Responsabilità civile
RIDARE

Diritti dei consumatori: violazione delle restrizioni orarie sugli esercizi di gioco lecito

02 Febbraio 2024

La decisione in commento, sia pure nel peculiare contesto di un’azione proposta da un ente rappresentativo per asserita lesione dei diritti dei consumatori e sotto la precipua angolazione del riparto dell’onere della prova, affronta la tematica, molto dibattuta in giurisprudenza, relativa alla legittimità delle ordinanze sindacali di regolamentazione degli orari di apertura degli esercizi di gioco lecito con vincita in denaro, in funzione di prevenzione e contrasto del fenomeno del disturbo da gioco d’azzardo (c.d. DGA), comunemente denominato “ludopatia”.

Massima

In caso di azione rappresentativa a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, proposta ai sensi dell’abrogato art. 140 c.cons. (oggi art. 140-ter e s. c.cons.), spetta all’ente ricorrente fornire la prova dell’allegata lesione dei diritti dei consumatori derivante dalla contestata violazione degli orari di esercizio dei locali dedicati al gioco lecito, dovendo sempre essere prodotti elementi di dettaglio dei paventati effetti lesivi per tali diritti.

La violazione dell’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, tale violazione non è predicabile qualora oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti in quanto tale valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.

L’intervento regolatorio in materia di orari di esercizio dei locali destinati al gioco lecito deve avvenire previo esperimento di un’istruttoria specificamente riferita al territorio comunale, anche al fine di garantire la tenuta in concreto dei superiori princìpi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa.

In particolare, non è sufficiente il richiamo a fatti notori e affermazioni relative al fenomeno in generale, dovendo essere evidenziata una realtà particolarmente preoccupante, desumibile da una fonte certa.

Deve, inoltre, essere fornita la dimostrazione della necessità sullo specifico territorio di riferimento di una maggiore tutela rispetto a quello nazionale che possa essere raggiunta con quella determinata limitazione oraria di accesso al gioco e che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indiretti, quali, ad esempio, lo spostamento della domanda verso forme di gioco illegale.

Il caso

1. Con ricorso proposto ai sensi dell'abrogato art. 140 c.cons. (oggi art. 140-ter e s. c.cons., a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 28/2023), l'Associazione Codacons ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano una società titolare di esercizi di gioco lecito operanti nel territorio comunale, chiedendo di inibire la prosecuzione di un'azione ritenuta lesiva dei diritti dei consumatori, consistente nella reiterata violazione degli orari di apertura degli stessi locali stabiliti con ordinanza n. 63/2014 adottata dal Sindaco in funzione di contrasto al fenomeno del disturbo da gioco d'azzardo (DGA).

In particolare, la ricorrente ha allegato che alcuni consumatori avevano segnalato e documentato, mediante apposite videoregistrazioni, la violazione, da parte della convenuta, della citata ordinanza che prevede: ‹‹l'orario di esercizio delle sale giochi è fissato dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 18.00 alle ore 23.00 di tutti i giorni, festivi compresi››.

Si è costituito in giudizio l'esercente, chiedendo il rigetto delle domande attoree, deducendo, da un lato, come non fosse provato alcun danno per i consumatori quale conseguenza dell'asserita violazione dell'orario stabilito dal Sindaco e richiamando, dall'altro, l'intesa raggiunta il 7 settembre 2017 in sede di Conferenza Unificata al fine di garantire una ‹‹regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale anche mediante istituzione di fasce orarie di blocco››, riconoscendo agli Enti locali ‹‹la facoltà di stabilire per le tipologie di gioco delle fasce orarie fino a sei ore complessive di interruzione quotidiana di gioco››.

Il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso, statuendo che l'Associazione Codacons non aveva dimostrato che «la limitazione dell'orario di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito, così come disposta con l'ordinanza sindacale n. 63/2014, fosse effettivamente idonea ad incidere in senso positivo sul fenomeno della ludopatia, limitandolo o riducendone la diffusione››.

