Responsabilità precontrattuale: la prova del raggiro
14 Giugno 2023
Massima In tema di dolus incidens (art. 1440 c.c.), l'attore, una volta provata l'esistenza di un raggiro su un elemento non trascurabile del contratto, non è tenuto a provare altro ai fini dell'an debeatur, in quanto opera la presunzione iuris tantum che, senza la condotta illecita, le condizioni contrattuali sarebbero state diverse e quindi per lui più favorevoli (fattispecie relativa all'azione promossa dai promissari acquirenti di un immobile per ottenere il risarcimento dei danni da parte dei promittenti venditori, in quanto l'oggetto del preliminare di compravendita era gravato da una formalità pregiudizievole ostativa alla concessione di un mutuo bancario, circostanza dolosamente taciuta). Il caso Tizio e Caio, promissari acquirenti di un immobile sito a Beta, proponevano innanzi al Tribunale di Palermo domanda di risarcimento dei danni nei confronti di Mevio e Sempronio, entrambi promittenti venditori. Secondo la ricostruzione degli attori, i convenuti avrebbero dolosamente taciuto una formalità pregiudizievole gravante sull’immobile che era risultata ostativa alla concessione di un mutuo bancario a favore dei promissari acquirenti. Il Tribunale di Palermo respingeva la domanda degli attori che, dopo aver impugnato tale decisione innanzi alla Corte d’appello territoriale, soccombevano nuovamente. In tale circostanza, i giudici di appello evidenziavano che i ricorrenti, con riguardo al dolus incidens, non avevano fornito alcuna prova riguardante il valore di mercato dell’immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita e il minor vantaggio o il maggior aggravio economico derivante dalla violazione da parte di Mevio e Sempronio dell’obbligo di buona fede. Tizio e Caio, pertanto, proponevano ricorso innanzi alla Corte di cassazione sulla base di tre differenti motivi. La questione Al fine di comprendere la questione che la Corte di cassazione è stata chiamata a risolvere, è necessario preliminarmente inquadrare il c.d. dolo contrattuale. L'art. 1439 c.c. riconosce rilevanza agli artifizi e ai raggiri posti in essere da una parte contrattuale che hanno comportato l'induzione in errore della controparte e stabilisce che, in tali ipotesi, il contratto è annullabile qualora, in assenza dei raggiri, il contratto non sarebbe stato stipulato. In tali ipotesi, il dolo viene definito “determinante”, dal momento che i raggiri hanno determinato conclusione di un accordo che, altrimenti, non sarebbe stato perfezionato; la dottrina e la giurisprudenza sono concordi nel ritenere configurabile il dolo determinante anche in caso di comportamento meramente omissivo della parte. Parzialmente differente è il caso del c.d. dolo incidente (dolus incidens). In tale circostanza, pur in presenza di artifizi e raggiri posti in essere da una delle parti, gli stessi non sono stati idonei a determinare in toto l'induzione in errore del soggetto ingannato e la conseguente conclusione dell'accordo. In altre parole, il contratto, in assenza del dolo incidente, sarebbe stato comunque stipulato ma a condizioni differenti – meno gravose – rispetto a quelle concretamente accettate dalla parte vittima degli artifizi e dei raggiri. L'art. 1440 c.c. riconosce una rilevanza anche a tale ipotesi di vizio del consenso; il contratto stipulato in presenza di un dolus incidens è valido (quindi, non annullabile), ma la parte vittima degli artifizi e dei raggiri può agire in giudizio nei confronti del contraente in mala fede al fine di ottenere un risarcimento dei danni. La parte raggirata dovrà provare:
Una volta che il soggetto ha dimostrato la sussistenza del dolo incidente ricaduto su un elemento non trascurabile del contratto, si ritiene operante la presunzione iuris tantum del fatto che, in assenza del raggiro della controparte, il contratto sarebbe stato stipulato a condizioni più vantaggiose per l'attore. Con riferimento al quantum del risarcimento, le determinazioni devono essere effettuate con riferimento al “prezzo di mercato” del bene, considerando il danno patrimoniale subito dal contraente che ha acquistato o venduto ad un prezzo meno vantaggioso. La questione sottoposta al vaglio della Corte di cassazione verte sulla prova che l'attore deve fornire al fine di ottenere una quantificazione dell'an debeatur in caso di contratto stipulato in presenza di un dolo incidente. La decisione della Corte di Cassazione Con il primo motivo di appello, i ricorrenti affermano che, se fossero stati resi edotti al momento della stipula del contratto preliminare della sussistenza della formalità pregiudizievole gravante sull'immobile oggetto del contratto, avrebbero sicuramente concluso l'accordo ad un prezzo più basso di quello pattuito. Nell'economia dell'affare, Tizio e Caio avrebbero considerato la possibilità che il titolo di proprietà potesse essere retrocesso e, in secondo luogo, le maggiori difficoltà che avrebbero inevitabilmente incontrato nell'ottenimento del mutuo bancario. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 1440 c.c. dal momento che i giudici d'appello avevano basato la decisione di negare lo svolgimento della CTU contabile sulla base della mancata indicazione del valore di mercato dell'immobile oggetto del contratto preliminare e della disponibilità liquida al momento della stipula del contratto preliminare; secondo la ricostruzione di Tizio e Caio, si sarebbe dovuto far riferimento esclusivamente al corrispettivo pattuito dalle parti e, in ogni caso, il giudice avrebbe potuto determinare equitativamente il pregiudizio subito dai promissari acquirenti. I giudici di legittimità trattano congiuntamente i primi due motivi, ritenendoli fondati. Richiamandosi a un recente orientamento della stessa Corte di cassazione, affermano che, in tema di responsabilità precontrattuale, «qualora il danno derivi dalla conclusione di un contratto valido ed efficace ma sconveniente, il risarcimento deve essere ragguagliato al minore vantaggio o al maggiore aggravio economico determinato dal contegno sleale di una delle parti, restando irrilevante che la violazione del dovere di buona fede sia intervenuta cronologicamente a valle e non a monte della conclusione del contratto, salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto». Di conseguenza, l'attore non è tenuto a fornire prova del quantum del pregiudizio subito, dovendo provare ‘solo' la sussistenza dei raggiri che hanno determinato la conclusione di un contratto a condizioni diverse da quelle che sarebbero state accettate in assenza dell'inganno. Ciò premesso, la Corte d'appello avrebbe dovuto determinare la minor somma costituente il presso fissato nel contratto preliminare di compravendita e, sulla base di tale valutazione, quantificare il risarcimento del danno; la CTU contabile richiesta da Tizio e Caio, infatti, era finalizzata a tale scopo. I giudici di legittimità concordano con la ricostruzione fornita dai ricorrenti e affermano che il punto di partenza della determinazione del pregiudizio sarebbe dovuto essere il corrispettivo pattuito in sede di conclusione dell'accordo preliminare; il diniego dei giudici di appello alla concessione della CTU contabile ha, invero, precluso irragionevolmente l'assolvimento dell'onere probatorio richiesto agli attori. Accogliendo il primo e il secondo motivo di ricorso – e ritenendo assorbito il terzo –, la Suprema Corte cassa la sentenza della Corte di appello di Palermo e rinvia alla stessa corte in diversa composizione per una decisione aderente al principio di diritto enunciato. Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |