La piantagione di alberi di alto fusto nelle prossimità del confine può non costituire un atto emulativo
09 Giugno 2023
Massima
Perché si abbia un atto emulativo sono richiesti tre elementi: a) il primo - di carattere oggettivo - costituito dal compimento di un atto che determina un danno o molestia (o pericolo) per il vicino; b) il secondo - sempre di carattere oggettivo - rappresentato dall'assenza di utilità per il proprietario; c) il terzo - soggettivo - ravvisabile nell'animus aemulandi o nocendi, inteso come intenzione esclusivamente rivolta a nuocere al vicino. Il caso
I comproprietari di un immobile citavano in giudizio il confinante condominio, chiedendo che il Tribunale lo condannasse all'abbattimento di due piante di alto fusto che il convenuto aveva messo a dimora in una aiuola adiacente alla scala di accesso di loro proprietà. Gli attori lamentavano che le piante impedivano loro la vista panoramica oltre a costituire un pericolo per coloro che utilizzavano la scala a causa dei rami che si protendevano sulla stessa, nonché a rappresentare un pregiudizio per il decoro e la decenza dei luoghi. La piantumazione delle piante costituiva violazione dell'art. 833 c.c. per cui le stesse dovevano essere eliminate. Il condominio resisteva.
In assenza di prova che la messa a dimora delle piante ed il loro mantenimento integrassero gli estremi di un atto emulativo, il Tribunale rigettava tutte le domande.
I soccombenti impugnavano la decisione di prime cure chiedendone l'integrale riforma ed insistevano sul fatto che il condominio, con la messa a dimora, aveva compiuto un gesto emulativo. Ad avviso degli appellanti, infatti, non vi era alcuna ragione per la quale il condominio avesse scelto di piantare alberi di alto fusto proprio nello spazio in questione, se non quello di arrecare fastidio ai medesimi attori, aggiungendo - a sostegno della loro difesa - che l'appellato aveva in precedenza rimosso, su richiesta degli stessi, altre piante. La Corte d'Appello rigettava l'appello e sul fronte delle spese condannava gli appellanti al pagamento integrale delle spese di lite, non ravvisando motivi per una compensazione delle stesse tra le parti a fronte della piena soccombenza di parte attrice. Per il profilo meramente processuale veniva, altresì, respinta la domanda di condanna del condominio ai sensi dell'art. 96 c.p.c., mentre veniva accolta l'opposta domanda dell'appellato e gli appellanti venivano condannati a pagare una somma in applicazione dell'art. 96 c.p.c.
La questione
Con la sentenza in esame, la questione relativa alla legittimità di una delibera assembleare con la quale il condominio aveva deciso di impiantare degli alberi in prossimità della proprietà altrui si è scontrata con un altro problema: se con la stessa delibera il condominio avesse compiuto un semplice atto di disturbo nei confronti del vicino. Le soluzioni giuridiche
Il giudice del riesame non ha ravvisato, nella fattispecie, gli elementi costitutivi dell'art. 833 c.c. Infatti, l'unico atto emulativo poteva consistere, in astratto, nell'aver piantato gli alberi, ma non certo in quello di averli mantenuti o non potati. La funzione ornamentale delle piante (peraltro, riconosciuta anche dagli attori) non poteva essere oggetto di valutazione da parte del giudice non chiamato a comparare i reciproci interessi, neppure sotto il profilo della prevalenza.
Secondo la Corte territoriale, assumeva rilevanza il contesto nel quale le essenze erano state collocate, ritenuto del tutto appropriato al di là della valutazione se l'area fosse o meno destinata a verde, ovvero se in loco si trovassero altre piante della stessa tipologia. Da ultimo era mancata la prova dell'animusnocendi da parte dei condomini i quali, tra l'altro, utilizzavano la scala in questione come accesso secondario al loro edificio.
Per quanto concerne il rigetto della domanda di compensazione delle spese di lite, premesso che al fine della liquidazione delle stesse per quanto concerne il valore della causa non hanno rilevanza le relative dichiarazioni delle parti (Cass. civ., sez. VI/III,16 maggio 2017, n. 12031; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2016, n. 1209; Cass. civ., sez. VI/III, 22 settembre 2015, n. 18732), anche nel giudizio di appello la loro liquidazione segue la soccombenza.
