La Corte d'Appello si è occupata della peculiare situazione peculiare del condominio che si è trovato ad essere privo di amministratore perché questi aveva perduto uno dei requisiti necessari per l'esercizio dell'attività: la condanna penale per il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) aggravato dalla continuità della condotta (art. 81 c.p.).
La sanzione conseguente alla violazione della norma è la “cessazione dall'incarico” dell'amministratore colpevole del reato ascrittogli, e questo vale sia nel caso in cui l'amministratore abbia subito la condanna prima dell'accettazione dell'incarico, tacendo il suo stato al condominio, sia allorché la condanna sia intervenuta nel corso del mandato. In questo senso, proprio per il valore sanzionatorio dell'art. 71-bis disp. att. c.c. nei casi compresi tra la lett. a) e la lett. e), non vi è rapporto tra la delibera assembleare, anche se formalmente corretta, e l'invalidità della nomina stessa.
Il solo fatto che la disposizione richiamata dichiari che l'amministratore che si venga a trovare in una delle situazioni incriminate decada dall'incarico, fa sì che la delibera assembleare sia tale da non produrre alcun effetto, a prescindere da qualsiasi pronuncia giudiziale. Questo perché - come osservato dal giudicante - l'obiettivo del legislatore è quello di escludere ipso facto dall'amministrazione del condominio il soggetto che non sia meritevole di assumere o proseguire nel mandato.
Questo è quanto risulta anche da parte della giurisprudenza (Trib. Crotone 20 luglio 2020, n. 662) ove, ancora una volta, è stato evidenziato che quando il legislatore ha inteso sanzionare con la nullità le delibere assembleari, lo ha fatto espressamente. Concludendo che la valutazione della mancanza dei requisiti di onorabilità previstidall'art. 71-bis disp. att. c.c. al momento dell'accettazione dell'incarico (noi aggiungiamo anche se questi vengono a mancare in corso mandato) incide sul perfezionamento dell'incarico e mai sulla validità della delibera. Il che - secondo il giudicante - porta a ritenere che il difetto dei requisiti de quibus può formare oggetto di un giudizio autonomo nei confronti dell'amministratore personalmente e non nei confronti del condominio, se non per invalidità degli atti compiuti, in quanto affetti da nullità.
In merito all'inquadramento della domanda per ottenere la nomina dell'amministratore giudiziale, dovrà essere esaminato il rapporto che sussiste tra l'art. 1105, comma 4, c.c. e l'art. 1129, comma 1, c.c. Una questione sollecitata dal fatto che la domanda azionata nel giudizio in esame era stata fondata sulla prima disposizione legislativa.
Si tratta di due norme, la prima relativa all'istituto della comunione e la seconda concernente il condominio, entrambe finalizzate a superare, nei rispettivi settori, l'ostacolo costituito dalla mancanza della formazione di una volontà assembleare, che consenta di procedere nell'amministrazione del bene comune.
Tuttavia, se è vero che l'art. 1139 c.c. rinvia all'applicabilità delle norme sulla comunione se compatibili con la disciplina condominiale, è altrettanto vero che nel caso di specie la nomina dell'amministratore giudiziale non poteva che essere chiesta con riferimento all'art. 1129 c.c., che è norma specifica e, come tale, prevale su quella che disciplina la comunione.
La presenza dell'amministratore, che è obbligatoria per il condominio formato da un numero maggiore di otto partecipanti, può benissimo interessare anche il condominio minimo costituito da due soli condomini, seppur titolari di quote diseguali. In tal caso l'approvazione della relativa deliberazione richiederà, comunque, sotto il profilo dell'elemento personale, l'approvazione con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti, ex art. 1136, comma 2, c.c., per cui la valida espressione della volontà assembleare suppone la partecipazione di entrambi i condomini e la decisione “unanime”, non potendosi ricorrere al criterio maggioritario (Cass. civ., sez. VI, 30 luglio 2020, n. 16337; Cass. civ., sez. VI, 23 luglio 2020, n. 15705; Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2017, n. 5329). In questo caso per ottenere la nomina giudiziale dell'amministratore sarà applicabile l'art. 1105 c.c.
In questo quadro, si integra la questione oggetto della decisione del giudice distrettuale: l'inammissibilità del reclamo avverso il provvedimento di nomina dell'amministratore giudiziale emesso in forza dell'art. 1129, comma 1, c.c.
Da un esame del dettato normativo, consegue una prima considerazione, ovvero che se il legislatore avesse voluto dichiarare questo decreto di nomina reclamabile, al pari di quello emesso per la revoca giudiziaria in forza del combinato disposto degli artt. 1129 c.c. e 64 disp.att. c.c., lo avrebbe fatto. Ma questo non poteva avvenire vista la natura differente delle rispettive domande formulate in giudizio. La domanda di revoca giudiziaria (art. 1129, comma 11, c.c.), trova fondamento in tutta una serie di irregolarità che si presume l'amministratore abbia compiuto nell'esercizio del suo mandato ed ha come finalità che il giudice affidi l'incarico ad un diverso soggetto, specchiato sotto il profilo morale, sempre rammentando che questi non è un ausiliario del giudice (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2021, n. 11717; Cass. civ., sez. II, 21 settembre 2017, n. 21966; Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2014, n. 16698). Se, invece, il condomino/condomini oppure anche l'amministratore uscente ricorrono al Tribunale ai sensi dell'art. 1129, comma 1, c.c., il provvedimento richiesto ha natura sostitutiva della volontà dell'assemblea e con esso si mira semplicemente ad ovviare all'inerzia dell'organo collegiale che paralizza l'attività gestionale (Cass. n. 11717/2021, cit.), senza che vi sia in atto un contenzioso.
Questa è diversità è stata fatta propria dalla giurisprudenza che, con una decisione mirata e, per quanto risulta, rimasta unica nella sua specificità (Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1996, n. 9942) ha affermato il principio espresso nel decreto della Corte d'Appello di Trieste e qui richiamato.