2. Impugnata la sentenza dalla ricorrente, la Corte d'appello di Milano ha rigettato il gravame (App. Milano n. 640/2021).

La Corte distrettuale, dopo aver dato atto che sussiste un contrasto giurisprudenziale in merito alla portata da attribuire all'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 7 settembre 2017, ha affermato che i “motivi di interesse generale” che, in astratto, consentono di apportare restrizioni orarie non possono consistere in ‹‹un'apodittica e indimostrata enunciazione››, dovendo concretarsi in ragioni specifiche, ‹‹da esplicitare e documentare in modo puntuale››.

Secondo la stessa Corte, l'appellante non ha, inoltre, adeguatamente provato che, in difetto di produzione di documentazione probatoria riferibile alla situazione locale, l'imposizione dell'obbligo in capo all'esercente di rispettare l'ordinanza sindacale sia effettivamente idonea a determinare la diminuzione dei volumi del gioco d'azzardo.

3. Avverso tale sentenza, l'Associazione Codacons ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato ‹‹Error in iudicando art. 360 n. 3 c.p.c.: Violazione o falsa applicazione di norme di diritto art. 2697 c.c.››.

Segnatamente, avendo inteso l'ordinanza sindacale ridurre l'accesso alle sale slot, dovrebbe considerarsi del tutto irrilevante l'intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata il 7 settembre 2017, considerato che lo stesso Consiglio di Stato ne ha escluso a più riprese la natura cogente.

La ricorrente ha altresì sostenuto che il Tribunale e la Corte d'appello si sono risolti a rigettare la domanda su un asserito difetto probatorio gravante sull'Associazione, senza tenere conto che quest'ultima aveva dato dimostrazione della legittimazione ad agire in giudizio a tutela dei consumatori, della condotta attuata dalla controparte (mediante apposite videoregistrazioni) e dell'illegittimità di tale condotta, posta in violazione dell'ordinanza sindacale n. 63/2014 e dell'art. 2 c.cons.

Per contro, la società controricorrente non avrebbe prodotto alcuna prova di segno contrario.

Con il secondo motivo, la stessa ricorrente ha sostenuto che la Corte di merito avrebbe dovuto compensare le spese di lite, derogando al criterio della soccombenza, vista la sua natura di ente para-pubblicistico ed il tipo di attività da esso svolta, e considerato che il pagamento delle spese per i giudizi intrapresi dall'Associazione si tradurrebbe, nei fatti, in un impedimento all'esercizio di quella funzione che mirava ad eliminare ostacoli, non solo di natura economica, che potevano incontrare i singoli per la tutela dei loro diritti.

4. La Suprema Corte, con la decisione in commento, ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso.

4.1. Anzitutto, i Giudici di legittimità hanno premesso che l'impugnata sentenza della Corte distrettuale non si è pronunciata sull'efficacia dell'intesa del 7 settembre 2017, «che neppure è posta a fondamento della decisione», limitandosi a dare atto dell'esistenza di due contrapposti orientamenti formatisi in seno alla giurisprudenza amministrativa.

Tale giurisprudenza, da una parte, reputa che all'intesa in questione non può ‹‹riconoscersi ex se alcuna efficacia cogente››, essendo necessario che ‹‹i suoi contenuti siano recepiti in un decreto del Ministero dell'Economia e delle finanze›››, e, dall'altra, ritiene che debba essere riconosciuta alla medesima ‹‹una certa forza vincolante per le parti che l'hanno sottoscritta, in quanto espressione di princìpi e regole comuni che in sede di Conferenza Unificata hanno trovato mediazione››; cosicché, anche se non ancora recepite in un decreto ministeriale, le previsioni dell'intesa ‹‹assumono comunque il valore di parametro di riferimento per l'esercizio da parte delle amministrazioni locali delle loro specifiche competenze, in materia di disciplina degli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi di gioco››.

4.2. Ciò premesso, ad avviso della Suprema Corte, il percorso argomentativo svolto dai Giudici di Milano conduce ad escludere la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c., che «è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest'ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c. 1  n. 5 c.p.c.) Cass. 31 agosto 2020 n. 18092, Cass. 29 maggio 2018 n. 13395)».

