Modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. 231/2001: rischio fiscale di esclusione degli effetti del duplice (anzi triplice) binario sanzionatorio
02 Agosto 2022
Il legislatore ha introdotto un doppio, anzi triplice, binario sanzionatorio, poiché, alla pena irrogata nei confronti della persona fisica che ha commesso il reato, si aggiunge, nei confronti della persona giuridica, la sanzione penale prevista dal D.lgs. 231/2001, che si affianca a quella prescritta in sede tributaria. In particolare, l'art. 25-quinquiesdecies del D.lgs. 231/2001 [Per effetto dell'art. 39, comma 2, del d.l. n. 124/2019 e successiva legge di conversione (l. n. 157 del 19 dicembre 2019)] include, nel catalogo dei reati presupposto, le fattispecie di cui agli artt. 2 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”), 8 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 10 (“Occultamento o distruzione di documenti contabili”) e 11 (“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”) del D.lgs. n. 74/2000.
In seguito, con la c.d. “Direttiva PIF” [Cfr. il d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione Europea mediante il diritto penale] il catalogo è stato ampliato, mediante l'aggiunta dei reati di cui agli artt. 4 (“Dichiarazione infedele”), 5 (“Omessa dichiarazione”) e 10-quater (“Indebita compensazione”) dello stesso d.lgs. n. 74/2000, solo, però, “se commessi nell'ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro”.
Sul piano sanzionatorio, oltre alle sanzioni pecuniarie (per quote da 258,00 a 1.549,00 euro), aumentate di un terzo, se l'ente ha conseguito un vantaggio di rilevate entità, si applicano all'ente medesimo le misure interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lettere c), d) ed e), d. lgs. 231/2001, ovvero il divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, l'eventuale revoca di quelli già concessi, nonché il divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Inoltre, nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, anche per equivalente, come espressamente previsto dall'art. 19 d. lgs. 231/2001; può essere anche applicata la confisca c.d. allargata o per sproporzione di cui all'art. 240 bis c.p., fondata sull'apprensione dei beni sproporzionati rispetto al reddito, di cui il soggetto non sia in grado di giustificare la provenienza (sul punto, la Guardia di Finanza, con la circolare n. 216816/2020, ha precisato che: “tenuto conto della contestuale applicabilità dell'art. 19 del D.lgs. n. 231/2001 e dell'art. 12-bis del D.lgs. n. 74/2000, la misura reale può colpire, in maniera contestuale e indifferente, i beni dell'ente che dal reato ha avuto un vantaggio e quelli della persona fisica che ha commesso il delitto, anche se quest'ultima non ha conseguito personalmente il profitto del reato, fermo restando che il vincolo cautelare non deve eccedere, nel complesso, il profitto stesso”). Problematiche applicative della riforma
Premessa In assenza di disposizioni di coordinamento con la disciplina sanzionatoria amministrativo-tributaria, allo stato attuale, le sanzioni penali di cui al D.lgs. 231/2001 si “sommano” a quelle irrogate in sede tributaria, a fronte di violazioni di carattere fiscale commesse nell'interesse o a vantaggio dell'ente (C. TODINI, L'inclusione dei reati tributari tra i reati presupposto del decreto 231 e il divieto di ne bis in idem: quali possibili soluzioni?, in Rass. Tributaria, 2021, 3, 731).
Ciò in forza delle previsioni di cui all'art. 7 (“Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”) del d.lgs. 269/2003, il quale, derogando all'art. 11, comma 1, D.lgs. 472/1997, che prevede(va) una responsabilità solidale tra l'ente, dotato o meno di personalità giuridica, e la persona fisica autrice della violazione, dispone che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica (Prima dell'innovazione normativa apportata nel 2003, l'ente, dotato o meno di personalità giuridica, in base alla disciplina dettata dall'art. 11 D.lgs. 472/1997, era solidalmente responsabile, in qualità di contribuente, con la persona fisica autrice materiale dell'illecito, sempre che la violazione incidente sulla determinazione o sul versamento del tributo fosse commessa nel suo interesse).
