazione: resta però da chiedersi quale sia la portata di tale principio (prima facie non adamantina) e se, una volta indagatene le profondità e le implicazioni, la soluzione adottata sia davvero convincente.
In via di premessa, è forse opportuno ricordare che, come chiarito dalle “sentenze di San Martino 2019”, <<Nell'ambito della responsabilità medica <<La prestazione oggetto dell'obbligazione non è la guarigione dalla malattia o la vittoria della causa, ma il perseguimento delle leges artis nella cura dell'interesse del creditore. Il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l'interesse affidato all'adempimento della prestazione professionale,
In termini analoghi si è espressa Cass. 29.03.2022 n. 10050:
<<Nelle fattispecie di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni professionali (..) è configurabile un evento di danno, consistente nella lesione dell'interesse finale perseguito dal creditore (la vittoria della causa nel contratto concluso con l'avvocato; la guarigione dalla malattia nel contratto concluso con il medico), distinto dalla lesione dell'interesse strumentale di cui all'art. 1174 c.c. (interesse all'esecuzione della prestazione professionale secondo le leges artis) e viene dunque in chiara evidenza il nesso di causalità materiale che rientra nel tema di prova di spettanza del creditore, mentre il debitore, ove il primo abbia assolto il proprio onere, resta gravato da quello "di dimostrare la causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione della prestazione">> .
Dunque, l'interesse ex art. 1174 c.c. di cui il paziente è titolare è quello <<all'esecuzione della prestazione professionale secondo le leges artis>>, in vista della guarigione (la quale però non è dedotta in obbligazione essendo il medico tenuto non a garantire il risultato, ma ad impiegare i mezzi necessari per realizzarlo). L'erogazione delle cure secundum leges artis – che è ciò che viene richiesto al debitore – rappresenta lo “strumento” che “tende”, che è diretto a soddisfare il fine ultimo (la tutela della salute).
Osservazioni
Tra le decisioni richiamate da Cass. 11320/2022 merita particolare attenzione (ai fini di chiarire la linea e lo sviluppo di pensiero) la n. 19188 del 15.09.2020. Conviene dunque prendere le mosse da questa pronuncia, perché alcuni passaggi “chiave” consentono di meglio individuare il file rouge intorno al quale sembra condensarsi il nuovo orientamento.
Il caso riguarda la morte di una paziente, la sig.ra F.L., che, durante una gastroscopia, subisce un arresto cardiaco e decede di lí a poco.
Le figlie chiedono il risarcimento del danno iure proprio ai sensi dell'art. 1218 c.c. deducendo la cattiva esecuzione della prestazione medica ed il nesso con l'exitus.
La Corte accoglie alcuni dei motivi (e in particolare quello con cui si denunciava l'erronea applicazione dell'art. 2947 comma 3 c.c. per avere il Giudice di merito equiparato il provvedimento di archiviazione del PM ad una sentenza irrevocabile di proscioglimento), ma rigetta la censura con cui le ricorrenti lamentavano l'omesso inquadramento del rapporto entro il paradigma del contratto con effetti protettivi.
Osserva il Collegio: << La figura del contratto con effetti protettivi verso terzi è giustificata con l'argomento che il terzo ha un interesse identico a quello dello stipulante, un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l'interesse della parte contrattuale, del creditore della prestazione. Nel contratto tra la struttura e la gestante, l'interesse di quest'ultima è la nascita del figlio: la donna si affida alla struttura sanitaria (o al medico) allo scopo di avere assistenza al parto. L'esecuzione del contratto, si osserva, soddisfa (o lede, in caso di inadempimento) l'interesse dell'altro genitore allo stesso modo di come soddisfa (o lede) l'interesse della gestante contraente. Non v'è dunque motivo di riconoscere azione da contratto all'una ed azione da delitto all'altro.
Il tema merita ovviamente approfondimenti maggiori, che non possono qui farsi, ma queste osservazioni bastano ad escludere che la figura possa ragionevolmente essere utilizzata nella fattispecie: qui, infatti, l'interesse delle figlie non è il medesimo di quello dedotto in contratto dalla madre. Quest'ultima si era affidata alla struttura per la cura della salute, e l'inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura ha leso due beni diversi: la salute, per l'appunto, della donna (o la vita, più precisamente), ed il rapporto parentale invece quanto alle figlie. Manca, quindi, la ragione che giustifica la figura degli effetti protettivi verso terzi: l'identità dell'interesse coinvolto dalla esecuzione del contratto>>.
