Modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. 231/2001: rischio fiscale di esclusione degli effetti del duplice (anzi triplice) binario sanzionatorio

Fabio Gallio
Simone Furian
02 Agosto 2022

Con l'inserimento dei reati tributari nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti ex d.lgs. n. 231/2001, anche la società è chiamata a rispondere penalmente se tali reati sono stati commessi “nel suo interesse o a suo vantaggio” [come ha precisato la Suprema Corte, nei reati tributari, il profitto del reato, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento di tributi, interessi e sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario (ex pluribus, Cass. Pen., SS.UU., 31 gennaio 2013 – 23 aprile 2013, n. 18374)] da soggetti apicali o ad essi sottoposti.
L'inclusione dei reati tributari nel catalogo dei reati presupposto previsti dal D.lgs. 231/2001

Il legislatore ha introdotto un doppio, anzi triplice, binario sanzionatorio, poiché, alla pena irrogata nei confronti della persona fisica che ha commesso il reato, si aggiunge, nei confronti della persona giuridica, la sanzione penale prevista dal D.lgs. 231/2001, che si affianca a quella prescritta in sede tributaria.

In particolare, l'art. 25-quinquiesdecies del D.lgs. 231/2001 [Per effetto dell'art. 39, comma 2, del d.l. n. 124/2019 e successiva legge di conversione (l. n. 157 del 19 dicembre 2019)] include, nel catalogo dei reati presupposto, le fattispecie di cui agli artt. 2 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 3 (“Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”), 8 (“Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”), 10 (“Occultamento o distruzione di documenti contabili”) e 11 (“Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”) del D.lgs. n. 74/2000.

In seguito, con la c.d. “Direttiva PIF” [Cfr. il d.lgs. 14 luglio 2020, n. 75, che ha recepito nel nostro ordinamento la Direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode lesiva degli interessi finanziari dell'Unione Europea mediante il diritto penale] il catalogo è stato ampliato, mediante l'aggiunta dei reati di cui agli artt. 4 (“Dichiarazione infedele”), 5 (“Omessa dichiarazione”) e 10-quater (“Indebita compensazione”) dello stesso d.lgs. n. 74/2000, solo, però, “se commessi nell'ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l'imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro”.

Sul piano sanzionatorio, oltre alle sanzioni pecuniarie (per quote da 258,00 a 1.549,00 euro), aumentate di un terzo, se l'ente ha conseguito un vantaggio di rilevate entità, si applicano all'ente medesimo le misure interdittive di cui all'art. 9, comma 2, lettere c), d) ed e), d. lgs. 231/2001, ovvero il divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione, l'esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, l'eventuale revoca di quelli già concessi, nonché il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Inoltre, nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, anche per equivalente, come espressamente previsto dall'art. 19 d. lgs. 231/2001; può essere anche applicata la confisca c.d. allargata o per sproporzione di cui all'art. 240 bis c.p., fondata sull'apprensione dei beni sproporzionati rispetto al reddito, di cui il soggetto non sia in grado di giustificare la provenienza (sul punto, la Guardia di Finanza, con la circolare n. 216816/2020, ha precisato che: “tenuto conto della contestuale applicabilità dell'art. 19 del D.lgs. n. 231/2001 e dell'art. 12-bis del D.lgs. n. 74/2000, la misura reale può colpire, in maniera contestuale e indifferente, i beni dell'ente che dal reato ha avuto un vantaggio e quelli della persona fisica che ha commesso il delitto, anche se quest'ultima non ha conseguito personalmente il profitto del reato, fermo restando che il vincolo cautelare non deve eccedere, nel complesso, il profitto stesso”).

Problematiche applicative della riforma

Premessa

In assenza di disposizioni di coordinamento con la disciplina sanzionatoria amministrativo-tributaria, allo stato attuale, le sanzioni penali di cui al D.lgs. 231/2001 si “sommano” a quelle irrogate in sede tributaria, a fronte di violazioni di carattere fiscale commesse nell'interesse o a vantaggio dell'ente (C. TODINI, L'inclusione dei reati tributari tra i reati presupposto del decreto 231 e il divieto di ne bis in idem: quali possibili soluzioni?, in Rass. Tributaria, 2021, 3, 731).

Ciò in forza delle previsioni di cui all'art. 7 (“Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie”) del d.lgs. 269/2003, il quale, derogando all'art. 11, comma 1, D.lgs. 472/1997, che prevede(va) una responsabilità solidale tra l'ente, dotato o meno di personalità giuridica, e la persona fisica autrice della violazione, dispone che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica (Prima dell'innovazione normativa apportata nel 2003, l'ente, dotato o meno di personalità giuridica, in base alla disciplina dettata dall'art. 11 D.lgs. 472/1997, era solidalmente responsabile, in qualità di contribuente, con la persona fisica autrice materiale dell'illecito, sempre che la violazione incidente sulla determinazione o sul versamento del tributo fosse commessa nel suo interesse).

Ebbene, la disciplina ad oggi in vigore pone un duplice ordine di problemi. Il primo attiene alla sua possibile incompatibilità con il principio del ne bis in idem, tanto sostanziale quanto processuale. Il secondo, invece, va ravvisato nella possibilità, per la persona fisica, di beneficiare della particolare causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 2, D.lgs. n. 74/2000, non prevista nel “sistema 231”.