Ebbene, la disciplina ad oggi in vigore pone un duplice ordine di problemi. Il primo attiene alla sua possibile incompatibilità con il principio del ne bis in idem, tanto sostanziale quanto processuale. Il secondo, invece, va ravvisato nella possibilità, per la persona fisica, di beneficiare della particolare causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 2, D.lgs. n. 74/2000, non prevista nel “sistema 231”. Cumulo di sanzioni e ne bis in idem
Con riferimento alla prima questione, l'art. 19, comma 2, del d.lgs. 74/2000, in deroga al principio di specialità posto dal comma 1, afferma che “permane in ogni caso la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell'art. 11, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato”. E l'art. 21, comma 2, del d.lgs. 74/2000, quale riflesso sul piano procedurale, eccettua i soggetti indicati nel comma 2 dell'art. 19 dall'effetto dell'ineseguibilità delle sanzioni amministrative, stabilita dall'art. 21, comma 1, secondo cui le sanzioni amministrative “non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall'art. 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto” (È agevole cogliere la ratio di tale opzione, la quale risiede nell'esigenza di evitare che per l'ente risulti più conveniente un'evasione sopra-soglia, e dunque il penale (al confronto con un'evasione sottosoglia, e quindi la corrispondente infrazione amministrativa), atteso che, in assenza del comma 2 dell'art. 19 d.lgs. 74/2000, si avrebbe la sola sanzione penale per la persona fisica suo rappresentante. Sul punto si veda F. TRIPODI, L'ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, in Sistema Penale, dicembre 2020).
In forza di ciò, la commissione di un reato tributario comporterà l'irrogazione, in capo all'ente privo di personalità giuridica, sia delle sanzioni amministrative già previste dal d.lgs. n. 472/1997, sia delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231/2001. Per gli enti dotati di personalità giuridica, invece, le sanzioni amministrative previste dall'art. 7 del d.l. 269/2003 si andranno a sommare alle sanzioni di cui al d.lgs. 231/2001 (L'ente dotato di personalità giuridica, sottratto alla regolamentazione di cui all'art. 11 d.lgs. n. 472/1997 e divenuto immediato destinatario della sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 7 d.l. 269/2003, andrà incontro al relativo procedimento e all'esecuzione della relativa sanzione a prescindere da quanto accada in sede penale. L'intervento del d.lgs. n. 231/2001 cambia, per così dire, le carte in tavola, dal momento che, prevedendo la responsabilità dell'ente da reato, impedisce che la societas risulti immune dalle conseguenze dell'illecito penale, con l'effetto, a ben vedere, di far venir meno la ragione alla base della previsione contenuta al comma 2 dell'art. 19 e, ferma la disciplina della responsabilità dell'ente da illecito amministrativo, di duplicare i titoli di responsabilità, ossia di aggiungere a quest'ultima quella da delitto. Si veda F. TRIPODI, L'ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, cit.).
Poiché, già con la nota sentenza Grande Stevens c. Italia è stata riconosciuta natura sostanzialmente penale alle sanzioni amministrative tributarie, la previsione di ulteriori sanzioni (anch'esse afflittive) a carico dello stesso ente e per gli stessi fatti, potrebbe comportare una palese violazione del divieto di bis in idem (Corte EDU, Seconda Sezione, Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014, n. 18640, 18647, 18663, 18668 e 18698/2010. La Corte Edu ha manifestato un atteggiamento di ostilità nei confronti dei doppi binari sanzionatori: una volta accertata la convergenza dei due procedimenti sullo stesso fatto, inteso in senso storico naturalistico (secondo il criterio dell'idem factum), la qualificazione come sostanzialmente penale della sanzione amministrativa bastava a sancire il contrasto con il principio del ne bis in idem). Tuttavia, occorre tenere conto di quanto statuito dalla sentenza A & B c. Norvegia, con cui i giudici di Strasburgo hanno sancito che non vi è violazione del principio del ne bis in idem se i due procedimenti sono connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico (criterio della “sufficiently close connection in substance and time”) [Corte EDU, Grande Camera, A. e B. c. Norvegia, 15 novembre 2016].