Difatti, i Giudici di merito, muovendo dalla considerazione che, nel caso in esame, oggetto di contestazione non è l'ordinanza sindacale in quanto tale, bensì ‹‹il mancato rispetto della stessa quale mezzo di tutela per la salute dei consumatori››, e che l'intervento dell'autorità amministrativa in materia di apertura delle sale giochi deve essere ispirato al principio di proporzionalità - che impone di adottare un provvedimento ‹‹non eccedente quanto sia opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato››, cosicché lo stesso principio risulta rispettato «se la scelta dell'amministrazione è in potenza capace di conseguire l'obiettivo e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi coinvolti» - hanno negato che i “motivi imperativi di interesse generale” che consentono limitazioni degli orari dell'attività da gioco possano essere fondati sulla mera enunciazione di tali interessi, dovendo, al contrario, essere adeguatamente provati sulla base di specifici ‹‹studi clinici›› correlati allo specifico ambito territoriale attinto dalle misure in concreto adottate.

Alla stregua di tali considerazioni entrambe le Corti di merito hanno, quindi, escluso che l'Ente ricorrente abbia assolto l'onere della prova sul medesimo incombente, considerando a tal fine non dirimenti:

  1. l'astratto riferimento al generale fenomeno del c.d. gioco d'azzardo lecito ed ai suoi effetti sociali e sanitari, perché non riscontrato da attendibili studi scientifici riferiti allo specifico ambito locale;
  2. il generico riferimento “a fatti notori”, non attinenti alla concreta situazione locale;
  3. le statistiche elaborate dall'Azienda Sanitaria di riferimento, non esattamente coincidente con lo specifico ambito comunale;
  4. l'estratto del libro “Gambling” in quanto mancante di un preciso riferimento alla città di Milano;
  5. i dati ricavati dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che riguardavano il territorio regionale nel suo complesso e non la provincia di Milano; vi) il richiamo all'‹‹indagine IPSAD››, dalla quale si evinceva solo come il gioco d'azzardo avesse costituito, negli ultimi anni, ‹‹un'importante tematica di salute pubblica››.

Dunque, secondo la Corte, «a fronte di tale puntuale apprezzamento del quadro probatorio emerso dall'istruttoria, è del tutto evidente, per un verso, che i giudici di merito hanno fatto buon governo dei criteri di ripartizione dell'onere probatorio, spettando a Codacons offrire prova della presunta lesione dei diritti dei consumatori derivante dalla contestata violazione degli orari di apertura delle sale slot, e, dall'altro, che il ricorrente, con il mezzo in esame, sollecita a questa Corte un riesame del merito, precluso in questa sede di legittimità, reiterando deduzioni difensive che sono state già adeguatamente vagliate in grado di appello, senza confrontarsi con le specifiche argomentazioni poste a fondamento del decisum».

La decisione in commento afferma, altresì, di porsi in linea con i princìpi espressi dalla giurisprudenza amministrativa che, anche di recente, ha ribadito che ‹‹l'intervento regolatorio in materia deve avvenire previo esperimento di un'istruttoria specificamente riferita al territorio comunale, anche al fine di garantire la tenuta in concreto dei superiori principi di proporzionalità e ragionevolezza dell'azione amministrativa di rango costituzionale››, anche perché ‹‹non è sufficiente il richiamo a fatti notori e affermazioni relative al fenomeno in generale, dovendo essere evidenziata una realtà particolarmente preoccupante, desumibile da una fonte certa››, dovendo sempre essere fornita ‹‹la dimostrazione della necessità sullo specifico territorio di riferimento di una maggiore tutela rispetto a quello nazionale che possa essere raggiunta con quella determinata limitazione oraria di accesso al gioco e che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indiretti, quali, ad esempio, lo spostamento della domanda verso forme di gioco illegale» (Cons.Stato 10 novembre 2023 n. 9639)».