Cumulo di sanzioni e ne bis in idem

Con riferimento alla prima questione, l'art. 19, comma 2, del d.lgs. 74/2000, in deroga al principio di specialità posto dal comma 1, afferma che “permane in ogni caso la responsabilità per la sanzione amministrativa dei soggetti indicati nell'art. 11, comma 1, d.lgs. n. 472/1997, che non siano persone fisiche concorrenti nel reato. E l'art. 21, comma 2, del d.lgs. 74/2000, quale riflesso sul piano procedurale, eccettua i soggetti indicati nel comma 2 dell'art. 19 dall'effetto dell'ineseguibilità delle sanzioni amministrative, stabilita dall'art. 21, comma 1, secondo cui le sanzioni amministrative “non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicati dall'art. 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto” (È agevole cogliere la ratio di tale opzione, la quale risiede nell'esigenza di evitare che per l'ente risulti più conveniente un'evasione sopra-soglia, e dunque il penale (al confronto con un'evasione sottosoglia, e quindi la corrispondente infrazione amministrativa), atteso che, in assenza del comma 2 dell'art. 19 d.lgs. 74/2000, si avrebbe la sola sanzione penale per la persona fisica suo rappresentante. Sul punto si veda F. TRIPODI, L'ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, in Sistema Penale, dicembre 2020).

In forza di ciò, la commissione di un reato tributario comporterà l'irrogazione, in capo all'ente privo di personalità giuridica, sia delle sanzioni amministrative già previste dal d.lgs. n. 472/1997, sia delle sanzioni di cui al d.lgs. n. 231/2001. Per gli enti dotati di personalità giuridica, invece, le sanzioni amministrative previste dall'art. 7 del d.l. 269/2003 si andranno a sommare alle sanzioni di cui al d.lgs. 231/2001 (L'ente dotato di personalità giuridica, sottratto alla regolamentazione di cui all'art. 11 d.lgs. n. 472/1997 e divenuto immediato destinatario della sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 7 d.l. 269/2003, andrà incontro al relativo procedimento e all'esecuzione della relativa sanzione a prescindere da quanto accada in sede penale. L'intervento del d.lgs. n. 231/2001 cambia, per così dire, le carte in tavola, dal momento che, prevedendo la responsabilità dell'ente da reato, impedisce che la societas risulti immune dalle conseguenze dell'illecito penale, con l'effetto, a ben vedere, di far venir meno la ragione alla base della previsione contenuta al comma 2 dell'art. 19 e, ferma la disciplina della responsabilità dell'ente da illecito amministrativo, di duplicare i titoli di responsabilità, ossia di aggiungere a quest'ultima quella da delitto. Si veda F. TRIPODI, L'ente nel doppio binario punitivo. Note sulla configurazione metaindividuale dei doppi binari sanzionatori, cit.).

Poiché, già con la nota sentenza Grande Stevens c. Italia è stata riconosciuta natura sostanzialmente penale alle sanzioni amministrative tributarie, la previsione di ulteriori sanzioni (anch'esse afflittive) a carico dello stesso ente e per gli stessi fatti, potrebbe comportare una palese violazione del divieto di bis in idem (Corte EDU, Seconda Sezione, Grande Stevens c. Italia, 4 marzo 2014, n. 18640, 18647, 18663, 18668 e 18698/2010. La Corte Edu ha manifestato un atteggiamento di ostilità nei confronti dei doppi binari sanzionatori: una volta accertata la convergenza dei due procedimenti sullo stesso fatto, inteso in senso storico naturalistico (secondo il criterio dell'idem factum), la qualificazione come sostanzialmente penale della sanzione amministrativa bastava a sancire il contrasto con il principio del ne bis in idem).

Tuttavia, occorre tenere conto di quanto statuito dalla sentenza A & B c. Norvegia, con cui i giudici di Strasburgo hanno sancito che non vi è violazione del principio del ne bis in idem se i due procedimenti sono connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico (criterio della “sufficiently close connection in substance and time”) [Corte EDU, Grande Camera, A. e B. c. Norvegia, 15 novembre 2016].

Secondo la Corte, al fine di valutare la sussistenza di una“sufficient connection”, il doppio binario deve essere sottoposto ad una sorta di “stress test” per verificare che:

a) il cumulo sia prevedibile;

b) i due procedimenti abbiano scopi differenti;

c) vengano condotti in modo da evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in modo che l'accertamento dei fatti effettuato in un procedimento sia utilizzato anche nell'altro;

d) siano avvinti anche da una connessione cronologica tale da non sottoporre il soggetto a processo per un lasso di tempo indeterminato;

e) la sanzione irrogata all'esito del procedimento concluso per primo sia presa in considerazione anche nell'altro procedimento, in guisa da poter assicurare la proporzionalità della pena complessivamente irrogata (F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, in Sistema Penale, giugno 2020).

Su questa posizione si è poi allineata, pur con alcune divergenze, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale, con riferimento specifico al nostro ordinamento, pur avendo riconosciuto la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa tributaria, ha escluso l'incompatibilità del sistema tributario italiano con il divieto del bis in idem (Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 20 marzo 2018, Menci, C-524/15. .

Ad avviso della Corte, infatti, l'obiettivo perseguito dal “doppio binario”, previsto dalla legislazione italiana, identificato nella riscossione dell'IVA, costituisce una finalità rilevante per la salvaguardia degli interessi dell'Unione, il cui raggiungimento giustifica la previsione di un doppio binario sanzionatorio. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto che proprio il meccanismo di cui agli artt. 19 e 21 d.lgs. n. 74/2000 sia in grado di scongiurare il rischio di una doppia sanzione, sostanzialmente iniqua e sproporzionata (Si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).

Anche la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di un imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale, nel dichiarare l'inammissibilità della questione, ha posto l'accento sulla presenza di disposizioni normative che andrebbero a garantire la “sufficient connection” e, dunque, a legittimare il doppio binario (C. Cost., 15 luglio 2019, n. 222).

Tra queste, la Corte ha citato proprio le fattispecie di cui agli artt. 19, 20 e 21 d.lgs. 74/2000.

Come si è detto, però, a seguito dell'introduzione dei reati tributari nel novero del “sistema 231”, l'ente sarà attinto da una doppia sanzione e non potrà di certo avvalersi del meccanismo di cui agli artt. 19, comma 1, e 21 del d.lgs. 74/2000, che consente, come evidenziato, di assicurare l'applicazione di una sola sanzione e, dunque, nella prospettiva del ne bis in idem europeo, di soddisfare il parametro della proporzionalità sanzionatoria*.

*In evidenza
Parte della dottrina ritiene che vi sia identità tra il fatto alla base della responsabilità ex d.lgs. 231/2001 ed il fatto alla base della responsabilità amministrativa-tributaria, in quanto il richiamo a criteri di attribuzione della responsabilità da reato ulteriori rispetto a quelli richiesti ai fini dell'integrazione dell'illecito amministrativo, ovvero la presenza di un interesse o vantaggio per l'ente e la colpa d'organizzazione, non sarebbe in grado di fondare la diversità dei fatti. Secondo tale tesi, per applicare all'ente la sanzione amministrativa è pur sempre necessario che lo stesso sia parte del relativo rapporto fiscale (art. 7 D.lgs. 269/2003) e la persona fisica deve aver commesso il fatto nella sussistenza del nesso di occasionalità necessaria (art. 11 d.lgs. 472/1997). Nemmeno il richiamo alla colpa d'organizzazione è in grado, secondo tale orientamento, di fondare la eterogeneità dei fatti, se si aderisce, come fanno la giurisprudenza europea e quella costituzionale, ad una nozione di stampo empirico, per la quale rilevano gli aspetti storico-oggettivi a cui la norma che prevede l'illecito attribuisce una dimensione costitutiva dello stesso. Si veda G. GRASSO, Responsabilità da reato tributario dell'ente e ne bis in idem: tra “binari” doppi e multipli alla luce del d.l. n. 124 del 2019, conv. in l. n. 157/2019, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1 bis, p. 5. Sostiene invece la diversità del fatto E. MANONI, Responsabilità da reato degli enti: inevitabile il confronto con il principio del ne bis in idem, in Fisco, 2021, 30, 2950, secondo cui l'elemento di diversità è dato dal difetto di organizzazione dell'ente, che non si è attivato per prevenire o ridurre il rischio di reato. Si tratta di un elemento di disvalore che non è dato rinvenire nel sistema amministrativo di cui al d. lgs. 471/1997.

Alla luce di quanto appena esposto, dovrebbe essere quantomeno introdotto un meccanismo di coordinamento tra le sanzioni di cui al d.lgs. n. 472/1997 e le sanzioni di cui al D.lgs. n. 231/2001, in modo tale che l'entità della sanzione complessivamente irrogata all'ente possa essere proporzionata alla violazione commessa.

Nell'attesa di un'auspicata riforma correttiva, la dottrina ha tentato di individuare degli aggiustamenti alla disciplina ad oggi vigente.

Una prima soluzione è stata ravvisata nell'estensione anche agli enti del meccanismo previsto agli artt. 19 e 21 d.lgs. 74/2000, nella consapevolezza, però, da un lato, della difficoltà di adattarlo ad un sistema completamente distinto rispetto a quello della persona fisica in cui ha trovato origine e, dall'altro lato, della necessità di armonizzarlo con la previsione del secondo comma dell'art. 19, nella parte in cui prevede che, in ogni caso, all'ente si applichi la sanzione amministrativa tributaria (F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).

Si è anche ipotizzata l'introduzione, nel testo del d.lgs. 231/2001, di una previsione analoga a quella dell'art. 187-terdecies T.U.I.F. operante in materia di abusi di mercato, la quale consente al giudice di far dialogare le sanzioni del doppio binario e di ricondurle entro canoni di proporzionalità**.

**In evidenza

L'art. 187-terdecies del T.U.I.F. (d.lgs. 58/1998) dispone: “1. Quando per lo stesso fatto è stata applicata, a carico del reo, dell'autore della violazione o dell'ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai sensi dell'articolo 187 septies ovvero una sanzione penale o una sanzione amministrativa dipendente da reato:

a) l'autorità giudiziaria o la CONSOB tengono conto, al momento dell'irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate;

b) l'esazione della pena pecuniaria, della sanzione pecuniaria dipendente da reato ovvero della sanzione pecuniaria amministrativa è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall'autorità amministrativa ovvero da quella giudiziaria […]”.