Secondo la Corte, al fine di valutare la sussistenza di una“sufficient connection”, il doppio binario deve essere sottoposto ad una sorta di “stress test” per verificare che: a) il cumulo sia prevedibile; b) i due procedimenti abbiano scopi differenti; c) vengano condotti in modo da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in modo che l'accertamento dei fatti effettuato in un procedimento sia utilizzato anche nell'altro; d) siano avvinti anche da una connessione cronologica tale da non sottoporre il soggetto a processo per un lasso di tempo indeterminato; e) la sanzione irrogata all'esito del procedimento concluso per primo sia presa in considerazione anche nell'altro procedimento, in guisa da poter assicurare la proporzionalità della pena complessivamente irrogata (F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, in Sistema Penale, giugno 2020).
Su questa posizione si è poi allineata, pur con alcune divergenze, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale, con riferimento specifico al nostro ordinamento, pur avendo riconosciuto la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa tributaria, ha escluso l'incompatibilità del sistema tributario italiano con il divieto del bis in idem (Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, Menci, C-524/15. .
Ad avviso della Corte, infatti, l'obiettivo perseguito dal “doppio binario”, previsto dalla legislazione italiana, identificato nella riscossione dell'IVA, costituisce una finalità rilevante per la salvaguardia degli interessi dell'Unione, il cui raggiungimento giustifica la previsione di un doppio binario sanzionatorio. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che proprio il meccanismo di cui agli artt. 19 e 21 d.lgs. n. 74/2000 sia in grado di scongiurare il rischio di una doppia sanzione, sostanzialmente iniqua e sproporzionata (Si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).
Anche la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di un imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale, nel dichiarare l'inammissibilità della questione, ha posto l'accento sulla presenza di disposizioni normative che andrebbero a garantire la “sufficient connection” e, dunque, a legittimare il doppio binario (C. Cost., 15 luglio 2019, n. 222). Tra queste, la Corte ha citato proprio le fattispecie di cui agli artt. 19, 20 e 21 d.lgs. 74/2000.
Come si è detto, però, a seguito dell'introduzione dei reati tributari nel novero del “sistema 231”, l'ente sarà attinto da una doppia sanzione e non potrà di certo avvalersi del meccanismo di cui agli artt. 19, comma 1, e 21 del d.lgs. 74/2000, che consente, come evidenziato, di assicurare l'applicazione di una sola sanzione e, dunque, nella prospettiva del ne bis in idem europeo, di soddisfare il parametro della proporzionalità sanzionatoria*.
Alla luce di quanto appena esposto, dovrebbe essere quantomeno introdotto un meccanismo di coordinamento tra le sanzioni di cui al d.lgs. n. 472/1997 e le sanzioni di cui al D.lgs. n. 231/2001, in modo tale che l'entità della sanzione complessivamente irrogata all'ente possa essere proporzionata alla violazione commessa. Nell'attesa di un'auspicata riforma correttiva, la dottrina ha tentato di individuare degli aggiustamenti alla disciplina ad oggi vigente. Una prima soluzione è stata ravvisata nell'estensione anche agli enti del meccanismo previsto agli artt. 19 e 21 d.lgs. 74/2000, nella consapevolezza, però, da un lato, della difficoltà di adattarlo ad un sistema completamente distinto rispetto a quello della persona fisica in cui ha trovato origine e, dall'altro lato, della necessità di armonizzarlo con la previsione del secondo comma dell'art. 19, nella parte in cui prevede che, in ogni caso, all'ente si applichi la sanzione amministrativa tributaria (F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).