Correttamente, infine, la Corte d'Appello aveva accolto la domanda del condominio di condanna di controparte secondo il disposto di cui all'art. 96 c.p.c., dal momento che gli appellanti erano incorsi in colpa grave avendo proceduto al gravame sulla base di tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate nel merito dalla costante giurisprudenza, costringendo l'amministrazione della giustizia ad impiegare mezzi e risorse in relazione a pretese palesemente insussistenti. Osservazioni
Il punto focale della controversia riguarda la configurabilità dell'atto emulativo come disciplinato in via generale dall'art. 833 c.c. La norma, infatti, rubricata come “atti d'emulazione”, stabilisce che il proprietario non può compiere azioni, le quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o di recare molestia ad altri. Il dato testuale della disposizione pone in evidenza che il comportamento che configura la fattispecie legislativa è un comportamento attivo e non omissivo, quindi mettere in atto una “attività di facere”escludendo la “attività di non facere”.
Per altro verso, occorre che l'atto stesso non porti vantaggi a chi lo compie, ma sia finalizzato solo a creare un danno a chi lo subisce. In questo senso, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9998) ha individuato nella fattispecie due componenti: una oggettiva (assenza di utilità riferita al comportamento del soggetto) ed una soggettiva, individuabile nella volontà di pregiudicare l'altrui diritto senza una contropartita (definita animus nocendi).
Come risulta dalla massima enucleata dalla sentenza oggetto di commento, gli elementi costitutivi dell'atto di emulazione sono stati meglio specificati ed inducono ad alcune riflessioni.
In primo luogo, si può dire che il presunto atto di emulazione deve essere attuale e non a “futura memoria”, nel senso che, trattandosi nello specifico di piantagione di alberi, è solo questo il momento al quale occorre fare riferimento e non ad un tempo successivo, allorché le piante saranno cresciute o si saranno sviluppate in altezza o in larghezza. Tutta l'attività connessa alla cura degli alberi, in positivo o in negativo, è estranea all'ambito applicativo dell'art. 833 c.c.
In secondo luogo, il concetto di non utilità non si addice alla fattispecie oggetto del giudizio, dal momento che il verde, comunque e dovunque messo a dimora, presenta sempre una sua utilità che è quella di arricchire il contesto nel quale è inserito di un quid che lo rende più piacevole. Tanto più se - come nel nostro caso - dagli alberi prendevano giovamento gli stessi attori confinanti.
Da ultimo, vi è la questione concernente l'animus nocendiche, per essere fatta valere, deve essere oggetto di prova e che, comunque, resta escluso nel caso in cui il proprietario abbia conseguito dall'atto anche un solo apprezzabile vantaggio (Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1995, n. 3558). Un accertamento che investe la sfera soggettiva dell'agente e che è rimesso all'accertamento del giudice di merito (Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 2023, n. 3764).
In questo quadro di carattere generale, si va ad inserire l'universo del condominio che è terreno più che fertile per lo sviluppo di atti emulativi che possono coinvolgere i rapporti tra i condomini o tra questi ed il condominio ma anche - come rappresentato dal caso che ci interessa - le relazioni tra l'ente condominiale ed un soggetto terzo.
Il condominio, che è disciplinato da norme specifiche, tuttavia non è estraneo ad alcune disposizioni di legge che tutelano il diritto della proprietà, come ad esempio alla disciplina concernente le immissioni di cui all'art. 844 c.c. Quindi anche l'art. 832 c.c., punto cardine delle disposizioni sulla proprietà in generale ed immediato precedente della norma concernente gli atti di emulazione, trova spazio nell'ambito condominiale pur se con esso deve essere coordinato.
Quali le origini di un atto emulativo nel condominio? Spesso dalla fisiologica natura conflittuale dei rapporti tra i partecipanti che, quando titolari di interessi contrastanti, rendono la reciproca convivenza difficile e conflittuale.
Poiché - come accennato - l'accertamento della natura di tale comportamento è rimesso all'apprezzamento del giudice, la giurisprudenza è stata più volte chiamata a dirimere controversie di questo tipo dando vita ad un panorama di decisioni che si distinguono in relazione al bene o servizio che ne costituisce l'oggetto.