Un'ulteriore soluzione è stata individuata nell'introduzione, all'art. 8 del D.lgs. n. 231/2001, di una causa di esclusione della punibilità o di una causa di improcedibilità nel caso in cui il reo, persona fisica, non risulti punibile in forza di una causa di non punibilità/estinzione del reato derivante da condotte riparatorie.

Mancata estensione all'ente del sistema di c.d. premialità riscossiva

La seconda problematica derivante dall'introduzione dei reati tributari nel “sistema 231”, attiene, come premesso, alla disparità di trattamento tra la persona fisica e la persona giuridica, stante la previsione, in favore della prima, della causa di non punibilità dettata dall'art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000, secondo cui i reati previsti dagli artt. 2, 3, 4 e 5 di tale decreto non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni ed interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza dell'avvio di attività accertative fiscali o penali.

Ebbene, tale causa di non punibilità pare non potersi applicare alla persona giuridica, alla luce del principio dell'autonomia della responsabilità dell'ente, prevista dall'art. 8 d. lgs. 231/2001, secondo cui la responsabilità della persona giuridica sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (lett. a) ovvero quando il reato si è estinto per causa diversa dall'amnistia (lett. b)*.

*In evidenza
Tale interpretazione della norma, particolarmente rigorosa, è stata avvallata da recente giurisprudenza. Da ultimo, si veda Cass. Pen., Sez. III, 23 gennaio 2019, n. 11518, la quale ritiene non operanti nei confronti dell'ente neppure le cause di esclusione della punibilità, quale la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131bis c.p. pronunciata nei confronti dell'autore dell'illecito. Parte della dottrina si è, invece, espressa in favore dell'applicabilità all'ente della causa di non punibilità di cui all'art. 13, comma 2, d.lgs. 74/2000, in quanto l'art. 8 d.lgs. 231/2001 andrebbe ad operare solo con riferimento alle cause di estinzione: se tutte le cause di estinzione del reato possono essere considerate (negli effetti) come cause di non punibilità, non è necessariamente vero il contrario, di modo che l'estensione dell'art. 8 anche a quest'ultime costituirebbe un'ipotesi di analogia in malam partem. Si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit. Si veda anche P. GAUDIANO, La colpa d'organizzazione e il rischio fiscale: un “nuovo volto” del Modello 231?, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1 bis, secondo cui la richiamata disparità di trattamento è ancora più accentuata dalla previsione contenuta nel secondo comma dell'art. 12 bis d. lgs. 74/2000, del pari non riprodotta nel testo del d. lgs. 231/2001, ove è esclusa l'operatività della confisca per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro.

Di fatto, però, risulta difficile non poter estendere l'applicazione dell'art. 13, comma 2, d. lgs. 74/2000, all'ente, soprattutto quando la condotta riparatoria risulta riferibile all'ente medesimo: ciò è evidente allorquando la condotta comporti un impegno di spesa, una deliberazione degli organi societari o di una funzione dirigenziale (C. PIERGALLINI, Premialità e non punibilità nel sistema della responsabilità degli enti, in Dir. pen. proc., 2019, p. 546.).

Non solo. A causa della scissione tra persona fisica autore del reato tributario e contribuente-ente, quando il reato tributario è commesso ad esclusivo vantaggio della persona giuridica, il pagamento del dovuto da parte della persona fisica costituisce anche una denuncia per l'ente. Ebbene, se così stanno le cose, “il risultato appare pressoché ineluttabile: la persona fisica potrebbe avere interesse a pagare per lucrare la non punibilità, ma non avere le risorse per provvedervi; l'ente al contrario, potrebbe avere la possibilità economica di pagare il quantum dovuto, ma mancare dell'interesse a procedere all'autodenuncia esponendosi altrimenti al rischio di una sanzione pecuniaria elevata e ad una misura interdittiva” (A. INGRASSIA, Il bastone (di cartapesta) e la carota (avvelenata): iniezioni di irrazionalità nel sistema penale tributario, in Dir. pen. proc., 2020, p. 10).

Centralità del modello ex d.lgs. 231/2001 nella gestione del rischio (anche) fiscale

Il ruolo del modello nella esclusione/mitigazione della risposta sanzionatoria

Con l'inclusione dei reati tributari nel novero dei reati presupposto ex d. lgs. 231/2001, assume ancora maggior rilievo la necessità di adottare dei presidi aziendali (i.e. il modello di organizzazione e gestione) idonei, da un lato, a mitigare il rischio fiscale e, dall'altro, ad evitare, o comunque, limitare, le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla contestazione di un reato tributario presupposto*.

