Rientra nel campo IVA l’accollo dei ratei di mutuo da parte dall’ente gestore del servizio idrico in favore del Comune

29 Maggio 2023

La Corte di Cassazione, con sentenza del 21 febbraio 2023 n. 5330, ha affermato che ha natura di corrispettivo soggetto ad IVA la previsione convenzionale che prevede l'obbligo in capo all'ente gestore del pagamento delle passività pregresse per l'ammortamento dei mutui.
Massima

La previsione convenzionale che prevede l'obbligo in capo all'ente gestore del pagamento delle passività pregresse per l'ammortamento dei mutui già accesi dal Comune ed in relazione agli investimenti relativi agli impianti concessi in uso al gestore del servizio idrico, realizzandosi “secondo uno schema di scambio” ha natura di corrispettivo soggetto ad IVA per la prestazione di un servizio reso nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, a nulla rilevando la natura di accollo meramente interno dato l'onere posto a carico del gestore del pagamento dei ratei di mutuo.

Il caso

Il procedimento origina da un avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate emesso nei confronti di un Comune al quale si contestava il mancato versamento dell'IVA dovuta sul pagamento dei ratei di ammortamento dei mutui in corso, stipulati dal medesimo ente con la Cassa Depositi e Prestiti, effettuato dall'ente gestore del servizio idrico al quale il Comune aveva affidato la gestione di tale servizio mediante e con il quale era stata sottoscritta apposita convenzione dalla quale emergeva l'obbligo dell'affidatario di effettuare tali pagamenti.

Per l'Agenzia il pagamento dei ratei di mutuo da parte dell'ente gestore in favore del Comune a fronte del servizio ricevuto da quest'ultimo costituiva un corrispettivo assoggettabile ad IVA per la presenza di un evidente rapporto sinallagmatico, alla luce della medesima convenzione per la quale il diritto d'uso degli impianti idrici, correlato ai pregressi finanziamenti, era “trasferito in cambio del pagamento di un corrispettivo, commisurato al mutuo residuo, con pagamenti regolamentati secondo un piano di rimborso pluriennale e scadenze coincidenti con quelle dei ratei dei mutui”.

Per il Comune, di contro, tale “pagamento” non rappresentava il corrispettivo di alcuna operazione economica bensì una “mera cessione di denaro esente da IVA”, tesi “ribadita” anche dalla Commissione Tributaria Regionale che escludeva “un rapporto sinallagmatico tra la cessione in uso degli impianti e l'obbligo di pagamento dei ratei di mutuo”, sia perché l'art. 153 del d.Lgs. n. 152/2006 aveva “espressamente definito come gratuita la concessione d'uso delle infrastrutture”, sia perché “l'accollo dei ratei di mutuo costituiva un atto interno che non modificava l'originaria obbligazione, la quale restava in capo al Comune, e il pagamento delle rate costituiva mera cessione di denaro estranea dal campo dell'IVA secondo quanto stabilito dal d.P.R. n. 633/972, art. 2”.

Nonostante la Convenzione del 2002 tra il Comune e l'ente gestore fosse riconducibile all'art. 12, c. 1, primo alinea, della L. 36/1994 (abrogata dal d.Lgs. 152/2006), per i giudici di merito l'assenza di un rapporto sinallagmatico tra la cessione in uso degli impianti e l'obbligo di pagamento dei ratei di mutuo doveva essere ricondotta all'art. 153 d.Lgs. 152/2006, che espressamente definisce che “Le infrastrutture idriche di proprietà degli enti locali ai sensi dell'art. 143 sono affidate in concessione d'uso gratuita, per tutta la durata della gestione, al gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare”.

Di differente avviso è stata la Cassazione, che ha sostenuto la natura di corrispettivo per la prestazione di un servizio la concessione in uso al gestore per l'erogazione del servizio idrico integrato reso dal Comune nell'esercizio di un'attività imprenditoriale, sottolineando che la base imponibile IVA è costituita da “tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo” essendo sufficiente che la prestazione sia considerata come controvalore effettivo del servizio prestato, oltre al fatto che “Soltanto con il d.Lgs. n. 152/2006, art. 153 si è introdotta la gratuità della concessione” (p. 2).