Pare a chi scrive che le argomentazioni appena riportate – richiamate negli stessi termini da Cass. 11320/2022 - presentino alcune linee d'ombra.
Si potrebbe infatti sostenere che le due ipotesi messe a confronto dal Collegio non presentino significative divergenze.
Nel caso del contratto ginecologico, la madre ha un duplice interesse: l'erogazione secundum leges artis delle cure, al fine di veder tutelata la salute propria e quella del feto (il quale ultimo, a sua volta, è considerato terzo protetto).
Il padre – che non è parte – ha un identico interesse a che l'integrità della gestante e del figlio siano salvaguardate attraverso una corretta esecuzione dell'atto medico. E questo perché, in caso di danno da malpractice, ad essere leso sarebbe il suo diritto alla integrità degli affetti nell'ambito della famiglia.
Non pare allora che vi sia differenza con il caso oggetto del decisum di Cass.19188/2020.
Le figlie della signora F.L. hanno interesse a che l'atto medico sia eseguito a regola d'arte in vista della guarigione della madre, così come il padre del nascituro ha interesse a che le prestazioni mediche siano svolte correttamente affinché la salute della gestante e del bimbo siano salvaguardate.
E ciò perché sia le prime che il secondo son titolari di una posizione in qualche modo “dipendente”, o se si vuole, “condizionata” dalla (cattiva) esecuzione del contratto: la lesione della integrità psico fisica del congiunto imputabile al medico imperito è il “tramite” attraverso il quale si attua la violazione del loro diritto alla intangibilità del rapporto parentale.
Affermava infatti Cass. 10.05.2002 n. 6735 che <<Il tessuto dei diritti e dei doveri che secondo l'ordinamento si incentrano sul fatto della procreazione, quali si desumono sia dalla legge 194 del 1978, sia dalla Costituzione e dal Codice civile, quanto ai rapporti tra coniugi ed agli obblighi dei genitori verso i figli (..), vale poi a spiegare perché anche il padre rientri tra i soggetti protetti dal contratto ed in confronto del quale la prestazione del medico è dovuta>>.
Non pare allora condivisibile l'assunto di Cass. 19188/2020 secondo cui <<qui l'interesse delle figlie non è il medesimo di quello dedotto in contratto dalla madre. Quest'ultima si era affidata alla struttura per la cura della salute, e l'inadempimento della obbligazione assunta dalla struttura ha leso due beni diversi: la salute, per l'appunto, della donna (o la vita più precisamente), ed il rapporto parentale invece quanto alle figlie>>.
In realtà anche nel caso del contratto ginecologico si ha lesione di due beni diversi: della salute (del nascituro / della gestante) da un lato, e del rapporto parentale in capo al padre dall'altro.
Né convince la conclusione secondo cui <<Manca quindi la ragione che giustifica la figura degli effetti protettivi verso terzi: l'identità dell'interesse coinvolto dalla esecuzione del contratto>>.
Sembra infatti di poter dire che le figlie hanno lo stesso interesse della parte creditrice, a che la prestazione sia eseguita correttamente a tutela, appunto, della salute (della madre stessa); questo è il prius logico, perché è la compromissione dell'integrità psico fisica del genitore che genera (“di riflesso” come del resto precisa la stessa Cass. 11320/2022) violazione del loro diritto alla intangibilità degli affetti (che presuppone la lesione della prima).
La posizione di “vicinanza” giustifica l'interesse a che le cure siano erogate in modo corretto nei confronti del “congiunto” e, allo stesso tempo, fonda il diritto al risarcimento del danno (per violazione dei diritti della famiglia).
È il vincolo affettivo con la gestante e con il figlio che spiega perché il padre abbia interesse alla tutela della loro salute (e quindi alla perfetta esecuzione della prestazione medica).
Ed è parimenti il legame con la madre, la sig.ra F.L. del caso di Cass. 19188/2020, che spiega perché le figlie abbiano interesse alla salvaguardia della sua integrità.
Detto in altri termini: coloro che si trovino in una situazione di “prossimità” con il paziente subiscono un vulnus ad un proprio diritto - l'intangibilità degli affetti - che trova causa nella cattiva esecuzione del contratto (di cura): è proprio per questo che sono portatori di un “interesse” (alla diligente effettuazione della prestazione) che sembra perfettamente sovrapponibile a quello di cui è titolare lo stesso creditore (il malato).
Del resto, è proprio la Cassazione n. 19188/2020 ad affermare, riferendosi peraltro al solo caso della gestante, che il terzo <<ha un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contrattonello stesso modo in cui è coinvolto l'interesse della parte contrattuale, del creditore della prestazione>>.
Pare a chi scrive che la stessa identica situazione (“il terzo ha un interesse che viene coinvolto dalla esecuzione del contratto nello stesso modo in cui è coinvolto l'interesse della parte contrattuale”) si abbia anche, per es., nel caso in cui i genitori attendano angosciati l'esito del delicato intervento eseguito sul figlio diciottenne che ha avuto un grave incidente in moto ed è stato portato in urgenza al pronto soccorso.
Non vi è dubbio che essi siano “terzi” (se si muove dall'assunto per cui l'accettazione del paziente in ospedale comporta automaticamente la stipula, con lo stesso, del contratto di cura): eppure (stando a Cass. 13522/2022) la loro tutela dovrebbe qui avvenire ex lege aquilia.
Fa riflettere, inoltre, il fatto che Cass. 11320/2022 affermi che nel caso dei rapporti attinenti alla procreazione <<l'inesatta esecuzione della prestazione (..) incide in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre>>, mentre, al di fuori di tale ambito <<l'esecuzione della prestazione che forma oggetto della obbligazione sanitaria non incide direttamente sulla posizione dei terzi>>, i quali subirebbero <<danni mediati o riflessi>>.
La cattiva esecuzione del contratto di cura si atteggia, per i terzi, come un fatto illecito (al pari dell'incidente stradale) e produce ai congiunti danni che sono senza dubbio “diretti”, altrimenti non si spiegherebbe neppure la tutela ex art. 2043 c.c. (perché difetterebbe il nesso).
Del resto, fu proprio la Cassazione (Cassazione SS.UU. n. 9556/2002 del 01.07.2002)a precisare che il pregiudizio dei parenti non è “riflesso” ma diretto: <<Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a seguito di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire ‘iure proprio' contro il responsabile>>.
Nello stesso senso Cass 31.05.2003 n. 8827:<<In questi casi si suole parlare di danno riflesso o di rimbalzo. Ma la definizione non coglie nel segno: dovendosi aver riguardo alla lesione della posizione giuridica protetta, nel caso di evento plurioffensivo la lesione è infatti contestuale ed immediata per tutti i soggetti che sono titolari dei vari interessi incisi (Sent. n. 1561/01; S.U., n. 9556/02)>>.
Insomma, alla luce di queste prime riflessioni, pare a chi scrive – se non ci si inganna - che il criterio dell'“interesse identico” non segni, in modo chiaro e netto, la differenza (di tutela) e non sia in grado di circoscrivere efficacemente il perimetro del contratto con effetti protettivi.
Si potrebbe peraltro tentare un'altra strada per dare una lettura al principio affermato dalla Cassazione.
Forse la Corte ha voluto dire che nel caso del contratto ginecologico l'interesse (che fa capo alla madre, per un verso, ed al padre, per l'altro) è “identico” perché tutti e due sono diretti alla tutela del concepito, sono convergenti perché mirano entrambi allo stesso obiettivo.
E dunque, ecco l'ipotesi (che per comodità chiameremo “Ipotesi B”): l'identità di interesse sussiste nel solo caso dei rapporti di procreazione perché qui la parte creditrice (madre) ed il terzo (padre) hanno entrambi di mira la tutela di un altro soggetto diverso da sé (il feto)? L'estensione degli effetti si giustifica dunque unicamente allorquando ricorra questo specifico schema?
In una simile prospettiva si potrebbe osservare che allora, in effetti, il caso della sig.ra F.L. di cui si è occupata Cass. 19188/2020 è diverso perché l'interesse della paziente e quello delle figlie non sono finalizzati alla tutela di un altro soggetto diverso da sé (come appunto nell'ipotesi del nascituro).
Ma non può essere questa la chiave di lettura perché: i) - in primo luogo perché anche il feto è considerato dalla Cassazione terzo protetto dal contratto stipulato dalla gestante e, dunque, – sempre per restare fedeli al principio posto da Cass. 19188/2020 – è anch'egli titolare di un “interesse identico” a quello della parte creditrice (altrimenti non si spiegherebbe l'estensione degli effetti). Ebbene: la madre ha interesse a che il feto sia tutelato; e il nascituro a che la propria salute sia protetta.
