Responsabilità civile
RIDARE

Appalto e gravi difetti della costruzione ex art. 1669 c.c.

22 Gennaio 2024

La Suprema Corte affronta, in un caso di appalto privato, il tema della responsabilità degli appaltatori (ditta costruttrice, soggetto incaricato dei calcoli statici, progettista e direttore lavori), confermando la necessità di una puntuale e specifica motivazione circa la sussistenza dei gravi difetti, ancorati alle risultanze degli accertamenti processuali.

Massime

- In tema di responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., la qualificazione del vizio come grave costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. La motivazione deve contenere una coerente giustificazione in ordine all'integrazione dei gravi difetti, causalmente ricollegabili ad un vizio costruttivo, ancorata alle peculiarità del caso concreto e non limitata ad una mera, assiomatica descrizione del quadro normativo e giurisprudenziale, sganciata da qualsiasi collegamento con le emergenze processuali e con gli esiti degli svolti accertamenti tecnici.

- I difetti della costruzione devono consistere in una qualsiasi alterazione conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell’opera, che – pur non riguardando sue parti essenziali, ma anche gli elementi accessori e secondari atti a consentire l’impiego duraturo cui l’opera è destinata – incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo.

- Sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo. Pertanto, i gravi difetti non si identificano necessariamente con i vizi influenti sulla staticità dell’edificio, purché essi ne compromettano in modo apprezzabile il godimento, e pur non dovendo necessariamente implicare l’impedimento assoluto dell’uso.

Il caso

Tizio, committente, conviene in giudizio innanzi al Tribunale di Latina la ditta appaltatrice, il responsabile dei calcoli statici e il progettista-direttore lavori per i difetti costruttivi subiti dall’immobile di proprietà, sulla base di quanto emerso in sede di accertamento tecnico preventivo ante causam, in cui era stato accertato che i fenomeni di fessurazione di alcuni elementi costruttivi, con funzione divisoria interna, erano stati causati dall’eccessiva deformabilità del solaio del primo piano, il quale era sottodimensionato, e che tali fenomeni avrebbero potuto essere evitati con l’installazione di un graticcio di travi reticolari. I convenuti si costituiscono in giudizio negando ogni responsabilità. In particolare, il progettista-direttore dei lavori nega che i fenomeni di fessurazione dei tramezzi divisori dovessero essere ricondotti alla deformazione della struttura portante, come riscontrato dalle prove di carico effettuate, mentre il responsabile dei calcoli evidenzia di avere previsto la presenza di due pilastri proprio nella zona in cui si era verificato l’avvallamento del solaio, progetto poi modificato dal progettista-direttore lavori su richiesta del figlio del committente.

Nel corso del giudizio viene espletata consulenza tecnica d’ufficio ai fini della quantificazione del danno, e all’esito il Tribunale rigetta la domanda contro la ditta appaltatrice e condanna il responsabile dei calcoli e il progettista-direttore lavori al risarcimento del danno, ripartendo le loro responsabilità rispettivamente nella misura del 75% e del 25%.

Il responsabile dei calcoli e il progettista-direttore lavori propongono appello, lamentando quest’ultimo, tra le altre cose, che avrebbe dovuto configurarsi l’ipotesi di garanzia per i vizi ex art. 1667 c.c. e non della responsabilità per gravi difetti ex art. 1669 c.c., con la conseguente prescrizione dell’azione.

La Corte d’Appello rigetta l’impugnazione concludendo che, in termini generali, i vizi di costruzione del solaio, per l’impiego di tecniche costruttive inidonee o per l’utilizzo di materiali difettosi, costituiscono gravi difetti ai sensi dell’art. 1669 c.c., consistenti in qualsiasi alterazione conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera che – pur non riguardando le sue parti essenziali – ne compromette la conservazione, limitandone sensibilmente il godimento o diminuendone in modo rilevante il valore, e pertanto l’eccezione di prescrizione è infondata. Conferma la responsabilità del responsabile dei calcoli, il quale, in tale veste, avrebbe dovuto respingere la modifica progettuale chiesta dal progettista-direttore dei lavori (modifica da cui era scaturita la minore rigidità del solaio e il suo eccessivo abbassamento, con la produzione delle fessurazioni lamentate) e anche la responsabilità del progettista-direttore dei lavori per avere concorso nella produzione dell’evento lesivo, condizionando la modifica progettuale al parere favorevole del responsabile dei calcoli (incaricato, in tale veste, di ponderare adeguatamente ogni profilo concernente la statica e sicurezza dell’immobile).