La Corte ha anche richiamato due suoi precedenti sul punto (v. ordinanze n. 39055 e n. 40624 del 2021), nei quali evidenziava come, per effetto della (medesima) Convenzione, il soggetto gestore fosse obbligato “a tenere indenne il Comune dal pagamento delle c.d. “passività pregresse”, procurando o rimborsando le somme necessarie a soddisfare le singole rate di ammortamento” come corrispettivo per la concessione in uso degli impianti (richiamava anche, per identiche conclusioni, la Ris. dell'Agenzia delle Entrate n. 104/2010).

La questione

Il sinallagma quindi, che attrae ad IVA l'attività economica posta in essere dal Comune, è il frutto del rapporto tra la concessione del diritto d'uso delle infrastrutture e l'obbligo del gestore (sulla base di un accollo interno) di rimborsare al primo le somme corrispondenti ai ratei dei mutui assunti dal Comune per finanziare gli impianti e le opere concessi in uso per la gestione del servizio idrico integrato (v. anche Ord. cit. n. 39055/2021, p. 2.5).

La soluzione giuridica

L'attività economica svolta dagli Enti pubblici

La Corte, in sentenza, richiama l'art. 4, par. 5, della Sesta Direttiva IVA 77/388 (attuale art. 13 della Dir. 2006/112) secondo il quale “… i comuni … non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni. Se però tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza. In ogni caso, gli enti succitati sono sempre considerati come soggetti passivi per quanto riguarda le attività elencate nell'allegato D (attuale All. 1 della Dir. 2006/112) quando esse non sono trascurabili”.

Negli allegati citati (al n. 2 di entrambi), è espressamente previsto che “l'erogazione di acqua” sia un'attività per la quale l'ente pubblico agisce in qualità di soggetto passivo IVA.

In tal modo la norma reca “un'ulteriore limitazione al principio del non assoggettamento degli enti suddetti”, in aggiunta a quelle limitazioni che emergono tanto dalla condizione richiesta al primo comma (vale a dire che si tratti di attività svolte in quanto pubbliche autorità) quanto dalla deroga di cui al secondo comma quando il non assoggettamento delle attività provocherebbe distorsioni della concorrenza di una certa importanza (v. C-442/05, p. 31 e C-231/87, p. 26).

In tal modo il terzo comma dell'art. 4, n. 5 della Dir. 77/388 (idem il par. 3 dell'art. 13 della Dir. 2006/112), intende “garantire che talune categorie di attività economiche la cui importanza deriva dal loro oggetto non siano sottratte all'IVA perché esercitate da enti di diritto pubblico in quanto pubbliche autorità” (v. C-442/05, p. 31 e C-231/87, p. 26).

La medesima logica interpretativa ha portato la Corte UE (in C-520/14), coerentemente, ad escludere dal campo IVA l'attività di trasporto di allievi alle loro scuole posta in essere da un Comune (attività rientrante negli allegati su citati al n. 5), finanziata in minima parte e solo da un terzo dei genitori a mezzo contributi (circa il 3% degli importi versati dal comune) e per la restante parte finanziata per mezzo di fondi pubblici, nonostante la tesi contraria del Comune che così sperava “di risparmiare parti considerevoli dell'IVA versata per i servizi di imprese di trasporto incaricate dell'esecuzione del trasporto scolastico utilizzando il relativo diritto alla detrazione dell'IVA” (v. Concl. Avv. gen. Kokott, in C-520/14, p. 2).

Alla domanda del giudice del rinvio se ed in che misura il Comune, organizzando il suddetto trasporto scolastico, avesse agito come soggetto passivo esercitando quindi un'attività economica ai sensi della Dir. IVA 2006/112, la Corte UE ha dovuto verificare, come correttamente sottolineato (v. Concl. Avv. gen. Kokott, in C-520/14, p. 27), se nel singolo caso concreto un'attività statale costituisse o meno un'attività economica, analisi che richiede alla Corte di utilizzare “parametri manifestamente più rigorosi rispetto alla verifica dell'attività di un privato” (richiama C‑284/04; C‑369/04; 246/08, p. 53; C‑215/94; C‑384/95).