La Suprema Corte ha quindi concluso che la sentenza impugnata si sottrae alle critiche ad essa rivolte in quanto la Corte d'appello, in esito alla valutazione degli elementi probatori acquisiti, «con motivazione esaustiva ed esente da vizi logici», ha statuito che la ricorrente si sia limitata a fornire richiami del tutto generici, senza produrre elementi di dettaglio comprovanti i paventati effetti lesivi.

4.3. Per completezza, si precisa, ancorché non oggetto del presente elaborato, che la stessa Corte ha giudicato infondato anche il secondo motivo, «considerato che la soccombenza, ai fini della regolazione delle spese, si rapporta all'esito concreto della lite e non a quello sperato o ritenuto più corretto da chi vi appare univocamente ed incontestabilmente soccombente; e, ad ogni buon conto, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. SU15 luglio 2005 n. 14989, Cass. 26 aprile 2019 n. 11329, Cass., sez. 3, 31/03/2006, n. 7607)».

La questione

L'Associazione Codacons ha denunciato con ricorso per cassazione la violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c. - rilevante ai sensi dell'art. 360 c. 1  n. 3 c.p.c. - in quanto, a suo dire, la Corte d'appello di Milano avrebbe fatto cattivo governo dei princìpi in materia di onere della prova emergenti dalla citata disposizione codicistica.

In particolare, ad avviso della ricorrente, la prospettata lesione dei diritti dei consumatori verificatasi per effetto della reiterata violazione dell'ordinanza n. 63/2014 del Sindaco di Milano e dell'art. 2 c.cons., risulterebbe provata per le seguenti ragioni:

  1. nessun rilievo dovrebbe ascriversi all'Intesa raggiunta in sede di Conferenza Unificata il 7 settembre 2017, considerato che lo stesso Consiglio di Stato ne ha escluso a più riprese la natura cogente;
  2. non sussisterebbe alcun asserito difetto probatorio in quanto l'Associazione Codacons avrebbe dato dimostrazione della propria legittimazione ad agire in giudizio a tutela dei consumatori, della condotta attuata dalla controparte (mediante apposite videoregistrazioni) e dell'illegittimità di quest'ultima, non avendo, tra l'altro, la società controricorrente fornito alcun elemento di prova di segno contrario.

La soluzione giuridica

Come esposto, la Suprema Corte, con la decisione in commento, ha ritenuto infondato il motivo di ricorso avanzato dall'Associazione Codacons, statuendo che:

  1. è da considerarsi irrilevante il riferimento all'intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 7 settembre 2017 in quanto la stessa non è stata posta a fondamento dell'impugnata decisione della Corte distrettuale, la quale si è limitata a dare atto dell'esistenza di due contrapposti orientamenti formatisi in seno alla giurisprudenza amministrativa in merito all'effettiva portata da riconoscere alla medesima;
  2. non è configurabile alcuna violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. in quanto la Corte distrettuale non ha attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.

Invero, l'Ente ricorrente ha finito per censurare la valutazione che la Corte d'appello ha svolto delle prove proposte dalle parti, come tale non sindacabile se non entro i ristretti limiti stabiliti dal nuovo art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c.

In ogni caso, ad avviso della Suprema Corte, nell'ipotesi di azione proposta ai sensi dell'art. 140 c.cons., spetta sempre a chi agisce in giudizio fornire la prova della presunta lesione dei diritti dei consumatori derivante dalla contestata violazione degli orari di esercizio dei locali dedicati al gioco lecito, dovendo essere prodotti elementi di dettaglio dei paventati effetti lesivi.

Infine, secondo la stessa Corte, l'intervento regolatorio in materia di orari di esercizio dei locali destinati al gioco lecito deve avvenire previo esperimento di un'istruttoria specificamente riferita al territorio comunale, anche al fine di garantire la tenuta in concreto dei superiori principi di proporzionalità e ragionevolezza dell'azione amministrativa, non essendo sufficiente il richiamo a fatti notori e affermazioni relative al fenomeno in generale, dovendo essere evidenziata una realtà particolarmente preoccupante, desumibile da una fonte certa. Inoltre, deve essere fornita la dimostrazione della necessità sullo specifico territorio di riferimento di una maggiore tutela rispetto a quello nazionale che possa essere raggiunta con quella determinata limitazione oraria di accesso al gioco e che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indiretti, quali, ad esempio, lo spostamento della domanda verso forme di gioco illegale.