Avverso il provvedimento ricorre con ricorso principale in Cassazione il soggetto responsabile dei calcoli, sulla base di diversi motivi.

La questione

Il ricorrente lamenta, in particolare:

  • quale primo motivo, l'avere la Corte d'Appello negato l'acquisizione dei certificati di agibilità prodotti in appello, che proverebbero l'assenza di sia un concreto pregiudizio alla statica e alla sicurezza del fabbricato (rilevante in ordine alla condanna risarcitoria per mancato godimento del bene). Secondo la prospettazione del ricorrente, la Corte d'Appello avrebbe dovuto spiegare le ragioni per cui le nuove produzioni non avrebbero potuto essere ammesse, quali documenti indispensabili ai fini della decisione in ordine alla prova dell'inesistenza dei vizi denunciati, e conseguentemente della infondatezza del richiesto risarcimento dei danni.
  • quale secondo motivo, l'illogicità e inadeguatezza della motivazione per omessa valutazione delle prove, per avere la Corte d'Appello configurato i gravi difetti idonei ad integrare la fattispecie dell'art. 1669 c.c., escludendo che l'azione fosse prescritta, ancorché non ricorrano nel caso di specie fenomeni tali da influire sulla stabilità della costruzione. Secondo la prospettazione del ricorrente, mentre l'art. 1669 c.c. disciplinerebbe le conseguenze dannose dei vizi costruttivi incidenti su elementi essenziali di struttura e funzionalità dell'opera, influendo sulla sua solidità, efficienza e durata, l'art. 1667 c.c. riguarderebbe l'ipotesi in cui la costruzione non corrisponda alle caratteristiche del progetto e del contratto di appalto ovvero sia stata eseguita senza il rispetto delle regole della tecnica. Senonché, applicando tale criterio al caso di specie, ne sarebbe derivato che i vizi avrebbero dovuto essere inquadrati nella disciplina di cui all'art. 1667 c.c., in quanto lo stesso consulente tecnico d'ufficio aveva precisato, descrivendo lo stato di pericolosità del fabbricato, che la struttura dovesse ritenersi in sicurezza. Peraltro, in sede di accertamento tecnico preventivo, era altresì emersa la mancanza di manifestazioni di crisi o di degrado dei materiali, tali da prospettare l'imminenza di un collasso locale di alcuni elementi strutturali e di un collasso globale dell'intero sistema strutturale, tanto da indurre il tecnico a ritenere che la struttura, sotto il profilo della sicurezza, fosse in buone condizioni. Inoltre, anche nell'ipotesi in cui la fattispecie avesse dovuto inquadrarsi nell'ambito dell'art. 1669 c.c., non era stata dimostrata l'epoca in cui si sarebbero create le micro-fessure e la causa di tale evento, dovendosi escludere – a suo parere - che esse fossero riconducibili alla eccessiva deformabilità del solaio. Tali elementi, ove correttamente valutati dalla Corte d'Appello, avrebbero dovuto portare alla conclusione che l'azione di garanzia si era prescritta.

Le questioni giuridiche

La Suprema Corte ha accolto il secondo motivo, rigettando il primo, sulle base delle seguenti considerazioni:

  • quanto all'avere ignorato i certificati di agibilità prodotti in corso di giudizio, la Corte ricorda che si ritengono indispensabili i documenti che siano dotati di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella delle prove già rilevanti sulla decisione finale della controversia. Ciò impone al giudice del gravame di motivare espressamente sull'attitudine della nuova produzione a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi, al fine di consentire, in sede di legittimità, il controllo sulla congruità e sulla logicità della motivazione e sull'esattezza del ragionamento adottato. Nella fattispecie, il giudice d'appello ha escluso che i certificati di agibilità prodotti nel corso del procedimento d'impugnazione (e non già con l'atto introduttivo, benché formatisi in epoca precedente prima della pronuncia di primo grado) afferissero specificamente ai motivi di gravame interposti. Il che ha indotto il giudice d'appello a delibare l'inammissibilità della produzione documentale. Peraltro, ricorda la Suprema Corte, i gravi difetti rilevanti ex art. 1669 c.c. ricorrono anche senza che vi sia un concreto pregiudizio alla statica e alla sicurezza del fabbricato e, dunque, la disamina dei rilasciati certificati di agibilità sarebbe stata comunque irrilevante.
  • quanto al profilo dell'illogicità e inadeguatezza della motivazione per omessa valutazione delle prove, la Suprema Corte ricorda che la responsabilità aquiliana per rovina e difetti di cose immobili (per la quale l'art. 1669 c.c. contempla una presunzione iuris tantum di colpa del danneggiante) impone a quest'ultimo di fornire la prova liberatoria ma presuppone, in ogni caso, che sia offerta la prova, a cura del danneggiato (anche all'esito delle indagini tecniche svolte in corso di causa), che gli eventi rappresentati (rovina dell'edificio o gravi difetti) siano causalmente riconducibili a vizio del suolo o a difetto della costruzione. I difetti della costruzione devono consistere in una qualsiasi alterazione conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell'opera, che – pur non riguardando sue parti essenziali, ma anche gli elementi accessori e secondari atti a consentire l'impiego duraturo cui l'opera è destinata – incida negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo. Ebbene, nel caso in esame , afferma la Suprema Corte – il giudice di appello non ha confutato le specifiche argomentazioni svolte dal responsabile dei calcoli tanto con riferimento alla non imputabilità del danno alla propria condotta e all'effettiva incidenza causale della propria condotta sulla causazione dei difetti dell'immobile, tanto con riferimento alla reale portata delle carenze costruttive, ai fini di ricondurne la qualificazione nell'alveo dei “gravi difetti” richiamati dall'art. 1669 c.c. e non dei semplici vizi, ricadenti nella garanzia ai sensi dell'art. 1667 c.c.; il giudice di secondo grado, prosegue la Suprema Corte, si è in realtà limitato a richiamare, a titolo meramente esemplificativo, le fattispecie individuate in astratto dalla giurisprudenza di legittimità al fine di integrare i gravi difetti” ai sensi dell'art. 1669 c.c., senza però motivare la concreta riconducibilità dei principi di legge invocati allo specifico caso sotto esame. Il richiamo alle fessurazioni dei tramezzi interni e al consenso prestato dal responsabile dei calcoli alla modifica progettuale è – infatti - del tutto generico e non individua con puntualità la consistenza di tale modifica e l'eventuale incidenza in concreto sulla statica e sulla sicurezza, a fronte delle cause alternative dedotte dal responsabile dei calcoli, risolvendosi in una “motivazione apparente”, che si converte in violazione dell'art. 132 c. 2 , n. 4 c.p.c. e dà luogo a nullità della sentenza.
  • sempre con riferimento al secondo motivo, la Suprema Corte ricorda che costituiscono gravi difetti dell'opera, rilevanti ai fini dell'art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo. Pertanto, i gravi difetti non si identificano necessariamente con i vizi influenti sulla staticità dell'edificio, purché essi ne compromettano in modo apprezzabile il godimento, e pur non dovendo necessariamente implicare l'impedimento assoluto dell'uso. Ciò premesso, conclude la Suprema Corte, nella motivazione della Corte d'Appello non vi è una coerente giustificazione in ordine alla integrazione dei gravi difetti, causalmente ricollegabili ad un vizio costruttivo, di cui non è stata addotta alcuna effettiva spiegazione, ancorata alle peculiarità del caso concreto e non limitata ad una mera, assiomatica descrizione del quadro normativo e giurisprudenziale, sganciata da qualsiasi collegamento con le emergenze processuali, in particolare con gli esiti degli accertamenti tecnici svolti in corso di causa. Con la conseguenza che l'iter argomentativo risulta del tutto inidoneo ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione.

Osservazioni

Il provvedimento commentato si rivela interessante per quanto si legge, se così può dirsi, in controluce.

Il vigoroso, quasi brutale, richiamo ai doveri del giudicante è certamente interessante, ma appare assai più interessante, per i suoi risvolti applicativi. L'affermazione che i gravi difetti di cui all'art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con i vizi influenti sulla staticità dell'edificio, purché compromettano in modo apprezzabile il godimento dell'edifico stesso (ancorché questo non debba necessariamente implicare l'impedimento assoluto dell'uso), conferma – in linea con gli ultimi precedenti in materia della Suprema Corte (Cass. 4 ottobre 2018 n. 24230, Cass. 24 gennaio 2018 n. 1751, Cass. 17 novembre 2017 n. 27315, Cass. 27 marzo 2017 n. 7756) – un approccio per così dire “dinamico-funzionale”, focalizzato sulla idoneità a compromettere “in modo apprezzabile” il godimento del bene, anche a prescindere dalla effettiva esistenza di una situazione di impedimento assoluto.

Affermazione che apre la strada a un'applicazione della norma in esame di ampia portata e non solo ai limitati casi di rovina (totale o parziale) dell'immobile o comunque di assoluta inidoneità all'uso.

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