Si veda Cass. 22.01.1993 n. 11503 <<E' quindi il soggetto che con la nascita acquista la capacità giuridica che può agire per far valere la responsabilità contrattuale per l'inadempimento delle obbligazioni accessorie cui il contraente sia tenuto in forza del contratto stipulato col genitore o con terzi, a garanzia e protezione di un suo specifico interesse, anche se le prestazioni debbano essere assolte, in parte, anteriormente alla sua nascita>>.
Qui non ricorre la “convergenza” di cui all' “Ipotesi B” (due soggetti entrambi interessati alla tutela di un altro individuo diverso da sé), e cionondimeno vi è la “identità” di cui parla la Cassazione; ii) - d'altro canto, a seguire la “Ipotesi B” si dovrebbe concludere che tutti i terzi che hanno uno specifico interesse alla tutela della salute di una data persona beneficiano automaticamente della estensione degli effetti del contratto che, stipulato da uno solo di essi, sia appunto finalizzato alla protezione di quell'individuo.
Così per es. nel caso dell'accordo intercorso tra madre e baby-sitter (cui l'altro genitore sia rimasto “estraneo”), ove il bimbo abbia subito lesioni dovute a negligenza nell'esecuzione della prestazione, il risarcimento del danno ex 1218 c.c. dovrebbe spettare al padre, ma anche ai nonni, agli zii, ai fratelli ecc.
Per “allargare” il perimetro basterebbe appunto che vi sia questa “identità” tra l'interesse della parte contraente (nell'esempio la madre) e quello dei terzi/congiunti. Ma questo vorrebbe dire negare il principio posto da Cass. 19188/20 e successive conformi, che ha invece voluto limitare l'ambito di operatività del contratto con effetti protettivi al solo caso, appunto, dei rapporti afferenti alla procreazione;
iii) ad ogni modo, se anche si volesse dare per buona la lettura di cui all'”Ipotesi B”, comunque non si capirebbe perché il contratto con effetti protettivi dovrebbe dirsi ammissibile quando la parte mira a salvaguardare la salute di un altro soggetto (il concepito oppure il bambino nel caso della baby sitter) e non invece quando essa intenda tutelare la propria (e via sia in tal caso un terzo che ha parimenti interesse a che quella medesima persona sia appunto ben curata). Una simile disparità di trattamento sarebbe incongruente.
Del resto, a chiudere l'argomento interviene una ulteriore considerazione, che parrebbe tranchant: per la stessa Cassazione, non vi è dubbio che se il ginecologo cagiona colposamente danni alla madre nel corso del parto, il padre potrà chiedere il risarcimento del proprio danno ex 1218 c.c. in quanto soggetto protetto dal contratto (vedi Cass. 6689/2018, richiamata da Cass. 21404/2021).
Anche qui – per salvare le premesse poste da Cass. 19188/2020 e successive conformi – si deve dire che sussiste l'identità di interesse. Ebbene, nella fattispecie:
Anche in tal caso, dunque, vi è quella perfetta sovrapponibilità che per la Cassazione giustifica l'estensione.
Ma questa situazione ricorre, allo stesso modo, nel caso delle figlie della sig.ra F.L. di Cass. 19188/2020 ove:
E dunque la fattispecie non è affatto diversa per come invece vorrebbe far pensare Cass. 19188/2020.
Se quanto sin qui osservato è corretto, la conseguenza è che – applicando il criterio indicato dalla Cassazione -il contratto con effetti protettivi troverebbe giustificazione tutte le volte in cui il terzo abbia interesse a che la salute della parte contraente sia protetta.
Il che equivale a dire che i congiunti hanno sempre diritto di agire ex 1218 c.c. laddove il proprio caro (figlio, padre, fratello, nonno ecc.) – parte del contratto di spedalità- abbia subito danni per malpractice.
In questo modo si arriva, allora, al risultato esattamente opposto a quello che la Corte voleva raggiungere, che era appunto inteso a limitare la figura al solo caso dei rapporti attinenti alla procreazione.
Viene quindi da pensare che “l'interesse sovrapponibile” o “identico” non sia la “chiave”.
