Responsabilità del notaio e suo dovere di diligenza al momento dell'identificazione delle parti
18 Luglio 2023
Massima
Ai sensi dell'art. 49 della l. n. 89 del 1913, il notaio deve accertare l'identità personale delle parti ed è tenuto a raggiungere tale certezza, anche al momento dell'attestazione, secondo regole di diligenza, prudenza e perizia professionale, rispetto alle quali l'esibizione di una carta d'identità o di altro documento equipollente può non risultare, da sola, sufficiente alla corretta identificazione della persona fisica. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità del notaio che, in occasione del versamento di una caparra tramite atto pubblico, aveva identificato il promittente venditore, munito di copia dei titoli proprietari dell'immobile e dell'atto di pubblicazione del testamento della dante causa, sulla base del documento d'identità e della tessera sanitaria, non palesemente contraffatti, senza controllare l'identità della persona presentatasi come promittente venditore mediante interpello della professionista che aveva curato la pubblicazione del testamento). Il caso
Due parti di un contratto di compravendita immobiliare raggiunsero un accordo che prevedeva il versamento di una caparra pari a quasi un terzo del prezzo di acquisito, stabilendo che la caparra fosse fatta per atto pubblico. Il preliminare venne stipulato innanzi ad un notaio con versamento della caparra pattuita in favore del promittente venditore, identificato dal notaio rogante. Successivamente, il promissario acquirente venne contattato da un funzionario di banca che lo informava di essere stato vittima di una truffa, in quanto il promittente venditore non era il vero proprietario. Il promissario acquirente conveniva in giudizio il notaio rogante ritenuto responsabile di non aver correttamente identificato la controparte. I giudizi di merito si concludevano con il rigetto della domanda attorea, avendo escluso profili di responsabilità a carico del notaio.
Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità hanno confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità del notaio che, in occasione del versamento di una caparra tramite atto pubblico, aveva identificato il promittente venditore, munito di copia dei titoli proprietari dell'immobile e dell'atto di pubblicazione del testamento della dante causa, sulla base del documento d'identità e della tessera sanitaria, non palesemente contraffatti, senza controllare l'identità della persona presentatasi come promittente venditore mediante interpello della professionista che aveva curato la pubblicazione del testamento. La questione
La questione in esame è la seguente: in tema di stipula di atti pubblici innanzi al notaio, quali sono gli accertamenti che il professionista deve compiere per identificare compiutamente le parti? Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento si occupa della responsabilità del notaio con particolare riferimento alla individuazione delle condizioni che possano ritenere soddisfatto il requisito della diligenza nell'accertamento della identità delle persone intervenute del compimento di un atto dallo stesso rogato. Al riguardo deve precisarsi che la responsabilità civile del notaio ha un ambito più ampio rispetto alla sua responsabilità penale, posto che la prima ricorre non solo nel caso di dolo del professionista in ordine alla falsa attestazione, ma anche di semplice colpa. Nella giurisprudenza civile s'è stabilito che la certezza del notaio intorno all'identità personale delle parti, in difetto di conoscenza personale, non può essere fondata sul solo esame di una carta d'identità, od altro documento equipollente, ancorché formalmente ineccepibile perché privo di segni esteriori che ne evidenzino la falsità, atteso che l'art. 49 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, nel testo fissato dall'art. 1 della legge 10 maggio 1976, n. 333, prescrive che il notaio raggiunga un sicuro convincimento in proposito (anche al momento dell'attestazione) con la valutazione di "tutti gli elementi" all'uopo idonei, contemplando, in caso contrario, il ricorso a due fidefacienti; pertanto, ove manchino altri elementi, sia pure di tipo presuntivo, idonei a corroborare le risultanze della carta d'identità, l'esame di quest'ultima non può ritenersi sufficiente all'osservanza del suddetto obbligo professionale, trattandosi del resto di documento d'identificazione a fini di polizia, privo di forza certificatrice generale (Cass. n. 9757/2005). Per la comprensione e l'esatta interpretazione dell'art. 49 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come sostituito dall'art. 1 della legge 10 maggio 1976, n. 333 - il quale stabilisce che "il notaio deve essere certo dell'identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza, anche al momento dell'attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento. In caso contrario il notaio può avvalersi di due fidefacienti da lui conosciuti, che possono essere anche i testimoni" - è necessario ricordare che gli ordinamenti notarili precedenti a quello del 1913 richiedevano espressamente che il notaio dovesse "conoscere personalmente" le parti. L'art. 49 della legge n. 89 del 1913, nella sua originaria formulazione, chiese, invece, che il notaio fosse "personalmente certo" dell'identità personale delle parti.
