Responsabilità civile
RIDARE

Contratti con i consumatori: controllo sull'eventuale carattere abusivo di clausole

29 Giugno 2023

La Corte di Cassazione interviene sul tema del controllo officioso delle clausole abusive, per imporre al giudice, tanto nella fase monitoria tanto in fase esecutiva, l’esame (o il riesame, nel caso sulla decisione si sia già formato il giudicato) delle eventuali clausole abusive in danno del consumatore.

Massime

- Il giudice del monitorio deve svolgere, d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia, sulla base degli elementi di fatto e di diritto in suo possesso e con potere istruttorio d'ufficio; ove l'accertamento si presenti complesso, dovrà rigettare l'istanza di ingiunzione e, all'esito del controllo, se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso; se, invece, il controllo sull'abusività delle clausole dia esito negativo, pronuncerà decreto motivato, anche in relazione alla anzidetta delibazione, e il decreto ingiuntivo conterrà anche l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

- Il giudice dell'esecuzione, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo; ove tale controllo non sia possibile, dovrà provvedere ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine e, all'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole (sia negativo sia positivo), informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, e, fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione, non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito. Se il debitore ha proposto opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii). Se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ai sensi dell'art. 649 c.p.c. del debitore consumatore. Il giudice dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c., una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ai sensi dell'art. 649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale, e procederà, quindi, secondo le forme di rito.

Il caso

Tizio si costituisce garante di Alfa verso la banca Beta, sottoscrivendo una fideiussione, e, a seguito dell'inadempimento di Alfa, la banca Beta chiede e ottiene al Tribunale di Sondrio un decreto ingiuntivo.

Viene avviata una procedura di espropriazione immobiliare, che viene completata, con l'aggiudicazione del bene e il versamento del prezzo; il giudice dell'esecuzione, quindi, deposita il progetto di distribuzione della somma ricavata, oggetto di contestazione da parte del debitore esecutato, che adduce l'insussistenza del credito in quanto emesso da giudice territorialmente incompetente. Il giudice dell'esecuzione dichiara esecutivo il progetto di distribuzione, avverso il quale viene proposta opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c., che viene però rigettata dal Tribunale di Busto Arsizio.

Avverso tale sentenza viene proposto ricorso straordinario ai sensi dell'art. 111 c.p.c., affidato a due motivi, deducendo violazione e/o errata interpretazione della Dir. 93/13/CEE e dell'art. 19 del TUE con riferimento al principio di effettività della tutela del consumatore, mettendo in discussione l'impossibilità, a fronte di decreto ingiuntivo non opposto, sia di “un secondo controllo d'ufficio nella fase dell'esecuzione sulla abusività delle clausole contrattuali”, sia di “una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo”.

Ancorché il ricorrente abbia, nel frattempo, rinunciato al ricorso, il pubblico ministero ha depositato le proprie conclusioni scritte, con le quali ha sollecitato la Corte ad enunciare nell'interesse della legge – quale principio di diritto ai sensi dell'art. 363 c.p.c. – l'obbligo del giudice – in fase monitoria - di motivare circa il compiuto esame d'ufficio in ordine alla assenza di clausole abusive in contratto concluso tra professionista e consumatore, con relativo avvertimento a quest'ultimo sugli effetti della mancata opposizione, e di effettuare nella fase esecutiva (ove non eseguito precedentemente) controllo officioso sulla abusività delle clausole, con l'obbligo del giudice dell'esecuzione indicare al consumatore esecutato il rimedio in suo favore, da individuarsi in un'ordinaria azione di accertamento (c.d. actio nullitatis).

L'esame è stato assegnato alle Sezioni Unite civili, ponendo il ricorso una questione di massima di particolare importanza e coinvolgendo materie di competenza di diverse Sezioni della Corte.

La questione

La Suprema Corte ricostruisce, a livello sistematico, gli strumenti e i rimedi che l’ordinamento italiano è stato chiamato a mettere a disposizione del consumatore nei cui confronti sia stato ottenuto un decreto ingiuntivo sulla base di clausole nulle per contrarietà alla normativa in tema di protezione del consumatore, offrendo un ventaglio di differenti soluzioni, in funzione del momento processuale in cui il giudice è tenuto ad effettuare il controllo circa la presenza di eventuali clausole abusive in danno del consumatore.