*In evidenza
Nella versione originaria del d.lgs. 231/2001, che pure non includeva i reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto, il legislatore aveva comunque mostrato attenzione per il rischio “fiscale”, prevedendo esplicitamente all'art. 6, comma 2, lett. c), che il modello organizzativo dovesse “individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione di reati”. Si trattava di una scelta ragionevole, atteso che i reati tributari assumevano, nel “sistema 231”, un'innegabile rilevanza indiretta, quali fattispecie non di rado prodromiche alla realizzazione di altri reati-presupposto, con l'ovvia conseguenza che qualsiasi modello di organizzazione e gestione era tenuto a prevedere protocolli atti a prevenire la commissione dell'illecito fiscale strumentale alla consumazione delle fattispecie delittuose già contemplate nel catalogo dei reati-presupposto. Si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.

Difatti, ai sensi dell'art. 6, comma 1, del d. lgs. 231/2001, qualora il reato sia stato commesso da un soggetto apicale, l'ente non risponderà laddove l'organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi ed il reato sia stato commesso con elusione fraudolenta delle misure previste dal modello stesso (oltre a ciò, in un'ottica esimente, sarà necessario che il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza del modello, nonché di curarne aggiornamento, sia stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il c.d organismo di vigilanza, il quale non sia incorso in omessa o insufficiente vigilanza).

Ai sensi dell'art. 7, invece, nel caso di reato commesso da soggetto subordinato, l'ente sarà responsabile se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza e, in ogni caso, la loro inosservanza sarà esclusa se l'ente, prima della commissione del reato, ha adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Secondo quanto previsto dal successivo art. 12, la sanzione verrà ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Nel caso in cui l'ente abbia anche risarcito integralmente il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso, la sanzione verrà ridotta dalla metà ai due terzi.

Se ne deduce, quindi, l'evidente carattere premiale del modello, il quale rappresenta, ex ante, uno strumento di prevenzione del rischio fiscale e, ex post, uno strumento di esclusione/mitigazione delle conseguenze sanzionatorie previste dal D.lgs. 231/2001.

Il modello e le procedure per la corretta gestione del rischio fiscale

L'introduzione dei reati tributari nel novero dei reati presupposto rilevanti ai sensi del citato decreto impone necessariamente un aggiornamento dei modelli organizzativi già adottati, richiedendo un'opera di individuazione delle attività cc.dd. sensibili e di elaborazione di procedure ad hoc finalizzate a ridurre il rischio fiscale.

In particolare, le fasi essenziali dell'aggiornamento del modello così integrato (o della sua redazione, qualora non ancora predisposto) sono (P. GAUDIANO, La colpa d'organizzazione e il rischio fiscale: un “nuovo volto” del Modello 231?, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1-bis.P. GAUDIANO, La colpa d'organizzazione e il rischio fiscale: un “nuovo volto” del Modello 231?, in Giurisprudenza Penale Web, 2021, 1-bis):

  • verifica preliminare, volta a identificare le attività e i soggetti, dai quali dovranno essere assunte le informazioni essenziali in merito alle dinamiche aziendali;
  • individuazione dei rischi potenziali, attraverso una mappatura delle aree sensibili, con indicazione del sistema integrato dei controlli interni eventualmente già esistente;
  • rilevazione delle aree non conformi e dei processi non adeguati con indicazione delle azioni correttive da intraprendere;
  • adozione di specifici protocolli che tengano il più possibile conto, oltre che della normativa di riferimento, della realtà aziendale;
  • informazione sulle procedure prescritte e monitoraggio sulla loro applicazione.

Nello specifico, i processi aziendali esposti al rischio fiscale possono essere distinti tra:

  1. processi diretti, che includono attività di natura prettamente fiscale, come la presentazione delle dichiarazioni fiscali e, in genere, delle altre comunicazioni sociali, la liquidazione ed il versamento dei tributi, la regolare tenuta e custodia della documentazione obbligatoria, la gestione delle operazioni di finanziamento;
  2. processi indiretti, che includono attività non di natura fiscale, ma con riflessi significativi sui processi direttamente correlati alla sfera fiscale, come la selezione dei fornitori di beni, servizi e prestazioni intellettuali, la stipula e la gestione dei relativi contratti, la predisposizione di bandi di gara, il ciclo degli incassi e dei pagamenti, la gestione delle missioni e dei rimborsi spesa, la gestione delle sponsorizzazioni e/o dei contributi (M. MANZINI – A. ALBANO, Responsabilità ex d.lgs. 231/2001 per reati tributari: gestione del rischio fiscale e assetti organizzativi, in Fisco, 2021, 6, 554. Si vedano anche le Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001, elaborate da Confindustria, versione del giugno 2021.).

Considerando i diversi reati tributari, per quanto riguarda, nello specifico, le fattispecie di cui agli artt. 2, 3 e 8 del d.lgs. 231/2001, le aree maggiormente a rischio sono quelle nelle quali la società può instaurare rapporti commerciali fittizi, con parti contrattuali inesistenti, oppure utilizzare rapporti effettivamente esistenti, sfruttandoli per dar vita a fenomeni di sovrafatturazione (Si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).

Rilevano, così, tutte quelle aree che coinvolgono i rapporti commerciali di fornitura e, più in generale, la gestione delle risorse finanziarie e la contabilizzazione delle fatture emesse.