Osservazioni

1. La decisione in commento, sia pure nel peculiare contesto di un'azione proposta da un ente rappresentativo per asserita lesione dei diritti dei consumatori e sotto la precipua angolazione del riparto dell'onere della prova, affronta la tematica, oggetto di un ampio dibattito giurisprudenziale, relativa alla legittimità delle ordinanze sindacali di regolamentazione degli orari di apertura degli esercizi di gioco lecito con vincita in denaro in funzione di prevenzione e contrasto del fenomeno del disturbo da gioco d'azzardo (DGA), comunemente denominato “ludopatia”.

Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto più volte modo di osservare che la disciplina degli orari di apertura e funzionamento degli apparecchi da gioco lecito rappresenta un “crocevia di valori” nel quale confluiscono una pluralità di interessi che devono essere adeguatamente misurati e contemperati: da un lato, le esigenze dei privati - ossia dei gestori delle predette sale - titolari di una concessione rilasciata dall'Amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia e, dall'altro lato, gli interessi pubblici e generali, tra cui quello della salute pubblica in relazione alla diffusione del fenomeno del gioco d'azzardo patologico.

L'azione regolatrice dell'amministrazione volta al contrasto della diffusione della “ludopatia” attraverso la regolamentazione dell'offerta di gioco è ispirata, quindi, ad una finalità meramente preventiva e cautelativa da attuarsi con un equo bilanciamento tra l'interesse economico dei gestori e quello generale della tutela della salute pubblica.

Il principio sotteso alla disciplina in questione è, infatti, quello di precauzione - di cui all'art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea - che impone, a fronte di effetti potenzialmente negativi di un'attività, l'obbligo di predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione, pur sempre nel rispetto del principio di proporzionalità e di contemperamento degli interessi coinvolti (cfr., tra le ultime, Cons.Stato 20 settembre 2023 n. 10574).

2. Nella fattispecie, la lesione dei diritti dei consumatori è stata fatta derivare dall'asserita reiterata violazione dell'ordinanza sindacale n. 63/2014, quest'ultima peraltro ritenuta a più riprese legittima dal TAR Lombardia (cfr., per tutte, TAR Lombardia 13 marzo 2019 n. 549, allo stato oggetto di appello al Consiglio di Stato).

Invero, secondo ormai pacifica giurisprudenza, avallata dalla Corte Costituzionale (C.Cost. 18 luglio 2014 n. 220), in forza della generale previsione dell'art. 50 c. 7 D.Lgs. 267/2000, per esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica, il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installati gli apparecchi da gioco lecito di cui all'art. 110 c. 6 RD 773/1931 (c.d. TULPS).

Infatti, come opportunamente evidenziato dal Consiglio di Stato, costituendo la citata disposizione un paradigma di norma attributiva di potere, la questione non si pone sulse” il potere esiste ma sulcome” esso viene esercitato in concreto (cfr., Cons.Stato 15 settembre 2022 n. 8014).

È altrettanto pacifico che, in materia di gioco d'azzardo e specificamente con riferimento alle conseguenze di tale attività su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, non sussiste la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare la materia in relazione alle proprie esclusive attribuzioni relative alla pubblica sicurezza ed all'ordine pubblico ai sensi dell'art. 117 c. 2 lett. h Cost., dato che - per quanto riguarda il ben diverso tema della salute pubblica, quale riferita, in particolare, al benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili - deve affermarsi la competenza ad emanare la relativa disciplina da parte dei Comuni, secondo quanto espressamente prevedono gli artt. 118 Cost. e 3 e 5 D.Lgs. n. 267/2000 (cfr., tra le ultime, TAR Emilia Romagna - Bologna 19 gennaio 2024 n. 47).