Le soluzioni giuridiche

Il provvedimento si inserisce (e, in qualche modo, ne è il punto di arrivo, o – quantomeno – uno dei punti di arrivo, anche se è prevedibile che la linea di sviluppo non si fermi qui) nel filone giurisprudenziale che, fin dalle sentenze “gemelle” risalenti al 2014 della Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. SU 12 dicembre 2014 n. 26242 e n. 26243, ha parzialmente riconsiderato la questione del c.d. giudicato implicito, soprattutto con riferimento alle ipotesi delle c.d. nullità speciali e alle ipotesi di nullità "di protezione virtuale", cioè tutti quei casi in cui la sanzione di nullità è posta a presidio di interessi generali sovraindividuali (sottesi alla tutela di una data classe di contraenti, ad esempio consumatori, risparmiatori o investitori) e/o a tutela di interessi costituzionalmente garantiti.

Se si volesse usare una immagine geometrica, si potrebbe dire che la materia è la cuspide verso cui convergono – e nella quale trovano il loro punto di equilibrio (ad assetto variabile, dato che la materia è tuttora in evoluzione) – tra diverse esigenze, ciascuna meritevole di tutela ma tra loro confliggenti: anzitutto, l'esigenza di certezza del diritto, che viene meno quando si rimette in discussione una decisione che è devenuta definitiva; in secondo luogo, la libertà di iniziativa economica, che imporrebbe all'ordinamento di non entrare nel merito di pattuizioni liberamente intercorse tra soggetti aventi capacità di agire; infine, l'esigenza di tutela di categorie di soggetti in posizione di asimmetria informativa e/o di strutturale minor forza contrattuale.

Il tema ha trovato, sino ad oggi, due significativi filoni di applicazione.

In primo luogo, in materia di nullità delle fideiussioni per violazione della normativa anticoncorrenziale, tema, per la verità, estraneo alla questione in esame, ma di grandissima rilevanza operativa, e che presenta con la materia in esame una sorta di “parallelismo” di condizioni e di soluzioni, che rendono interessante e in qualche misura necessario dedicarvi qualche considerazione, al cui riguardo si segnalano due pronunce:

  • Cass. 19 febbraio 2020 n. 4175, la quale, con riferimento alle c.d. nullità di protezione virtuale, ha statuito che “il potere del giudice di rilevarle tout court, difatti, è essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti - quali il corretto funzionamento del mercato, ai sensi dell'art. 41 Cost. e l'uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l'unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l'azione di nullità [...]”. Da tale considerazione, discende l'ulteriore conseguenza per la quale “non potendosi maturare preclusioni o giudicati impliciti in materia di nullità rilevabili d'ufficio, pertanto, il potere di rilievo officioso della nullità del contratto per violazione delle norme sulla concorrenza spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di una pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. (Cass. SU 22 marzo 2017 n. 7294, Cass. 19 luglio 2018 n. 19251, Cass. 5 aprile 2017 n. 8841).”;
  • Trib. Milano 17 settembre 2020 n. 27134, in sede di reclamo in un procedimento cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c., avviato da due soggetti risultati soccombenti in un precedente giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo instaurato avanti il Tribunale di Como. Una volta definito in primo grado il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, che i ricorrenti (fideiussori intimati) avevano avviato avverso il decreto ingiuntivo notificatogli, gli stessi hanno avviato azione cautelare ai sensi dell'art. 700 c.p.c. avanti il Tribunale di Milano, Sez. Imprese, per ottenere un provvedimento di inibitoria all'escussione delle fideiussioni oggetto del procedimento e comunque all'esecuzione della sentenza resa dal Tribunale di Como. Il Tribunale ha rigettato il ricorso, statuendo, tuttavia, che: “il tribunale ritiene, in primo luogo, che siano fondate le contestazioni svolte contro la decisione di primo grado, laddove ha ritenuto che la questione oggetto di reclamo fosse già coperta dal giudicato formatosi in sede del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo. Sul punto, infatti, si ritiene, conformemente a quanto statuito anche recentemente dalla Suprema Corte, con riferimento proprio a tali ipotesi di nullità dei contratti a valle delle fideiussioni omnibus, che, non potendosi maturare preclusioni o giudicati impliciti in materia di nullità rilevabili d'ufficio, il potere di rilievo officioso della nullità del contratto per violazione delle norme sulla concorrenza spetta al giudice del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di una pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tale validità ed efficacia, trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio anche in appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c. (Cass. 19 febbraio 2020 n. 4175Cass. 19 luglio 2018 n. 19251Cass. SU 22 marzo 2017 n. 7294Cass. 5 aprile 2017 n. 8841). Nel caso di specie, infatti, è circostanza pacifica che nel giudizio di opposizione né le parti né tanto meno il tribunale abbiano mai sollevato la questione relativa alla nullità dei contratti di fideiussione omnibus a valle o delle singole clausole, attuativi di un'intesa posta in essere tra imprese per ledere la libera concorrenza. In difetto di ciò, è possibile, per la parte che si ritiene lesa, agire in un separato giudizio proponendo una domanda di nullità del contratto o delle singole clausole, potendo sollevare tale eccezione, peraltro rilevabile anche d'ufficio, in un giudizio di appello, ai sensi dell'art. 345 c. 2 c.p.c., laddove è stato previsto che “Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio”, nonché, potenzialmente, anche nel giudizio davanti alla Suprema Corte (Cass. 19 febbraio 2020 n. 4175)”.