In materia di riscaldamento, ad esempio, nella singolare ipotesi in cui si era proceduto a disattivare un impianto centralizzato sulla base di una delibera assembleare, poi dichiarata irrimediabilmente nulla, la domanda di una condomina al ripristino del bene e servizio comune non è stata considerata in violazione dell'art. 833 c.c., neppure a fronte del fatto che proprio per effetto di quella delibera i condomini si erano dotati di riscaldamenti autonomi. Ebbene, malgrado la evidente sproporzione economica dell'operazione per tutti gli altri condomini, ovvero che la condomina avrebbe potuto ottenere soddisfazione tramite il riconoscimento di un ristoro risarcitorio, la Corte Suprema ha negato la sussistenza dell'atto emulativo non rientrando nella discrezionalità del giudicante formulare un inammissibile giudizio di proporzionalità fra l'utilità conseguibile dalla condomina e l'onerosità che ne sarebbe derivata ai condomini (Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2016, n. 1209).
Allo stesso modo, non è stata ritenuta realizzata l'ipotesi di cui all'art. 833 c.c.nel caso in cui il condominio abbia deliberato di disporre il ripristino della recinzione della terrazza a livello attraverso l'installazione di una rete divisoria fra la parte di proprietà esclusiva del condomino e quella del condominio al fine di impedirne l'usucapione e delimitare il confine (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 2005, n. 13732). Ed ancora non è considerato atto emulativo la mancata potatura dei rami di un albero appartenente al vicino, non sussistendo né un obbligo legale in tal senso, né la conseguente sanzione (Trib. Salerno 9 luglio 2002). E questi sono solo alcuni esempi pratici.
Ma tornando alla questione posta al centro della controversia decisa in sede di appello, tra i motivi di impugnativa gli attori avevano prospettato alcuni elementi che, ove confermati come produttivi di danno, avrebbero consigliato una diversa azione.
Un primo elemento concerneva il tipo di piante messe a dimora dal condominio in adiacenza della scala di proprietà degli attori e da questi genericamente definite “di alto fusto”. Una dichiarazione irrilevante proprio perché non precisava la distanza regolamentare in relazione all'altezza delle piante come individuata dell'art. 892 c.c., la cui violazione consente di ottenerne l'estirpazione ai sensi dell'art. 894 c.c.
Per altro verso, va osservato che l'asserito protendere dei rami degli alberi nella proprietà esclusiva degli attuali ricorrenti, evidentemente legato ad un mancato taglio degli stessi da parte del condominio, non poteva essere considerato un atto emulativo sia per quanto già detto in merito al comportamento oggetto dell'art. 833 c.c., sia per il fatto che a colui che subisce tale intrusione è riservato il diritto di chiederne la recisione, agendo di conseguenza, secondo il disposto dell'art. 896 c.c.
A questo proposito, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza, il diritto di mantenere i rami di un albero protesi per un metro all'interno del fondo del vicino non osta all'esercizio da parte del proprietario confinante del suo diritto, a norma dell'art. 896 c. c., di costringere il proprietario degli alberi a tagliare i rami che si protendono sul suo fondo per la parte eccedente (Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 2013, n. 28348).
Questo significa che il confinante non può farsi giustizia da sé (un'azione diretta è consentita solo nel caso della recisione delle radici che si addentrano nel fondo), richiedendo la fattispecie la necessità di un provvedimento emesso dal Giudice di Pace, quando si tratti di chiedere l'eliminazione di piante che superino in altezza il muro di confine o similare recinzione, mentre ove la domanda sia riferita ad un'invasione dei rami in linea orizzontale la competenza spetterà al giudice ordinario (Cass. civ., sez. VI/II, 30 luglio 2018, n. 20051; Cass. civ., sez. II, 4 gennaio 2006, n. 32). Riferimenti
Musolino, Atti emulativi e azioni di tutela dei diritti reali, in Riv. notariato, 2019, fasc. 3, II, 541; Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 207; Faccioli, Atti emulativi e abuso del diritto nei rapporti condominiali, in Dir. civ. contemp., 2017, fasc. 1; Izzo, Gli alberi nel condominio, in Giust. civ., 2011, fasc. 4, I, 876. |