Il cliente che registra di nascosto il professionista che parla male del collega può utilizzare il file audio come prova in giudizio
05 Agosto 2022
Massima
La registrazione di un colloquio all'interno di uno studio legale, effettuata di nascosto dal cliente che vi ha partecipato o comunque è stato ammesso ad assistervi, è utilizzabile come prova in giudizio, anche nel procedimento disciplinare promosso a carico dell'avvocato per le espressioni denigratorie pronunciate nei confronti di un ex collega. Il caso
All'origine della pronuncia vi è il procedimento disciplinare promosso nei confronti di un avvocato per violazione del Codice deontologico forense. Durante un colloquio con un cliente presso il proprio studio, il legale esprimeva infatti considerazioni offensive e denigratorie nei confronti di un ex collega, tentando inoltre di acquisire rapporti di clientela in modo non conforme a correttezza e decoro arrivando ad offrire al cliente un posto di lavoro presso un conoscente se, in cambio, questo avesse restituito l'incartamento delle vertenze patrocinate dal collega oggetto di offese. Il cliente, all'insaputa dell'avvocato, registrava la conversazione riversandola poi su un CD, che veniva utilizzato come prova nel successivo procedimento disciplinare aperto a carico del legale. Il procedimento si concludeva sanzionando l'avvocato con la censura e disponendone la sospensione dall'esercizio della professione per tre mesi, provvedimenti parzialmente confermati anche dal Consiglio Nazionale Forense in sede di impugnazione. L'avvocato ricorreva quindi per cassazione, eccependo, tra l'altro, l'inutilizzabilità della registrazione in quanto concernente dati personali oggetto di privacy ed eseguita in violazione del diritto di difesa e del domicilio privato, quale deve certamente considerarsi lo studio legale. La questione
È utilizzabile nel procedimento disciplinare la registrazione avvenuta nello studio del professionista ad opera del cliente? Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 20384/2021 ha respinto il ricorso del professionista confermando definitivamente la condanna per una serie di condotte relative a due distinti procedimenti disciplinari, poi riuniti. Secondo la Corte la registrazione di un colloquio all'interno di uno studio legale, effettuata di nascosto dal cliente che vi ha partecipato o comunque è stato ammesso ad assistervi, è utilizzabile come prova in giudizio, anche nel procedimento disciplinare promosso a carico dell'avvocato per le espressioni denigratorie pronunciate nei confronti di un ex collega. La registrazione rappresenta una riproduzione meccanica ex art. 2712 c.c. e dunque mezzo di prova ammissibile nel processo civile. In campo penale, inoltre, tale registrazione eseguita all'insaputa dell'interlocutore da una persona presente alla conversazione deve ritenersi prova documentale e non intercettazione. Il suo utilizzo non risulta neppure precluso dal Codice Privacy. Il legale era stato, tra l'altro, condannato per aver violato l'art. 42, comma 1, del Codice deontologico forense in quanto, nel corso di un colloquio presso il suo studio, aveva utilizzato espressioni denigratorie nei confronti di un collega ed ex collaboratore. Contro l'avvocato vi sono anche accuse legate all'aver tentato di acquisire rapporti di clientela in modo non conforme a correttezza e decoro: al cliente che stava registrando (a sua insaputa) il colloquio, il professionista aveva proposto di farsi restituire l'incartamento delle vertenze patrocinate dal collega oggetto delle sue offese, arrivando ad offrirgli un posto di lavoro presso un conoscente. Le dichiarazioni finiscono registrate e riversate su un CD del quale l'avvocato contesta l'utilizzabilità probatoria, trattandosi di registrazione ambientale, in luogo aperto ad altri soggetti, ma concernente dati personali oggetto di privacy, eseguita in violazione del diritto di difesa e del domicilio privato quale certamente doveva considerarsi lo studio legale. Gli Ermellini, di contrario avviso, rammentano come, in ambito penale, si sia formato un regime di riferimento, a partire dal provvedimento delle Sezioni Unite n. 36747/2003, volto a distinguere e sottrarre la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni tra presenti alla disciplina autorizzativa ed esecutiva propria delle intercettazioni regolate dagli artt. 266 e ss. c.p.p., poi ribadito e specificato innumerevoli volte dalla giurisprudenza successiva. In particolare, si è affermato che la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe, o comunque sia ammesso ad assistervi, non è riconducibile (seppur eseguita clandestinamente) alla nozione di "intercettazione", costituendo forma di memorizzazione fonica di un fatto storico della quale l'autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell'art. 234 c.p.p., salvi gli eventuali divieti di divulgazione del contenuto della comunicazione che si fondino sul suo specifico oggetto o sulla qualità rivestita dalla persona che vi partecipa. La giurisprudenza successiva, richiamata puntualmente in sentenza, si è poi soffermata sulle modalità e sui casi in cui tale registrazione è ritenuta utilizzabile, ad esempio qualora la stessa sia effettuata da uno dei partecipanti o comunque legittimati ad assistere al colloquio e a condizione che l'autore abbia effettivamente e continuativamente partecipato o assistito alla conversazione registrata. Inoltre, nel provvedimento analizzato si legge che l'utilizzo processuale della fonoregistrazione non è ritenuto nemmeno precluso dal Codice Privacy (d.lgs. n. 196/2003) se si tratti di "far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro proseguimento".