Si è anche ipotizzata l'introduzione, nel testo del d.lgs. 231/2001, di una previsione analoga a quella dell'art. 187-terdecies T.U.I.F. operante in materia di abusi di mercato, la quale consente al giudice di far dialogare le sanzioni del doppio binario e di ricondurle entro canoni di proporzionalità**.
Un'ulteriore soluzione è stata individuata nell'introduzione, all'art. 8 del D.lgs. n. 231/2001, di una causa di esclusione della punibilità o di una causa di improcedibilità nel caso in cui il reo, persona fisica, non risulti punibile in forza di una causa di non punibilità/estinzione del reato derivante da condotte riparatorie.
La seconda problematica derivante dall'introduzione dei reati tributari nel “sistema 231”, attiene, come premesso, alla disparità di trattamento tra la persona fisica e la persona giuridica, stante la previsione, in favore della prima, della causa di non punibilità dettata dall'art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000, secondo cui i reati previsti dagli artt. 2, 3, 4 e 5 di tale decreto non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza dell'avvio di attività accertative fiscali o penali.
Ebbene, tale causa di non punibilità pare non potersi applicare alla persona giuridica, alla luce del principio dell'autonomia della responsabilità dell'ente, prevista dall'art. 8 d. lgs. 231/2001, secondo cui la responsabilità della persona giuridica sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (lett. a) ovvero quando il reato si è estinto per causa diversa dall'amnistia (lett. b)*.
Di fatto, però, risulta difficile non poter estendere l'applicazione dell'art. 13, comma 2, d. lgs. 74/2000, all'ente, soprattutto quando la condotta riparatoria risulta riferibile all'ente medesimo: ciò è evidente allorquando la condotta comporti un impegno di spesa, una deliberazione degli organi societari o di una funzione dirigenziale (C. PIERGALLINI, Premialità e non punibilità nel sistema della responsabilità degli enti, in Dir. pen. proc., 2019, p. 546.).
Non solo. A causa della scissione tra persona fisica autore del reato tributario e contribuente-ente, quando il reato tributario è commesso ad esclusivo vantaggio della persona giuridica, il pagamento del dovuto da parte della persona fisica costituisce anche una denuncia per l'ente. Ebbene, se così stanno le cose, “il risultato appare pressoché ineluttabile: la persona fisica potrebbe avere interesse a pagare per lucrare la non punibilità, ma non avere le risorse per provvedervi; l'ente al contrario, potrebbe avere la possibilità economica di pagare il quantum dovuto, ma mancare dell'interesse a procedere all'autodenuncia esponendosi altrimenti al rischio di una sanzione pecuniaria elevata e ad una misura interdittiva” (A. INGRASSIA, Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Dir. pen. proc., 2020, p. 10).
Il ruolo del modello nella esclusione/mitigazione della risposta sanzionatoria
Con l'inclusione dei reati tributari nel novero dei reati presupposto ex d. lgs. 231/2001, assume ancora maggior rilievo la necessità di adottare dei presidi aziendali (i.e. il modello di organizzazione e gestione) idonei, da un lato, a mitigare il rischio fiscale e, dall'altro, ad evitare, o comunque, limitare, le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla contestazione di un reato tributario presupposto*.
Difatti, ai sensi dell'art. 6, comma 1, del d. lgs. 231/2001, qualora il reato sia stato commesso da un soggetto apicale, l'ente non risponderà laddove l'organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi ed il reato sia stato commesso con elusione fraudolenta delle misure previste dal modello stesso (oltre a ciò, in un'ottica esimente, sarà necessario che il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello, nonché di curarne aggiornamento, sia stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il c.d organismo di vigilanza, il quale non sia incorso in omessa o insufficiente vigilanza). Ai sensi dell'art. 7, invece, nel caso di reato commesso da soggetto subordinato, l'ente sarà responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza e, in ogni caso, la loro inosservanza sarà esclusa se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Secondo quanto previsto dal successivo art. 12, la sanzione verrà ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Nel caso in cui l'ente abbia anche risarcito integralmente il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso, la sanzione verrà ridotta dalla metà ai due terzi. Se ne deduce, quindi, l'evidente carattere premiale del modello, il quale rappresenta, ex ante, uno strumento di prevenzione del rischio fiscale e, ex post, uno strumento di esclusione/mitigazione delle conseguenze sanzionatorie previste dal D.lgs. 231/2001.