Anzi, si potrebbe pensare che questa formula sia solo un altro modo per dire che l'estensione degli effetti è ammissibile quando il terzo è esposto allo stesso pericolo di danno della parte contraente. Concetto, questo, che la dottrina tedesca – a cui si deve la paternità del contratto con effetti protettivi – riassumeva con l'idea di “prossimità alla parte”.
Il richiamo a Cass. 11320/2022
Nell'ambito della articolata motivazione, Cass. 11320/2022 richiama anche un altro precedente, Cass. n. 14258 del 2020, secondo cui <<l'estensione soggettiva dell'efficacia del contratto potrebbe ammettersi solo nei casi limite in cui i terzi siano portatori di un interesse strettamente connesso a quello regolato già sul piano della programmazione negoziale>>.
Qui il riferimento è ad un interesse che non è più “identico” ma “strettamente connesso” (e già questa differenza terminologica crea qualche incertezza, non essendo chiaro, alla fine, se i concetti di volta in volta impiegati dalla Corte nelle proprie decisioni sull'argomento siano sovrapponibili oppure no).
Ma anche in tal caso sembra di dover concludere che, se questa è la premessa, allora tutti i congiunti stretti hanno un interesse “connesso” a quello (creditorio) regolato sul piano della programmazione negoziale, cioè mirano anch'essi a che la prestazione medica (es. nei confronti del figlio, del padre, della madre ecc.) sia eseguita correttamente, affinché la salute del loro caro sia preservata (posto che, in caso contrario, ne deriverebbe un vulnus al loro diritto alla intangibilità degli affetti).
Del resto, è proprio Cass. 11 novembre 2019, n. 28991 a chiarire che << Il danno evento in termini di aggravamento della situazione patologica o di insorgenza di nuove patologie attinge non l'interesse affidato all'adempimento della prestazione professionale, ma quello presupposto corrispondente al diritto alla salute (..). L'interesse corrispondente alla prestazione oggetto di obbligazione ha natura strumentale rispetto ad un interesse primario o presupposto, il quale non ricade nel motivo irrilevante dal punto di vista contrattuale perché non attiene alla soddisfazione del contingente ed occasionale bisogno soggettivo ma è connesso all'interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale e dunque del motivo comune rilevante al livello della causa del contratto>>.
E dunque: a) l'interesse primario alla tutela della salute – osserva Cass. 11.11.2019 n. 28991 – <<è connesso all'interesse regolato già sul piano della programmazione negoziale>> (ossia a vedere correttamente eseguita la prestazione medica); b) stando a Cass. 14248/2020-<<l'estensione soggettiva dell'efficacia del contratto potrebbe ammettersi solo nei casi limite in cui i terzi siano portatori di un interesse strettamente connesso a quello regolato già sul piano della programmazione negoziale>>.
Leggendo in sincrono i due enunciati sub a) e b) sembrerebbe doversi concludere che la protezione ex contractu è ammessa quando i terzi siano portatori dell'interesse alla tutela della salute (del proprio congiunto), il quale ultimo è “connesso all'interesse (creditorio del paziente) già regolato sul piano della programmazione negoziale”.
L'elemento di congiunzione, che realizza dunque la “connessione” tra l'interesse del creditore e quello del terzo, è proprio la tutela della salute.
Pare a chi scrive che il congiunto abbia sempre un interesse strettamente connesso con quello del paziente creditore, perché ciò a cui aspira è che l'intervento sia eseguito correttamene in modo tale che l'integrità del proprio caro sia tutelata (la violazione della salute da cattiva esecuzione dell'atto medico si ripercuoterebbe sulla sua posizione, perché costituirebbe il tramite attraverso cui si realizzerebbe la lesione del proprio diritto alla integrità degli affetti).
Ma se è così, allora il contratto di spedalità dovrebbe sempre avere effetti protettivi verso i parenti (e non nel solo caso delle relazioni tra gestante e struttura /professionista).
Conclusioni
Le osservazioni sin qui svolte non hanno certo la pretesa né l'ambizione di risolvere un problema che pare di grande complessità: si vuole solo esporre un dubbio perché, a parere di chi scrive, la “spiegazione” data dalla Cassazione non sembra adamantina né, forse, risolutiva.