In sostanza, e conclusivamente, se il tema della nullità delle c.d. fideiussioni omnibus per violazione della normativa antitrust non è stato trattato in primo grado, il c.d. giudicato implicito sulla eventuale nullità della fideiussione non può formarsi e il fideiussore può sollevare tale eccezione in appello e/o in Cassazione o, se lo ritiene, avviare un autonomo giudizio per far valere la nullità, totale o parziale, della fideiussione.

Conclusione analoga a quanto la Suprema Corte ha statuito, come si vedrà a breve, in tema di contratti con il consumatore, con una serie di conseguenze di cui meglio si dirà a breve.

Il secondo filone applicativo dei principi in tema di giudicato implicito origina dalla sentenza CGUE 17 maggio 2022 - cause riunite C-693/19 e C-831/19, avviate a seguito di due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte dal Tribunale di Milano:

  1. “se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 Dir. 93/13/CEE e dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea osti ad un ordinamento nazionale, come quello delineato, che preclude al giudice dell'esecuzione di effettuare un sindacato intrinseco di un titolo esecutivo giudiziale passato in giudicato, allorquando il consumatore, avuta consapevolezza del proprio status (consapevolezza precedentemente preclusa dal diritto vivente), richieda di effettuare un simile sindacato”;
  2. “se ed a quali condizioni il combinato disposto degli artt. 6 e 7 Dir. 93/13/CEE e dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea osti ad un ordinamento come quello nazionale che, a fronte di un giudicato implicito sulla mancata vessatorietà di una clausola contrattuale, preclude al giudice dell'esecuzione, chiamato a decidere su un'opposizione all'esecuzione proposta dal consumatore, di rilevare una simile vessatorietà e se una simile preclusione possa ritenersi esistente anche ove, in relazione al diritto vivente vigente al momento della formazione del giudicato, la valutazione della vessatorietà della clausola era preclusa dalla non qualificabilità del fideiussore come consumatore”.

In sostanza, la Corte europea è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità che il giudice dell'esecuzione possa verificare, d'ufficio o su istanza di parte, l'abusività delle clausole di un contratto costituente il fondamento di un decreto ingiuntivo passato in giudicato, quando tali clausole non sono state oggetto di una valutazione esplicita e sufficientemente motivata.

La Corte ricorda che il principio di effettività della tutela giurisdizionale impone che “ogni caso, in cui sorge la questione se una norma di procedura nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l'applicazione del diritto dell'Unione, deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell'insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, nonché, se del caso, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento”, pervenendo a concludere che: “L'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell'esecuzione non possa ‑ per il motivo che l'autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità ‑ successivamente controllare l'eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo”.