Il modello e le procedure per la corretta gestione del rischio fiscale
L'introduzione dei reati tributari nel novero dei reati presupposto rilevanti ai sensi del citato decreto impone necessariamente un aggiornamento dei modelli organizzativi già adottati, richiedendo un'opera di individuazione delle attività cc.dd. sensibili e di elaborazione di procedure ad hoc finalizzate a ridurre il rischio fiscale. In particolare, le fasi essenziali dell'aggiornamento del modello così integrato (o della sua redazione, qualora non ancora predisposto) sono (P. GAUDIANO, La colpa d'organizzazione e il rischio fiscale: un “nuovo volto” del Modello 231?, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1-bis.P. GAUDIANO, La colpa d'organizzazione e il rischio fiscale: un “nuovo volto” del Modello 231?, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1-bis):
Nello specifico, i processi aziendali esposti al rischio fiscale possono essere distinti tra:
Considerando i diversi reati tributari, per quanto riguarda, nello specifico, le fattispecie di cui agli artt. 2, 3 e 8 del d.lgs. 231/2001, le aree maggiormente a rischio sono quelle nelle quali la società può instaurare rapporti commerciali fittizi, con parti contrattuali inesistenti, oppure utilizzare rapporti effettivamente esistenti, sfruttandoli per dar vita a fenomeni di sovrafatturazione (Si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.). Rilevano, così, tutte quelle aree che coinvolgono i rapporti commerciali di fornitura e, più in generale, la gestione delle risorse finanziarie e la contabilizzazione delle fatture emesse.
È possibile, quindi, delineare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, talune procedure, volte a ridurre il rischio di commissione di tali reati:
Con riferimento ai reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000 sarà opportuno, in particolare:
Con riferimento, invece, alla fattispecie di cui all'art. 10 d.lgs. 74/2000, sarà utile assicurarsi:
Con particolare riferimento al rischio di commissione del reato di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000, è opportuno premettere che, per lo più, si tratta di una fattispecie associabile alla fase di crisi dell'impresa, quando, ormai, la capacità della stessa di adempiere alle obbligazioni assunte è compromessa e che può tendenzialmente essere realizzato solo attraverso un'esplicita deliberazione del vertice societario (si pensi alle condotte di alienazione simulata).
Per tale ragione, un utile rilevatore della fraudolenza dell'operazione di dismissione potrebbe essere rappresentato dall'indice di liquidità della società. A fronte di un indice particolarmente basso, le operazioni dovrebbero considerarsi sospette e, come tali, essere oggetto di un attento vaglio da parte del vertice aziendale (si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).
In linea generale, sarà opportuno che ogni funzione coinvolta nelle attività sensibili, individuate in relazione ai reati tributari, comunichi all'Organismo di Vigilanza tutte le informazioni rilevanti in materia, mediante la previsione di specifici flussi informativi. Difatti, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. d) del d.lgs. 231/2001, il modello deve prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli (i flussi informativi hanno ad oggetto eventi rivelatori di possibili rischi di commissione di reati ed eventuali indici di anomalia, rispetto allo svolgimento ordinario dell'attività aziendale, nonché possibili criticità manifestatesi con riferimento all'applicazione dei protocolli di prevenzione previsti nel modello).