Per adeguare gli obblighi del notaio alla mutata realtà giuridica, economica e sociale, venne introdotta, con la legge n. 333/1976, l'attuale formulazione della disposizione normativa in commento, dalla quale è possibile desumere che: 1) il notaio deve essere certo dell'identità personale delle parti (l'elisione dell'avverbio "personalmente" lascia intendere che non è più necessario alcun pregresso rapporto di conoscenza tra la persona del notaio e le parti, ma che è invece soltanto necessario che il professionista si trovi nello stato soggettivo di certezza dell'identità personale delle parti); 2) tale certezza può essere raggiunta anche al momento dell'attestazione (inciso dal quale risulta ribadito l'intento del legislatore di escludere la necessità della pregressa conoscenza delle parti o della pregressa certezza della loro identità); 3) la certezza dell'identità personale delle parti può essere raggiunta dal notaio attraverso la valutazione di tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento (affermazione dal quale il legislatore della novella lascia inequivocabilmente intendere che la conoscenza personale delle parti è solo una delle ragioni in base alle quali il notaio può essere certo della loro identità, ma questa può essere desunta da una serie indefinita di elementi, che abbiano la caratteristica di essere idonei - "atti" - a formare il suo convincimento).
La l. n. 333/1976, art. 1 ha quindi ridimensionato il dato della conoscenza personale delle parti per il notaio tenuto alla loro identificazione. Infatti, nell'attuale versione non compare più l'avverbio "personalmente" (collegato alla certezza in ordine all'identità delle parti); nel testo della disposizione vigente è inoltre precisato che la sicurezza circa l'identificazione possa conseguirsi anche al momento dell'attestazione: il che vale ad escludere la necessità del dato della pregressa conoscenza personale della parte da parte del notaio; infine, la norma novellata conferisce rilievo a "tutti gli elementi atti a formare il (...) convincimento" del professionista: con ciò chiarendo che l'acquisizione di una certezza sulla identità della parte non dipenda - o comunque possa non dipendere, in concreto - dalla conoscenza personale che il notaio abbia di quel soggetto (la quale può anche mancare) e che detta acquisizione sia anzi determinata da fatti o situazioni che non sono definibili in via astratta e generale, ma che è necessario accertare di volta in volta. Osservazioni
L'analisi della disposizione normativa consente di affermare, dunque, che la "certezza" richiesta consiste in uno stato soggettivo del notaio fondato anche su presunzioni; nel senso che il professionista, che non conosce personalmente le parti, per potersi ritenere certo della loro identità personale, può trarre conseguenze da fatti a lui noti per risalire al fatto ignorato (l'identità personale). Presunzioni che, anche in questo caso, per avere l'effetto di consolidare la certezza del notaio devono essere gravi, precise e concordanti, in analogia con quanto previsto dall'art. 2729 c.c. Diversamente, il professionista dovrà far ricorso ai fidefacienti.
Pertanto, con riguardo agli atti che richiedano la certezza del notaio in ordine all'identità personale delle parti, in difetto di conoscenza personale la norma di cui all'art. 49 l. n. 89/1913, sull'ordinamento del notariato (nel testo fissato dall'art. 1 l. n. 333/1976), in base alla quale il notaio deve essere certo dell'identità personale delle parti e può raggiungere tale certezza anche al momento dell'attestazione, con la valutazione di “tutti gli elementi” atti a formare il suo convincimento, rendendosi in caso contrario necessario il ricorso a due fidefacienti da lui conosciuti, va interpretata nel senso che, nell'attestare l'identità personale delle parti, il professionista deve trovarsi in uno stato soggettivo di certezza intorno a tale identità, conseguibile, senza la necessaria pregressa conoscenza personale delle parti stesse, attraverso le regole di diligenza, prudenza e perizia professionale e sulla base di qualsiasi elemento astrattamente idoneo a formare tale convincimento, anche di natura presuntiva, purché in quest'ultimo caso si tratti di presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. n. 13362/2018).
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