È possibile, quindi, delineare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, talune procedure, volte a ridurre il rischio di commissione di tali reati:

  • previsione di una fase di preventiva qualifica/due diligence dei fornitori, che garantisca la piena conoscibilità della propria controparte contrattuale (si tratta di una fase volta a raccogliere tutte le informazioni anagrafiche, “etiche” e di solidità economico-finanziaria della controparte, improntata alla massima trasparenza);
  • definizione delle modalità di selezione dei fornitori (limitata ai soli soggetti già selezionati e, dunque, preventivamente verificati);
  • definizione delle modalità e dei criteri per la valutazione delle offerte ricevute improntati alla trasparenza e, per quanto possibile, alla limitazione di criteri di soggettività;
  • costante monitoraggio sull'effettiva esecuzione del contratto stipulato, al fine di verificare la corrispondenza tra prestazioni effettuate e pattuite e la corrispondenza tra i documenti contabili e la fattura emessa (es. verifica circa la conformità delle caratteristiche dei beni o servizi oggetto di acquisto, rispetto al contenuto dell'ordine/contratto; verifica della coerenza tra il soggetto che ha erogato la prestazione, il soggetto indicato nell'ordine/contratto ed il soggetto che ha emesso la fattura).

Con riferimento ai reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000 sarà opportuno, in particolare:

  • definire le modalità di verifica circa la tempestiva e corretta liquidazione delle imposte (o delle cartelle esattoriali) rispetto alle scadenze di legge e a quanto riportato nelle dichiarazioni presentate, tenendo conto sia dei versamenti in acconto già effettuati che degli acconti dovuti per l'esercizio in corso;
  • definire le modalità di identificazione delle informazioni e dei dati sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società da trasmettere alle funzioni amministrative competenti.

Con riferimento, invece, alla fattispecie di cui all'art. 10 d.lgs. 74/2000, sarà utile assicurarsi:

  1. che le scritture contabili e gli altri documenti di cui è obbligatoria la conservazione a fini fiscali, siano custodite, approntando difese fisiche e/o informatiche che impediscano eventuali atti di distruzione o occultamento;
  2. che sia attuato il principio di segregazione delle funzioni nella gestione della contabilità e nella predisposizione delle dichiarazioni tributarie, anche tramite il ricorso a strumenti informatici che assicurino l'inserimento delle informazioni rilevanti e impediscano qualsiasi modifica senza evidenza di autore, data e registrazione originaria.

Con particolare riferimento al rischio di commissione del reato di cui all'art. 11 d.lgs. 74/2000, è opportuno premettere che, per lo più, si tratta di una fattispecie associabile alla fase di crisi dell'impresa, quando, ormai, la capacità della stessa di adempiere alle obbligazioni assunte è compromessa e che può tendenzialmente essere realizzato solo attraverso un'esplicita deliberazione del vertice societario (si pensi alle condotte di alienazione simulata).

Per tale ragione, un utile rilevatore della fraudolenza dell'operazione di dismissione potrebbe essere rappresentato dall'indice di liquidità della società. A fronte di un indice particolarmente basso, le operazioni dovrebbero considerarsi sospette e, come tali, essere oggetto di un attento vaglio da parte del vertice aziendale (si veda F. PIERGALLINI, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell'ente, cit.).

In linea generale, sarà opportuno che ogni funzione coinvolta nelle attività sensibili, individuate in relazione ai reati tributari, comunichi all'Organismo di Vigilanza tutte le informazioni rilevanti in materia, mediante la previsione di specifici flussi informativi. Difatti, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lett. d) del d.lgs. 231/2001, il modello deve prevedere obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli (i flussi informativi hanno ad oggetto eventi rivelatori di possibili rischi di commissione di reati ed eventuali indici di anomalia, rispetto allo svolgimento ordinario dell'attività aziendale, nonché possibili criticità manifestatesi con riferimento all'applicazione dei protocolli di prevenzione previsti nel modello).

Inoltre, anche in ambito tributario sono validi i principi generali del sistema di controllo preventivo, relativi alla tracciabilità delle operazioni, alla separazione dei compiti e delle funzioni, alla chiara definizione dei poteri e delle responsabilità, alla oggettivizzazione dei processi decisionali e alla tracciabilità delle attività di controllo.

Il c.d. Tax Control Framework

La gestione del “rischio fiscale” rappresenta sempre più un tema di attualità nelle società italiane di medie e grandi dimensioni, incentivato anche a livello internazionale.

L'OCSE ha, difatti, promosso l'adozione, da parte degli Stati Membri, del c.d. Tax Control Framework (TCF), ovvero un insieme di procedure in cui sono definite le linee guida per la gestione del rischio fiscale attraverso la sua rilevazione, misurazione e controllo, nell'interesse convergente delle Amministrazioni fiscali e dei contribuenti.

Il Tax Control Framework rappresenta, quindi, un presidio specifico per la gestione delle criticità di natura tributaria, che può essere inserito nel contesto del sistema di governance aziendale già esistente, in modo da rafforzarlo e completarlo.

Nel nostro ordinamento il TFC è stato introdotto con il d.lgs. 5 agosto 2015 n. 128, il quale ha previsto un regime di adempimento collaborativo (c.d. cooperative compliance), accessibile da parte delle imprese di maggiori dimensioni che si siano dotate di un efficace “sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale”, comprensivo di procedure di risk assesment e di risk management*.