La Corte UE osservava che il contributo non era calcolato in funzione dei costi reali dei servizi forniti, che l'importo non era collegato né al numero dei chilometri percorsi quotidianamente, né al costo per tragitto per ogni allievo trasportato, né alla frequenza dei tragitti, che era altresì irrilevante la circostanza che un'operazione economica fosse svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo (v. sul punto C-94/19, p. 29 e C-412/03, p. 22), richiedendosi unicamente l'esistenza di un nesso diretto tra la cessione/prestazione ed il corrispettivo realmente percepito, dovendo analizzare “l'insieme delle circostanze” in cui l'operazione è stata realizzata (ad es. l'entità della clientela e l'importo degli introiti, v. ad es. C-230/94, p. 29), oltre al fatto che (citava le Concl. dell'Avv. gen. al p. 64) il Comune “non offriva prestazioni sul mercato generale dei servizi di trasporto delle persone, ma appare piuttosto come beneficiario e consumatore finale dei servizi di trasporto che acquista presso le imprese di trasporto con cui tratta e che mette a disposizione dei genitori degli allievi nell'ambito di un'attività di servizio pubblico”.

L'esiguità dello scarto tra i costi di funzionamento e gli importi percepiti dal Comune come corrispettivo per i servizi offerti è stato tale da suggerire alla Corte UE che il contributo a carico dei genitori fosse da assimilare ad un canone piuttosto che ad una retribuzione vera e propria (v. C-520/14, p. 33 e per analogia C-246/08, p. 50), concludendo quindi che tale asimmetria fosse insufficiente a generare “un nesso concreto tra la somma pagata e la prestazione di servizi fornita”, per l'assenza obiettiva di quel “carattere diretto che è necessario perché tale controvalore possa essere considerato la retribuzione di detti servizi e perché questi ultimi costituiscano attività economiche” ai sensi dell'art. 9, par. 1, della Dir. IVA 2006/112.

Le caratteristiche dell'accollo

I giudici d'appello hanno “sorvolato” sugli obblighi convenuti espressamente dalle parti nella Convenzione sottoscritta nel 2002, per la quale “il Gestore, in luogo delle quote di ammortamento, si accollerà l'onere del pagamento delle rate che scadranno nel periodo di affidamento in concessione degli impianti”, ponendo a carico di questo gli oneri connessi all'ammortamento delle passività pregresse del Comune, “secondo uno schema di scambio” (v. p. 4.2, capoverso 2), dando invece esclusivo rilievo alla circostanza che il pagamento del corrispettivo dovesse avvenire senza che ci fosse“alcun accollo, nè nella forma, nè nella sostanza, dei mutui da parte del gestore” (nella forma dell'accollo interno).

Come si vedrà l'evidenza o meno di un'attività economica, che riveli l'assoggettamento ad IVA dell'operazione, va valutata esclusivamente alla luce della normativa unionale individuata nella Direttiva IVA 2006/112, non già sulla base di criteri civilistici interni.

In tema di accollo, secondo un inquadramento generale (v. A. Torrente e P. Schlesinger, in Manuale di diritto privato, pag. 400, Milano, 2011) tale l'istituto, previsto dall'art. 1273 del c.c., consiste in un accordo bilaterale tra il debitore ed un terzo, in forza del quale quest'ultimo (accollante) assume a proprio carico l'onere di procurare al creditore (accollatario) il pagamento del debito del primo (accollato).

È altresì possibile distinguere tra l'accollo interno (o semplice, non espressamente previsto dall'art. 1273 c.c.) e l'accollo esterno, laddove il primo, in particolare, “non attribuisce alcun diritto al creditore e non modifica i soggetti dell'originaria obbligazione, a differenza del secondo, che configura un contratto a favore del terzo, con la conseguenza che nell'accollo interno il terzo assume obbligazioni e risponde del relativo adempimento nei confronti del solo accollato e non anche nei confronti del creditore, che resta del tutto estraneo all'accordo anche quando vi aderisca, derivando da tale adesione il solo effetto di rendere irrevocabile la relativa stipulazione senza assumere carattere necessario ai fini della modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio” (v. Cass., Ord. n. 38225/2021, nonché sentenze nn. 17784/2020, 17596/2020, 30938/18 e 4604/00).

Dal momento che l'accordo interviene solo tra debitore e terzo occorrerà, dunque, determinare (ai soli fini civilistici) se si tratti di accollo esterno o interno, verificando che le parti abbiano inteso (accollo esterno) o meno (accollo interno) attribuire al creditore il diritto di agire per la soddisfazione del proprio credito direttamente in capo al terzo accollante.

L'accollo interno si manifesta quando le due parti non intendono attribuire alcun diritto al creditore (accollatario) verso l'accollante, il quale si impegna esclusivamente nei confronti del debitore accollato (o mettendo a sua disposizione i mezzi per l'adempimento dell'obbligazione o provvedendo egli stesso direttamente nei confronti del creditore), con la conseguenza che il creditore, qui, non acquisisce, accanto a quello originario, un nuovo debitore (v. tra le tante Cass. 17784/2020, 8011/2014, 1352/2012, 16733/2011, 25863/2011, 9982/2004, 13746/2002, 4261/2001, 4604/2000).