A completamento del tema, osserva la Corte, la registrazione fonografica di un colloquio tra presenti rientra nel genus delle riproduzioni meccaniche ex art. 2712 c.c., e per questo è ritenuta costituire ammissibile mezzo di prova anche nel processo civile. Nel caso in esame, nella sentenza impugnata, il Consiglio Nazionale Forense ha argomentato sia sulla legittimità in sé della prova mediante registrazione, sia sulla sua utilizzabilità e concludenza dimostrativa anche a fronte dell'assenza di un disconoscimento specifico e mirato, da parte dell'incolpato, sul suo contenuto effettivo. Sul punto il CNF ha osservato che poteva escludersi l'utilizzabilità delle registrazioni fonografiche solo a fronte di una specifica contestazione dei fatti in modo chiaro, circostanziato ed esplicito da parte del soggetto contro la quale le registrazioni erano state prodotte, con produzione di documenti e prove da cui fosse emersa la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta. E nella sentenza de qua l'incolpato si è limitato a una mera richiesta di inutilizzabilità, senza addurre motivazioni come richieste da costante orientamento giurisprudenziale domestico. Il convincimento del CNF, agli occhi della Cassazione, appare chiaro nell'escludere che l'incolpato avesse contestato l'obiettiva storicità del fatto rappresentato dalla conversazione registrata e dal suo contenuto sostanziale, incentrato sulla denigrazione disciplinarmente rilevante del collega e nell'escludere l'efficacia di un disconoscimento generico e puramente estrinseco di utilizzabilità processuale del documento, a fronte della ravvisata legittimità (come già ritenuta anche dal primo giudice) della sua formazione e produzione in giudizio. Un ragionamento che le doglianze del ricorrente non sono in grado di sovvertire a detta delle Sezioni Unite. Non si realizza, dunque, la censurata violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), sia perché la registrazione in questione, riportata nel CD, rientrava nei parametri generali di utilizzabilità documentale, come detto prescritti dall'ordinamento, sia perché è ritenuta conforme alla legge processuale anche la valutazione (prettamente di merito) del Consiglio Nazionale Forense circa la irrilevanza e non specificità del suo disconoscimento da parte dell'interessato.
La Corte sposa pienamente la linea argomentativa del C.N.F.: conferma infatti non solo la legittimità della registrazione e quindi la sua piena utilizzabilità come prova nel procedimento disciplinare, ma anche la valutazione del Consiglio in termini di irrilevanza del disconoscimento da parte dell'avvocato, limitatosi ad una mera richiesta di inutilizzabilità della registrazione, senza addurre motivazioni specifiche e circostanziate. Di qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente all'ulteriore versamento di un importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale. Osservazioni
Inutili le contestazioni del ricorrente che aveva messo in dubbio l'utilizzabilità delle registrazioni facendo riferimento altresì al Codice Privacy. La Cassazione ha sottolineato come la presenza del soggetto registrante alla conversazione renda la registrazione audio non considerabile come intercettazione; in questo caso, infatti, la registrazione può essere considerata una forma di memorizzazione di un fatto storico di cui il soggetto può disporre in modo legittimo. Decisivo ai fini della sanzione disciplinare il cd su cui finiscono le parole dell'incolpato verso l'ex collaboratore, accusato dal dominus di essere incapace e irriconoscente. Ma che evidentemente era d'accordo con l'autore della registrazione. Il file risulta utilizzabile perché nel penale, ad esempio, la registrazione audio realizzata da chi è legittimato ad assistere al colloquio non lede i diritti fondamentali dell'individuo tutelati dalla Costituzione: è quindi prova documentale utilizzabile in dibattimento ex art. 234 c.p.p. e non intercettazione ambientale soggetta alle garanzie ex art. 266 c.p.p. e seguenti. Lo stesso Codice Privacy ne consente l'utilizzo se serve a far valere o difendere un diritto in giudizio. La registrazione effettuata nello studio legale è legittima per il CNF che sul punto si limita a richiamare la motivazione del Consiglio distrettuale di disciplina. E il disconoscimento può trovare ingresso soltanto se l'incolpato prova che la realtà dei fatti non risponde a quella riprodotta.
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