*In evidenza
Ai sensi dell'art. 3, comma 1, d.lgs. 128/2015: “Al fine di promuovere l'adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale, è istituito il regime di adempimento collaborativo fra l'Agenzia delle entrate e i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell'ordinamento tributario”. Ai sensi del successivo art. 4, “Il contribuente che aderisce al regime deve essere dotato, nel rispetto della sua autonomia di scelta delle soluzioni organizzative più adeguate per il perseguimento dei relativi obiettivi, di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inserito nel contesto del sistema di governo aziendale e di controllo interno. Fermo il fedele e tempestivo adempimento degli obblighi tributari, il sistema deve assicurare: a) una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell'organizzazione dei contribuenti in relazione ai rischi fiscali; b) efficaci procedure di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli aziendali; c) efficaci procedure per rimediare ad eventuali carenze riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive. Il sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale prevede, con cadenza almeno annuale, l'invio di una relazione agli organi di gestione per l'esame e le valutazioni conseguenti. La relazione illustra, per gli adempimenti tributari, le verifiche effettuate e i risultati emersi, le misure adottate per rimediare a eventuali carenze rilevate, nonché le attività pianificate”.

Si tratta di un modello di gestione e controllo che introduce un sistema di autovalutazione preventiva del rischio fiscale e di interlocuzione privilegiata con l'Agenzia delle Entrate, volto a porre sotto presidio tutti i processi aziendali e le transazioni che abbiano natura tributaria, nell'interesse convergente dell'Amministrazione fiscale e del contribuente (**).

** In evidenza

Attualmente, in fase di prima applicazione, il regime è riservato:

i) ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a 5 miliardi di euro (la soglia di ingresso, originariamente fissata a 10 miliardi di euro, è stata infatti abbassata, con D.M. del 30 marzo 2020, a 5 miliardi di euro, a valere per gli esercizi 2020 e 2021;

ii) ai soggetti residenti e non residenti (con stabile organizzazione in Italia) che realizzano un volume di affari o di ricavi non inferiore a un miliardo di euro e che abbiano presentato istanza di adesione al Progetto pilota sul Regime di Adempimento Collaborativo;

iii) alle imprese che intendono dare esecuzione alla risposta dell'Agenzia delle Entrate, fornita a seguito di istanza di interpello sui nuovi investimenti (all'art. 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147) indipendentemente dal volume di affari o di ricavi;

iv) ai soggetti che fanno parte del Gruppo IVA di imprese già ammesse al regime (d.l. n 119/2018), indipendentemente dal volume di affari o di ricavi.

Come previsto dall'art. 4 del D.lgs. 128/2015, il sistema deve assicurare:

a) una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell'organizzazione dei contribuenti in relazione ai rischi fiscali;

b) efficaci procedure di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali il cui rispetto sia garantito a tutti i livelli aziendali;

c) efficaci procedure per rimediare ad eventuali carenze riscontrate nel suo funzionamento e attivare le necessarie azioni correttive.

In ogni caso, l'art. 6 del d. lgs. 128/2015 prevede diversi effetti di natura premiale per le imprese che intendono aderire al regime, quali:

  1. procedura abbreviata di interpello preventivo nell'ambito della quale l'Agenzia delle entrate si impegna a rispondere ai quesiti delle imprese entro quarantacinque giorni decorrenti dal ricevimento dell'istanza o della eventuale documentazione integrativa richiesta.
  2. applicazione di sanzioni ridotte alla metà, e comunque in misura non superiore al minimo edittale, con sospensione della riscossione fino alla definitività dell'accertamento, per i rischi comunicati in modo tempestivo ed esauriente, laddove l'Agenzia delle entrate non condivida la posizione dell'impresa.
  3. esonero dal presentare garanzie per i rimborsi delle imposte dirette ed indirette per tutto il periodo di permanenza nel regime.

Inoltre, come previsto dall'art. 4 del provvedimento dell'Agenzia Entrate del 26 maggio 2017 n. 101573, il regime di adempimento collaborativo si pone l'obiettivo di instaurare un rapporto di fiducia tra amministrazione e contribuente che miri a un aumento del livello di certezza sulle questioni fiscali rilevanti.

Tale obiettivo è perseguito tramite l'interlocuzione costante e preventiva con il contribuente su elementi di fatto, ivi inclusa l'anticipazione del controllo, finalizzata ad una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali (Per alcuni chiarimenti, si rinvia alla Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 22 luglio 2021, n. 49). L'accesso a tale adempimento permette anche di ottenere delle semplificazioni tributarie ai sensi dell'art. 5 del d. lgs. 128/2015. In particolare, è stato precisato che la costante interlocuzione con l'Amministrazione finanziaria e la comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali possono derogare ad alcune regole previste per determinati istituti, quale, quello di ottenere l'esenzione da ritenuta anche se la distribuzione dei dividendi avviene prima del compimento del periodo richiesto dalla norma per ottenere l'agevolazione (così la risposta ad interpello dell'Agenzia delle Entrate del 6 agosto 2021 n. 537, con la quale sono stati forniti chiarimenti in merito alla distribuzione di dividendi da una società italiana ad una svizzera prima dei due anni di detenzione richiesti dallaccordo tra Svizzera e Unione europea per non applicare la ritenuta).