La conseguenza è che il creditore (accollatario) non ha diritto di rivolgersi all'accollante per ottenere il pagamento del suo credito, cosi che quest'ultimo, in caso di mancata osservanza dell'obbligo assunto, risponde dell'inadempimento soltanto nei confronti del debitore accollato, non già nei confronti del creditore accollatario, mentre il terzo accollante ed il debitore accollato possono, in qualsiasi momento, accordarsi per modificare o revocare l'impegno inizialmente assunto dal terzo (v. Cass. 4604/2000).

L'accollo esterno, invece, si presenta come un contratto a favore del terzo (art. 1411 c.c.), quando cioè accollante ed accollato “hanno inteso conferire al creditore accollatario il diritto di pretendere direttamente dall'accollante stesso l'adempimento del proprio credito” (v. A. Torrente, op. cit., pag. 400, nonché Cass. 17784/2020, 1352/2012, 4604/00, 861/1992, 1217/79, 2663/71).

Aspetto dirimente è che l'accordo tra accollante ed accollato può essere modificato o risolto sino a quando l'accollatario non vi abbia aderito, ciò che può avvenire anche per facta concludentia (v. Cass. sentenze n. 12447/1997 e n. 1136/1988), con la conseguenza che, dopo tale momento, l'impegno assunto dal terzo diventa irrevocabile ed è immodificabile il contratto stipulato in favore del creditore (art. 1273, c. 1, c.c.), così che il “nuovo” debitore risponde del debito sia di fronte all'accollato sia di fronte all'accollatario creditore (v. Cass., sent. n. 14780/2009).

L'accollo esterno, a sua volta, può essere o cumulativo, qualora il debitore originario rimanga obbligato in solido con l'accollante (art. 1273, c. 3, c.c.), o liberatorio (anche detto privativo), qualora invece il debitore originario sia liberato, rimanendo obbligato solo l'accollante, in tal caso occorrendo però che vi sia o una dichiarazione espressa del creditore o che tale liberazione sia condizione espressa dell'accordo tra il debitore e l'accollante, in tal modo determinandosi automaticamente la liberazione dell'accollato per mezzo dell'adesione del creditore all'accollo (art. 1273, c. 2, c.c.; v. Cass. 14780/2009).

All'accollatario l'accollante può opporre sia le eccezioni relative al contratto sia quelle che avrebbe potuto opporgli il l'originario debitore.

In sentenza la Cassazione, condivisibilmente, ha escluso che la “forma” dell'accollo (interno piuttosto che esterno) possa influire in alcun modo sull'esistenza o meno dei requisiti di onerosità e di “effettività economica e commerciale delle operazioni” ai fini IVA, dal momento che (richiama alcuni tra i numerosi precedenti in argomento della Corte UE) l'evidenza della corrispettività della prestazione di servizi del Comune “induce a riconoscere nella regolamentazione pattizia uno scambio oneroso tra gestore e Comune avente ad oggetto la concessione del diritto d'uso degli impianti in cambio del pagamento di somme corrispondenti ai mutui residui” (richiama C-653/11, p. 42 e 43, nonchè C-53/09, p. 39 e 40 e giur. ivi cit.).

A ciò aggiungendo evidenziando che i pagamenti effettuati dal gestore sono espressamente qualificati come costi, rilevando di conseguenza a valle ai fini della determinazione della tariffa.

In C-653/11 la Corte UE, chiamata ad individuare il ruolo delle clausole contrattuali al fine di identificare il prestatore ed il destinatario nell'ambito di un'operazione di prestazione di servizi, ha sottolineato come la ricerca e l'analisi della “valutazione della realtà economica e commerciale” costituisca un criterio fondamentale per l'applicazione dell'IVA, realtà che viene riflessa nella situazione contrattuale le cui clausole contrattuali costituiscono un elemento da prendere in considerazione, allo scopo altresì di rispettare le esigenze di certezza del diritto.