La portata deflagrante di tale decisione per l'intero sistema processuale è stata immediatamente colta, tanto da spingere il PG della Suprema Corte a sollecitare – pur in presenza di un giudizio ormai estinto – una pronuncia nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363 c. 3 c.p.c., chiedendo alla Suprema Corte di enunciare i seguenti principi di diritto nell'interesse della legge: “nel decreto ingiuntivo richiesto nei confronti del consumatore il giudice deve dichiarare di aver proceduto ad un esame d'ufficio delle clausole del titolo all'origine del procedimento e che detto esame, motivato almeno sommariamente, non ha rivelato la sussistenza di nessuna clausola abusiva e che, in assenza di opposizione entro il termine stabilito dalla legge, il consumatore decadrà dalla possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo di siffatte clausole; il giudice dell'esecuzione deve rilevare d'ufficio l'eventuale natura vessatoria della clausola inserita nel contratto tra professionista e consumatore, non essendogli tanto precluso dalla definitività del decreto ingiuntivo non opposto, fermo il limite preclusivo del già avvenuto trasferimento del bene; il giudice dell'esecuzione deve indicare il rimedio a favore del debitore consumatore, da individuarsi in un'ordinaria azione di accertamento, un actio nullitatis che inizi dal primo grado e davanti al giudice ordinariamente competente per territorio, materia e valore, nel corso della quale la sospensione (esterna) del titolo giudiziale può conseguirsi in via cautelare con efficacia ai sensi dell'art. 623 c.p.c. sul processo esecutivo; il giudice dell'esecuzione potrà differire la vendita a data presumibilmente successiva alla decisione (adottata anche in via cautelare) del giudice del merito.”

La Suprema Corte si è dunque trovata a dover esaminare una questione con una pregressa storia particolarmente articolata, con uno spazio deliberativo in qualche misura “compresso” dal precedente della Corte di Giustizia e nella consapevolezza di dover trattare una materia con conseguenze sistematiche potenzialmente esiziali (in considerazione del gran numero di procedimenti in fase esecutiva in cui il titolo è a rischio di essere rimessi in discussione dall'applicazione dei principi statuiti dalla CGUE) e di dover dare soluzione a diverse esigenze - “sanare” il passato e regolare efficacemente il futuro (in questo caso, con un rimedio organico rispetto al sistema processuale) -, pervenendo ad elaborare due diversi principi di diritto:

  • una prima regola operativa destinata a regolamentare il futuro, per cui, come detto, “Il giudice del monitorio deve svolgere, d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia, sulla base degli elementi di fatto e di diritto in suo possesso e con potere istruttorio d'ufficio; ove l'accertamento si presenti complesso, dovrà rigettare l'istanza di ingiunzione e, all'esito del controllo, se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso; se, invece, il controllo sull'abusività delle clausole dia esito negativo, pronuncerà decreto motivato, anche in relazione alla anzidetta delibazione, e il decreto ingiuntivo conterrà anche l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile”.
  • altre regole operative destinate a regolamentare il passato (o anche il futuro, nel caso in cui il giudice della fase monitoria non si attenga a quanto previsto dalla regola operativa appena menzionata), per cui “Il giudice dell'esecuzione, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo; ove tale controllo non sia possibile, dovrà provvedere ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine e, all'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole (sia negativo sia positivo), informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, e, fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione, non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito. Se il debitore ha proposto opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii). Se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ai sensi dell'art. 649 c.p.c. del debitore consumatore. Il giudice dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c., una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ai sensi dell'art. 649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale, e procederà, quindi, secondo le forme di rito.”

Particolarmente interessante è l'articolata individuazione delle ragioni che hanno condotto la Corte a scegliere, quale rimedio a favore del consumatore, la soluzione dell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:

  • esperibilità in ogni momento: l'opposizione ex art. 650 c.p.c. è esperibile anche anteriormente all'inizio dell'esecuzione e addirittura pure in momento antecedente alla stessa notificazione del precetto, così da evitare al consumatore di trovarsi nell'eventualità – non remota - di subire l'esecuzione e, quindi, il vincolo del pignoramento sui propri beni, ancor prima di poter dare ingresso ad un controllo sulla vessatorietà delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto.
  • sospensione dell'esecutorietà del titolo: il giudice dell'opposizione tardiva può sospendere l'esecutorietà del titolo giudiziale (integrando tale sospensione anche un caso di sospensione ai sensi dell'art. 623 c.p.c.), con effetti favorevoli anche rispetto alla iscrizione di ipoteca ai sensi dell'art. 655 c.p.c., così da evitare al debitore consumatore di dover ottenere la sospensione di ciascuna procedura esecutiva nella quale risulti coinvolto sulla base del medesimo titolo esecutivo costituito dal decreto ingiuntivo non opposto. In tal modo, per il debitore verrebbe meno anche il rischio che il bene sia venduto o il credito assegnato da uno (o più) dei giudici dell'esecuzione che rigettino l'istanza di sospensione della procedura, con la conseguenza che al consumatore stesso rimarrebbe la possibilità di attivare il solo rimedio risarcitorio, non altrettanto effettivo;
  • tempi certi e definiti: ancora, l'opposizione ai sensi dell'art. 650 c.p.c. è attivabile entro un ristretto e definito (e, quindi, certo) lasso di tempo, di durata di 40 giorni; ciò non sarebbe possibile per l'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c.., alla quale, in mancanza di un termine per la sua proposizione, si potrebbe fare ricorso durante tutto lo svolgimento della fase di liquidazione giudiziale e fino alla apertura della fase distributiva;
  • tutela piena ed effettiva e rispetto del contraddittorio: l'opposizione tardiva consente al debitore di poter avere tutela piena ed effettiva e permette al giudice di svolgere, in una sede di cognizione piena e nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, una delibazione integrale, laddove il principio del pieno contradditorio non potrebbe trovare adeguata garanzia dinanzi ad un giudice dell'esecuzione al quale venga affidato anche l'accertamento e la declaratoria di abusività delle clausole contrattuali, poiché il rito è essenzialmente deformalizzato e i poteri cognitivi ad esso attribuiti, sebbene arricchiti rispetto all'assetto originario, sono pur sempre funzionali allo svolgimento della procedura esecutiva;
  • formazione del giudicato: il rilievo officioso del giudice dell'esecuzione avrebbe un valore soltanto endoprocedimentale e anche l'eventuale ordinanza di chiusura della procedura in caso di accertata abusività della clausola non potrebbe essere idonea alla formazione di un giudicato, per cui il consumatore sarebbe ancora esposto al rischio di
  • nuove procedure esecutive (anche sullo stesso bene), senza poter far valere la precedente decisione a lui favorevole;
  • possibilità di un ulteriore grado di impugnativa: anche in caso di sentenza emessa all'esito di opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c., essendo un tale provvedimento ricorribile soltanto per cassazione, il debitore non avrebbe a disposizione un grado di giudizio per far valere le proprie ragioni.

In definitiva, l'opposizione di cui all'art. 650 c.p.c. è il rimedio che assicura il più efficace bilanciamento e il più ampio livello di tutela effettiva del consumatore, presentando come unico inconveniente (in qualche misura inevitabile) la circostanza, che nel caso in cui il rilievo officioso riguardi la clausola abusiva di deroga del foro del consumatore, l'opposizione tardiva imporrebbe a quest'ultimo di difendersi in giudizio in una sede diversa da quella del suo domicilio.

Sotto il profilo sistematico e di coerenza con l'ordinamento processuale nazionale, la soluzione dell'opposizione tardiva presenta – secondo la Suprema Corte - taluni ulteriori vantaggi:

  • è un rimedio che l'ordinamento stesso appresta contro il giudicato e, quindi, consente di mantenere ferma la configurazione del decreto ingiuntivo non opposto quale provvedimento idoneo a passare in giudicato formale e a produrre effetti di giudicato sostanziale. Inoltre, in quanto rimedio di sistema contro il giudicato, permette (anche nel limitato campo del decreto ingiuntivo non opposto in materia consumeristica) di fare salvo il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile;
  • al tempo stesso, è coerente rispetto a quanto disposto della CGUE, giacché è idonea a rimettere in discussione il risultato di condanna conseguito dal creditore con il decreto ingiuntivo non opposto proprio in ragione del carattere abusivo della clausola del contratto fonte del diritto azionato in via monitoria, così da poter determinare la caducazione di decreto ovvero la riduzione del suo importo quale conseguenza della dichiarazione della natura abusiva di una o più clausole, con sentenza suscettibile di passare in giudicato formale e con attitudine al giudicato sostanziale;
  • tale soluzione consente di non derogare alla regola secondo cui in sede di opposizione all'esecuzione, ove alla base dell'opposizione sia posto un titolo esecutivo giudiziale, non possono farsi valere fatti impeditivi anteriori alla formazione del titolo, così da non mettere in discussione la natura di titolo esecutivo giudiziale del decreto ingiuntivo non opposto;
  • non essendo la soluzione della revocazione (art. 395 c.p.c.) praticabile in via interpretativa (essendo riservato al legislatore il potere di ampliare il catalogo delle ipotesi di revocazione), l'opposizione tardiva si fa preferire anche alla soluzione dell'actio nullitatis (opzione auspicata dal pubblico ministero nelle sue conclusioni scritte), che è priva di un termine per la sua proposizione e impone, per ottenere il necessario risultato della sospensione dell'esecutorietà del titolo giudiziale, di attivare un percorso non così agevole e diretto (soprattutto ad esecuzione non iniziata), e cioè lo strumento cautelare disciplinato dall'art. 700 c.p.c., il quale, comunque, contempla anche la possibilità di disporre una cauzione, che la CGUE intende come fattore idoneo ad ostacolare il pieno dispiegamento della tutela del consumatore;
  • l'actio nullitatis è strumento di creazione pretoria il quale, nel collocarsi al di fuori del sistema della disciplina processuale dettata dall'ordinamento interno, costituisce una extrema ratio e non è in grado di assicurare la piena complementarietà funzionale tra l'ordinamento nazionale e quello comune europeo.