Pertanto, le società che hanno adottato il TCF hanno di fatto già implementato un “sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale”, inteso quale “rischio di operare in violazione di norme di natura tributaria ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell'ordinamento tributario”.

Si tratta, quindi, di un sistema che può orientare i modelli organizzativi verso un efficace contenimento del rischio di commissione dei reati tributari di recente introduzione (art. 25-quinquiesdecies, d.lgs. 231/2001) (si vedano le Linee Guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del d.lgs. 231/2001, elaborate da Confindustria, versione del giugno 2021).

Infatti, il TFC presenta un'analogia strutturale rispetto ai modelli ex d.lgs. 231/2001 e, del resto, sono comuni l'attività di monitoraggiofinalizzata all'individuazione di deficit e all'attivazione di azioni correttive, nonché l'attività di reporting periodico agli organi di gestione per l'esame e le valutazioni conseguenti.

Ciò detto, occorre in ogni caso precisare le principali differenze tra i due sistemi.

Innanzitutto, il perimetro di riferimento del TFC è più ampio rispetto a quello del modello ex d.lgs. 231/2001: violazione di norme di natura tributaria o di principi dell'ordinamento tributario nel suo complesso, nel primo, soltanto i reati espressamente richiamati nell'art. 25-quinquiesdecies, nel secondo.

Inoltre, per l'esonero dalla responsabilità ex d.lgs. 231/2001, come noto, sono necessari:

  • una sistematica, più ampia ed articolata attività di prevenzione del rischio reato;
  • la previsione e l'efficace attuazione di flussi informativi verso l'organismo di vigilanza;
  • un meccanismo di whistleblowing;
  • un sistema disciplinare, nonché
  • l'attività propulsiva, consultiva e di controllo di un organismo di vigilanza esterno, non contemplato dal TFC, ove il controllo sull'effettività dei protocolli adottati è demandata ad una funzione aziendale interna.

In ogni caso, pare non esservi dubbio che, quantomeno con riguardo alle aree comuni ai due sistemi, il positivo giudizio espresso dall'Agenzia delle Entrate ai fini dell'ammissione all'adempimento collaborativo possa costituire un utile elemento di valutazione dell'efficacia esimente del modello previsto dal “sistema 231”, da rimettere alle autonome determinazioni dell'Autorità Giudiziaria (Circolare della Guardia di Finanza n. 216816/2020, pp. 15-16).

Il Codice della crisi d'impresa e il rischio fiscale

Merita ricordare che la cultura della gestione del rischio fiscale si sta rapidamente diffondendo dalle società quotate alle società non quotate, non solo di grandi, ma anche di medie dimensioni: il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (“Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), ha aggiunto, al testo dell'art. 2086 c.c., il secondo comma, che prevede il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa.

Tale assetto si rende necessario non solo in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, ma anche ai fini della prevenzione del rischio, anche fiscale, tanto che nella relazione sulla gestione occorre dare conto dei rischi rilevati (L. SALVINI, I reati tributari nel decreto 231/2001: una sfida per le imprese di ogni dimensione, in Sistema Penale, 7/2020).

D'altra parte, il modello di organizzazione e gestione può fungere da premessa essenziale per la costruzione di un adeguato assetto aziendale funzionale alla prevenzione e all'adeguata gestione della crisi che, come è stato rilevato, comporta una maggiore esposizione dell'impresa al rischio di commissione di uno dei reati di cui al d.lgs. 231/2001. Al contempo, è stato pure riscontrato che nei contesti aziendali caratterizzati da una persistente prassi di violazione delle procedure aziendali prescritte dal modello, maggiore è il rischio di concretizzazione di situazioni di squilibrio economico-finanziario (F. VENTIMIGLIA – G. MANCUSO, Modelli organizzativi ex d. lgs. 231/2001: strumenti indispensabili per la prevenzione della crisi d'impresa, in ntplusdiritto.ilsole24ore.com, 14 gennaio 2021).

Sussiste, dunque, uno stretto legame tra il modello previsto dal d.lgs. 231/2001 e l'assetto organizzativo di cui all'art. 2086 c.c., il quale trova nel primo un punto di partenza fondamentale per la propria predisposizione. Allo stesso modo, un modello organizzativo idoneo ed efficace non può prescindere da un adeguato assetto organizzativo, anche nell'ottica di prevenzione del rischio reato.

In conclusione

A seguito dell'innesto, nel corpo del D.lgs. n. 231/2001, dei reati tributari, è risultata ancora più forte, anche a fronte del cumulo sanzionatorio di cui può essere gravato l'ente, l'esigenza di approntare una corretta gestione del rischio fiscale.

In quest'ottica, il modello di organizzazione e gestione assume un ruolo strategico al fine di orientare correttamente i processi decisionali e arginare il rischio reato; come detto, il modello costituisce, altresì, lo strumento in grado di esonerare l'ente da responsabilità, a patto che sia idoneo, attuale ed efficace.

In altri termini, il modello dovrà rappresentare fedelmente la realtà aziendale, individuare nel dettaglio le aree di rischio e prescrivere adeguate procedure in grado di prevenire la commissione dei reati presupposto.

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