È pacifico che l'evidenza di un'attività economica vada ricercata alla luce dei criteri della Dir. IVA 2006/112 (v. p. 5 in sentenza), il cui art. 9 considera come soggetto passivo chiunque esercita un'attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati, nella quale rientra anche “un'operazione che comporti lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti(i pagamenti per l'intera durata della concessione) aventi un certo carattere di stabilità” (art. 9, par. 2, Dir. 2006/112), nonché dei principi in materia espressi nel tempo dalla Corte UE (v. in argomento, tra i tanti, C-612/21, p. 36; C‑655/19, p. da 27 a 29; C-320/17, p. 22; C‑246/08, p. 37; C-408/06, p. 18; C-223/03, p. 47; C-235/85, p. 8).

Circa il carattere di stabilità, da ultimo, nelle cause C-612/21 e 616/21 del 30.3.2023, è stato chiesto alla Corte UE dal giudice del rinvio rispettivamente se costituisse una prestazione di servizi soggetta all'IVA:

  • l'attività di un Comune che faceva eseguire da un'impresa terza operazioni di bonifica dall'amianto a favore dei residenti di tale Comune che ne avessero fatto richiesta, qualora una siffatta attività non mirasse all'ottenimento di introiti aventi carattere di stabilità né implicasse alcun pagamento da parte di detti residenti, poiché tali operazioni erano finanziate da fondi pubblici;
  • la fornitura e l'installazione di impianti di fonti di energie rinnovabili (FER) da parte di un Comune tramite un'impresa terza, a favore dei propri residenti proprietari che avessero chiesto di dotarsi di tali impianti, allorché tale attività non era diretta ad avere introiti stabili e dava luogo, da parte dei residenti, solo ad un pagamento di un quarto delle spese sostenute, mentre il saldo era finanziato da fondi pubblici.

In C-616/21 la Corte UE, rilevando che il Comune non impiegava personale per la bonifica dall'amianto ma si limitava bensì a realizzare, in maniera non ricorrente ed altresì gratuita, operazioni di bonifica su richiesta dei proprietari degli immobili rientranti in tale programma e che ne avevano fatto richiesta ed erano stati ammessi, oltre a remunerare l'impresa terza al prezzo di mercato, ha escluso l'esistenza di una remunerazione (idem in C-612/21) che qualificasse l'attività come avente carattere economico ai sensi dell'art. 9, par. 1, c. 2, della Dir 2006/112 (v. anche C‑520/14, p. 33 nonché C-246/08, p. 50).

Ai fini IVA affinchè vi sia onerosità dell'operazione occorre altresì l'esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo, in questo caso per la Cassazione, nel caso qui in commento, esplicitamente previsto e rappresentato dal pagamento dei ratei come emerge dalla lettura della Convenzione tra Comune ed ente gestore.

Osservazioni

Conclude la Cassazione sul punto escludendo, condivisibilmente, che la “natura di accollo meramente interno della prestazione a carico del Gestorepossa influire in alcun modo ai fini IVA dal momento che la base imponibile è costituita da “tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo” essendo sufficiente “che la prestazione sia considerata come controvalore effettivo del servizio prestato” (richiama C-174/00, p. 39), anche nel caso di pagamenti a forfait.

Al riguardo ad esempio, la Corte UE, nella causa C-463/14, al fine di stabilire se il versamento forfettario eseguito nell'ambito di un contratto di abbonamento per la fornitura di servizi di consulenza costituisse o meno il corrispettivo delle prestazioni concordate e se esistesse un nesso diretto tra i servizi prestati ed il corrispettivo ricevuto, richiamava a sua volta i precedenti C-174/00 e C-151/13, relativi, da un lato, ad un contributo annuale forfettario versato a un'associazione sportiva al fine di utilizzare impianti sportivi comprendenti un campo da golf e, dall'altro, ad un versamento forfettario per servizi di cure a persone non autosufficienti.

In entrambi i casi il giudice unionale concludeva per l'esistenza del nesso diretto nella misura in cui quella prestazione di servizi era caratterizzata dalla “disponibilità permanente del prestatore a fornire le prestazioni richieste dal committente, a prescindere dal numero di prestazioni fornite e ricevute”, nella fattispecie rispettivamente dal numero di volte in cui i campi da golf venivano utilizzati o dalla quantità di cure fornite, a nulla rilevando che le prestazioni non fossero né predeterminate né individuali e che il compenso fosse versato in forma di forfait, dal momento che l'importo era “stabilito in anticipo e secondo criteri chiaramente individuati” (v. anche C-154/80; C-102/86; C-16/93; C 151/13; C-11/15; C-263/15; C-295/17).

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