Il fatto è che la figura del contratto con effetti protettivi presta il fianco a non poche critiche (sul punto sia consentito rinviare a D.Zorzit, “Il contratto con effetti protettivi a favore del terzo”, in questa Rivista) e solleva più di una perplessità sia perché non ne è chiaro il fondamento , sia perché se è vero – come da ultimo affermato dalla Cassazione n. 11320/2022– che dalla buona fede e dalla diligenza non nascono <<obbligazioni ulteriori aventi ad oggetto prestazioni di salvaguardia dei terzi>>, non si vede allora come tali effetti di protezione possano invece prodursi in favore del padre e del neonato (e dei fratelli) nel caso dei rapporti inerenti alla nascita.
Né la soluzione ibrida trovata dalla Cassazione (che appunto ammette la figura limitatamente alla fattispecie del contratto ginecologico) sembra soddisfacente, dato che, come si è cercato di esporre sin qui, il criterio che fa leva sull' “interesse assolutamente sovrapponibile” (o “strettamente connesso”, nella diversa formulazione di Cass. 14258/2020) pare in verità piuttosto sfuggente e tale non da svolgere quella funzione di discrimen che gli si vorrebbe attribuire.
Se si ritiene doveroso e giusto, con stretto riguardo alle vicende legate al parto, mantenere comunque la tutela ex 1218 c.c. a favore del nascituro / del padre /dei fratelli si dovrebbero, forse, percorrere altre vie:
così per es. per dare tutela al nato che abbia subito lesioni durante il parto per effetto di malpractice si potrebbe recuperare quella opzione che trova un precedente in Tribunale di Verona 15.10.1990 (e più in generale in Cass. 30.03.1982 n. 1990 con riguardo ad una società ancora da costituire) che ammette che il contratto ex art. 1411 c.c. possa essere stipulato a favore di un soggetto non ancora giuridicamente esistente (sul punto sia consentito rinviare a “Il contratto con effetti protettivi” cit. in questa Rivista).
Oppure si potrebbe sostenere che la gestante è essa stessa titolare di più interessi, il proprio ma anche quello del padre e del nascituro, che entrano quindi nel contratto e vengono “assorbiti” da quello creditorio, di tal che l'inadempimento li lede tutti (con diritto della madre di agire per il risarcimento dei danni patiti anche dagli altri). In questi termini M. Gorgoni, Il contratto tra la gestante ed il ginecologo ha effetti protettivi anche nei confronti del padre, Resp. civ. e prev. 2003,1,134, nota a Cass. 10.05.2002 n. 6735 :<<(..)l'interesse alla conservazione della sfera giuridica del terzo potrebbe reputarsi assorbito da quello del creditore, tutte le volte in cui l'interesse di quest'ultimo alla prestazione trovi specificazione con riferimento ad uno spettro di altri suoi interessi, tutti socialmente apprezzabili in ragione dei suoi rapporti di parentela, servizio, ospitalità. In questo modo, proprio in virtù del fatto che il debitore non ha soddisfatto l'interesse dell'altra parte così determinato, allorché si sia verificata la lesione della sfera giuridica di un terzo legato al titolare del credito da una prossimità rilevante, si dovrebbe escludere che la prestazione sia stata esattamente eseguita senza chiamare in causa l'obbligo accessorio di protezione e senza pretendere che esso fondi anche l'interesse di un terzo, per quanto qualificato, alla corretta esecuzione del contratto>>.
O, ancora, nel caso della baby-sitter che sia stata incaricata dalla sola madre, si potrebbe sostenere che la stessa ha agito anche in rappresentanza del padre.
Dunque, se per determinate fattispecie si ritiene che la mera tutela aquiliana non sia soluzione appagante, dovrebbero essere altri gli istituti a cui far ricorso.
Perché una volta chiarito – come ha fatto Cass. 11320/2022 - che dalla buona fede e dalla diligenza non nascono “obbligazioni ulteriori aventi ad oggetto prestazioni di salvaguardia dei terzi”, si deve per forza concludere – in modo radicale e senza eccezioni – che il contratto non produce effetti protettivi a favore di chi non ne sia parte.
Ed una conferma in tal senso potrebbe anche venire dalla stessa L. 24/2017: il comma 3 dell'art. 7, nel ricondurre all'art. 2043 c.c. la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, ha “cancellato” la figura del contatto sociale, che trovava il proprio fondamento proprio nella ritenuta sussistenza di obblighi di protezione (che – si diceva – nascevano dall'affidamento che il malato riponeva nella qualifica professionale del sanitario): se dunque questi ultimi non esistono più per il Legislatore, ha forse poco senso continuare a predicarne l'esistenza (nei confronti dei terzi). |