Inoltre, anche in ambito tributario sono validi i principi generali del sistema di controllo preventivo, relativi alla tracciabilità delle operazioni, alla separazione dei compiti e delle funzioni, alla chiara definizione dei poteri e delle responsabilità, alla oggettivizzazione dei processi decisionali e alla tracciabilità delle attività di controllo. Il c.d. Tax Control Framework
La gestione del “rischio fiscale” rappresenta sempre più un tema di attualità nelle società italiane di medie e grandi dimensioni, incentivato anche a livello internazionale. L'OCSE ha, difatti, promosso l'adozione, da parte degli Stati Membri, del c.d. Tax Control Framework (TCF), ovvero un insieme di procedure in cui sono definite le linee guida per la gestione del rischio fiscale attraverso la sua rilevazione, misurazione e controllo, nell'interesse convergente delle Amministrazioni fiscali e dei contribuenti.
Il Tax Control Framework rappresenta, quindi, un presidio specifico per la gestione delle criticità di natura tributaria, che può essere inserito nel contesto del sistema di governance aziendale già esistente, in modo da rafforzarlo e completarlo. Nel nostro ordinamento il TFC è stato introdotto con il d.lgs. 5 agosto 2015 n. 128, il quale ha previsto un regime di adempimento collaborativo (c.d. cooperative compliance), accessibile da parte delle imprese di maggiori dimensioni che si siano dotate di un efficace “sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale”, comprensivo di procedure di risk assesment e di risk management*.
Si tratta di un modello di gestione e controllo che introduce un sistema di autovalutazione preventiva del rischio fiscale e di interlocuzione privilegiata con l'Agenzia delle Entrate, volto a porre sotto presidio tutti i processi aziendali e le transazioni che abbiano natura tributaria, nell'interesse convergente dell'Amministrazione fiscale e del contribuente (**).
Come previsto dall'art. 4 del D.lgs. 128/2015, il sistema deve assicurare: a) una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell'organizzazione dei contribuenti in relazione ai rischi fiscali; b) efficaci procedure di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli aziendali; c) efficaci procedure per rimediare ad eventuali carenze riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive.
In ogni caso, l'art. 6 del d. lgs. 128/2015 prevede diversi effetti di natura premiale per le imprese che intendono aderire al regime, quali:
Inoltre, come previsto dall'art. 4 del provvedimento dell'Agenzia Entrate del 26 maggio 2017 n. 101573, il regime di adempimento collaborativo si pone l'obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che miri a un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti.
Tale obiettivo è perseguito tramite l'interlocuzione costante e preventiva con il contribuente su elementi di fatto, ivi inclusa l'anticipazione del controllo, finalizzata ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali (Per alcuni chiarimenti, si rinvia alla Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 22 luglio 2021, n. 49). L'accesso a tale adempimento permette anche di ottenere delle semplificazioni tributarie ai sensi dell'art. 5 del d. lgs. 128/2015. In particolare, è stato precisato che la costante interlocuzione con l'Amministrazione finanziaria e la comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali possono derogare ad alcune regole previste per determinati istituti, quale, quello di ottenere l'esenzione da ritenuta anche se la distribuzione dei dividendi avviene prima del compimento del periodo richiesto dalla norma per ottenere l'agevolazione (così la risposta ad interpello dell'Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2021 n. 537, con la quale sono stati forniti chiarimenti in merito alla distribuzione di dividendi da una società italiana ad una svizzera prima dei due anni di detenzione richiesti dallaccordo tra Svizzera e Unione europea per non applicare la ritenuta).
Pertanto, le società che hanno adottato il TCF hanno di fatto già implementato un “sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale”, inteso quale “rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell'ordinamento tributario”.
Si tratta, quindi, di un sistema che può orientare i modelli organizzativi verso un efficace contenimento del rischio di commissione dei reati tributari di recente introduzione (art. 25-quinquiesdecies, d.lgs. 231/2001) (si vedano le Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001, elaborate da Confindustria, versione del giugno 2021).