3. In data 7 settembre 2017, al fine di cercare di uniformare su tutto il territorio nazionale gli orari degli esercizi di gioco lecito, è stata raggiunta un'intesa in sede di Conferenza Unificata - nella quale, per quanto qui d'interesse, si prevede che l'orario massimo giornaliero di spegnimento degli apparecchi non possa superare le sei ore - che, tuttavia, non è stata recepita con il decreto ministeriale prescritto dall'art. 1 c. 936 L. 208/2015 (Legge di Stabilità per l'anno 2016). Il menzionato decreto stabilisce, in particolare, che in sede di Conferenza Unificata siano definiti le caratteristiche dei punti vendita ove si raccoglie il gioco pubblico, i criteri per la loro distribuzione territoriale al fine di garantire migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede e di prevenire il rischio di accesso ai minori di età.

È stato rilevato in giurisprudenza che, attraverso la previsione dell'adozione di un decreto ministeriale avente ad oggetto profili di regolamentazione del gioco pubblico, l'amministrazione statale si è attribuita un potere di indirizzo e coordinamento per aver ritenuto che in tale specifico settore (quello del gioco lecito) si incrociano materie attribuite dalla Costituzione alla competenza di diversi livelli di governo, anche regionale, ma si avverte l'esigenza di una regolamentazione unitaria; ed in effetti, accanto al tradizionale (per il settore dei giochi) riferimento all'ordine pubblico e alla pubblica fede, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato per l'art. 117 c. 2 lett. h Cost., è richiamata anche la tutela della salute, notoriamente riconducibile alla competenza concorrente in cui la Regione può legiferare nel rispetto dei princìpi fondamentali della legislazione statale (cfr., per tutte, Cons.Stato 20 ottobre 2020 n. 6331).

Invero, la suddetta intesa - peraltro considerata irrilevante ai fini del decidere dalla pronuncia in esame - è stata ritenuta non cogente dal Consiglio di Stato (cfr., tra le tante, Cons.Stato 30 giugno 2020) che, tuttavia, ha avuto cura di precisare che l'omesso recepimento ad opera del prescritto decreto ministeriale non può togliere a tale atto quel suo valore intrinseco che gli deriva dall'essere strumento consensuale, ovverosia di raccordo di potestà allocate a diversi livello di governo e, nel contempo, di sintesi di interessi eterogeni per il migliore perseguimento di obiettivi istituzionali comuni. Del resto, di tutto ciò dimostra di essere pienamente consapevole il legislatore nazionale che, con disposizioni normative successive al suo perfezionamento, ha richiamato espressamente l'intesa in questione, sebbene non formalizzata con decreto ministeriale, quale atto a cui le regioni devono conformare la propria legislazione settoriale (cfr., art. 1 c. 1049 L. 205/2017, Legge di bilancio 2018), con la conseguenza che le previsioni pattizie in parola rappresentano comunque parametri, condivisi dai vari livelli di governo rappresentati in Conferenza Unificata, di valutazione della adeguatezza e proporzionalità delle misure eventualmente adottate in materia con le ordinanze sindacali di cui all'art. 50 c. 7 D. Lgs. 267/2000 rispetto allo scopo di salvaguardare la salute dei cittadini ed, in particolare, dei minori a fronte del fenomeno del gioco d'azzardo patologico (così, sez. I, parere n. 1418/2020).

4. La Suprema Corte, dopo aver preso le mosse da quest'ultimo orientamento giurisprudenziale, ha condiviso la decisione dei Giudici d'appello, ritenendola completa nella motivazione ed immune da vizi logici, in particolare nell'aver escluso il compiuto assolvimento dell'onere della prova da parte dell'Ente ricorrente.