Osservazioni 

Il provvedimento in esame si caratterizza per essere, in realtà, piuttosto lineare. Più che per i contenuti intrinseci (che pure rivestono grande interesse, soprattutto nella parte in cui la Suprema Corte espone le ragioni che hanno condotto la stessa a discostarsi dalle indicazioni contenute nella relazione del Procuratore Generale), la pronuncia è assai più interessante perché consente di cogliere alcune tendenze in atto da tempo ma decisamente sottotraccia, una sorta di “tettonica delle placche” del diritto vivente, in cui blocchi giustapposti di esigenze di tutela si scontrano e si rimodellano a vicenda.

Appare evidente lo sforzo della Suprema Corte di assicurare adeguata copertura ad istanze di tutela ormai consolidate (anche grazie, questo va detto, al confronto e al dialogo continuo con le Corti comunitarie) nella coscienza collettiva – segnatamente, la protezione della effettiva concorrenzialità del mercato, da cui origina il filone giurisprudenziale in tema di nullità delle fideiussioni omnibus conformi al c.d. Modello ABI, e la protezione del consumatore, da cui origina il caso in esame - senza far venire meno la pietra angolare dell’intero sistema, su cui si fonda la certezza del diritto, cioè il principio secondo cui il giudicato “copre il dedotto e il deducibile”. Il che implica e necessita, ormai da anni, un continuo e certosino lavoro di analisi, teso a dare ingresso a nuove istanze di tutela preservando la stabilità dell’ordinamento, e un altrettanto certosino lavoro di “recupero” a nuovi utilizzi, se così può dirsi, di un istituto, quello dell’opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c., già noto ma di utilizzo decisamente residuale. Si tratta di un esercizio di raffinata analisi (si pensi al monumentale lavoro svolto dalla Suprema Corte in occasione delle due sentenze “gemelle” del 2014) sapientemente calato nella realtà quotidiana, che indica all’operatore alcune direttrici di lungo periodo, utili ad affrontare le esigenze di tutela che, quotidianamente, si sedimentano nella coscienza giuridica collettiva:

  • l’ordinamento riconosce una speciale tutela a talune esigenze di carattere sovraindividuale, anche a costo di limitare la fondamentale esigenza di certezza del diritto;
  • è fondamentale, tuttavia, operare un bilanciamento di interessi, e offrire, per quanto possibile, soluzioni in grado di contemperare le opposte esigenze nell’ambito di soluzioni già presenti nell’ordinamento;
  • esigenze complesse non necessariamente richiedono risposte complesse: maggiore è la semplicità dello strumento, maggiore è il suo utilizzo e più effettiva è la tutela che lo stesso è in grado di offrire, anche rispetto a uno strumento che sia, in linea di principio, maggiormente adatto, caratterizzandosi tuttavia (per costi o per complessità operativa) di meno agevole utilizzo.

Guida all'approfondimento

Sul tema dell’operatività del giudicato implicito in ipotesi di nullità speciali e di nullità di protezione virtuale, si vedano rispettivamente:

  • Cass. SU 12 dicembre 2014 n. 26242 e n. 26243;
  • Cass. 19 febbraio 2020 n. 4175.

Si vedano, altresì:

  • CGUE 17 maggio 2022 - Grande Sezione - cause riunite C-693/19 e C-831/19, e conclusioni dell’avv. Generale Tanchev.
  • conclusioni del Procuratore Generale (dott. Nardecchia) rese nelle udienze pubbliche del 7 febbraio 2022 e del 13 luglio 2022.

Sul tema dei rimedi esperibili in tema di nullità delle fideiussioni omnibus conformi al c.d. Modello Uniforme ABI si veda altresì Trib. Milano, Sez. Imprese, 17 settembre 2020 n. 27134.

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