Infatti, il TFC presenta un'analogia strutturale rispetto ai modelli ex d.lgs. 231/2001 e, del resto, sono comuni l'attività di monitoraggiofinalizzata all'individuazione di deficit e all'attivazione di azioni correttive, nonché l'attività di reporting periodico agli organi di gestione per l'esame e le valutazioni conseguenti.
Ciò detto, occorre in ogni caso precisare le principali differenze tra i due sistemi. Innanzitutto, il perimetro di riferimento del TFC è più ampio rispetto a quello del modello ex d.lgs. 231/2001: violazione di norme di natura tributaria o di principi dell'ordinamento tributario nel suo complesso, nel primo, soltanto i reati espressamente richiamati nell'art. 25-quinquiesdecies, nel secondo.
Inoltre, per l'esonero dalla responsabilità ex d.lgs. 231/2001, come noto, sono necessari:
In ogni caso, pare non esservi dubbio che, quantomeno con riguardo alle aree comuni ai due sistemi, il positivo giudizio espresso dall'Agenzia delle Entrate ai fini dell'ammissione all'adempimento collaborativo possa costituire un utile elemento di valutazione dell'efficacia esimente del modello previsto dal “sistema 231”, da rimettere alle autonome determinazioni dell'Autorità Giudiziaria (Circolare della Guardia di Finanza n. 216816/2020, pp. 15-16).
Merita ricordare che la cultura della gestione del rischio fiscale si sta rapidamente diffondendo dalle società quotate alle società non quotate, non solo di grandi, ma anche di medie dimensioni: il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (“Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), ha aggiunto, al testo dell'art. 2086 c.c., il secondo comma, che prevede il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa. Tale assetto si rende necessario non solo in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, ma anche ai fini della prevenzione del rischio, anche fiscale, tanto che nella relazione sulla gestione occorre dare conto dei rischi rilevati (L. SALVINI, I reati tributari nel decreto 231/2001: una sfida per le imprese di ogni dimensione, in Sistema Penale, 7/2020).
D'altra parte, il modello di organizzazione e gestione può fungere da premessa essenziale per la costruzione di un adeguato assetto aziendale funzionale alla prevenzione e all'adeguata gestione della crisi che, come è stato rilevato, comporta una maggiore esposizione dell'impresa al rischio di commissione di uno dei reati di cui al d.lgs. 231/2001. Al contempo, è stato pure riscontrato che nei contesti aziendali caratterizzati da una persistente prassi di violazione delle procedure aziendali prescritte dal modello, maggiore è il rischio di concretizzazione di situazioni di squilibrio economico-finanziario (F. VENTIMIGLIA – G. MANCUSO, Modelli organizzativi ex d. lgs. 231/2001: strumenti indispensabili per la prevenzione della crisi d'impresa, in ntplusdiritto.ilsole24ore.com, 14 gennaio 2021).
Sussiste, dunque, uno stretto legame tra il modello previsto dal d.lgs. 231/2001 e l'assetto organizzativo di cui all'art. 2086 c.c., il quale trova nel primo un punto di partenza fondamentale per la propria predisposizione. Allo stesso modo, un modello organizzativo idoneo ed efficace non può prescindere da un adeguato assetto organizzativo, anche nell'ottica di prevenzione del rischio reato. In conclusione
A seguito dell'innesto, nel corpo del D.lgs. n. 231/2001, dei reati tributari, è risultata ancora più forte, anche a fronte del cumulo sanzionatorio di cui può essere gravato l'ente, l'esigenza di approntare una corretta gestione del rischio fiscale.
In quest'ottica, il modello di organizzazione e gestione assume un ruolo strategico al fine di orientare correttamente i processi decisionali e arginare il rischio reato; come detto, il modello costituisce, altresì, lo strumento in grado di esonerare l'ente da responsabilità, a patto che sia idoneo, attuale ed efficace. In altri termini, il modello dovrà rappresentare fedelmente la realtà aziendale, individuare nel dettaglio le aree di rischio e prescrivere adeguate procedure in grado di prevenire la commissione dei reati presupposto.
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