A tal proposito, giova nuovamente ricordare come la Corte distrettuale abbia ritenuto a tal fine non dirimenti:

  1. l'astratto riferimento al generale fenomeno del c.d. gioco d'azzardo lecito  ed ai suoi effetti sociali e sanitari, perché non riscontrato da attendibili studi scientifici riferiti allo specifico ambito locale;
  2. il generico riferimento “a fatti notori”, non attinenti alla concreta situazione locale;
  3. le statistiche elaborate dall'Azienda Sanitaria di riferimento, non esattamente coincidente con lo specifico ambito comunale;
  4. l'estratto del libro “Gambling” in quanto mancante di un preciso riferimento alla città di Milano;
  5. i dati ricavati dall'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che riguardavano la Regione Lombardia nel suo complesso e non la provincia di Milano;
  6. il richiamo all'‹‹indagine IPSAD››, dalla quale si evinceva solo come il gioco d'azzardo avesse costituito, negli ultimi anni, ‹‹un'importante tematica di salute pubblica››.

La Corte, facendo gravare sull'Associazione ricorrente l'onere di fornire la prova della presunta lesione dei diritti dei consumatori derivante dalla contestata violazione degli orari di esercizio dei locali dedicati al gioco lecito, ha poi avuto modo di ribadire il proprio consolidato orientamento secondo cui la violazione del precetto di cui all'art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni.

Viceversa, tale violazione non è predicabile qualora oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti in quanto tale valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. (cfr. Cass. 31 agosto 2020 n. 18092, Cass. 29 maggio 2018 n. 13395).

Infatti, è ius receptum che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass. 7 marzo 2018 n. 5355, Cass. 7 aprile 2017 n. 9097).

5. Ciò detto, la Suprema Corte, nella decisione in commento, sembra condividere l'orientamento da ultimo espresso dal Consiglio di Stato (Cons.Stato 10 novembre 2023 n. 9639), secondo cui l'intervento regolatorio in materia deve avvenire previo esperimento di un'istruttoria specificamente riferita al territorio comunale, anche al fine di garantire la tenuta in concreto dei superiori princìpi di proporzionalità e ragionevolezza dell'azione amministrativa di rango costituzionale.

Infatti, non è sufficiente il richiamo a fatti notori e affermazioni relative al fenomeno in generale, dovendo essere evidenziata una realtà particolarmente preoccupante, desumibile da una fonte certa, dovendo sempre essere fornita la dimostrazione della necessità sullo specifico territorio di riferimento di una maggiore tutela rispetto a quello nazionale che possa essere raggiunta con quella determinata limitazione oraria di accesso al gioco e che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indiretti, quali, ad esempio, lo spostamento della domanda verso forme di gioco illegale.

In realtà, una cospicua parte della giurisprudenza, in relazione alle limitazioni orarie all'esercizio dell'attività di gioco lecito, ritiene sempre ineludibile il preventivo esperimento di un'istruttoria specificamente riferita al territorio comunale al fine di garantire la tenuta dei superiori princìpi di proporzionalità e ragionevolezza dell'azione amministrativa, di rango costituzionale ed euro-unitario (cfr.,  Cons. Stato 18 agosto 2020 n. 1418Cons.Stato 23 gennaio 2018 n. 449TAR Lombardia - Milano 5 ottobre 2022 n. 2182TAR Lombardia - MIlano 7 marzo 2022 n. 541TAR Emilia Romagna - Bologna 20 dicembre 2021 n. 1030TAR Lombardia - Brescia 27 maggio 2021 n. 490, TAR Lombardia - Brescia 7 giugno 2021 n. 511 e n. 519, TAR Lombardia - Brescia 4 ottobre 2021 n. 837TAR Umbria 29 luglio 2020 n. 343, TAR Molise 28 aprile 2017 n. 155).

In particolare, il potere del Sindaco, in quanto limitato, sotto un profilo oggettivo, al territorio del proprio Comune, deve fondarsi su esigenze e presupposti strettamente correlati a quella realtà territoriale e ciò implica la necessità che la disposizione limitativa sia definita a seguito di un'attenta indagine sull'effettiva esistenza e sulla consistenza dell'interesse confliggente con quello del titolare delle concessioni e delle autorizzazioni necessarie all'apertura della sala da gioco; indagine, questa, che costituisce il punto di partenza per l'adozione della misura più idonea al perseguimento dell'interesse ritenuto prevalente e più proporzionata rispetto all'esigenza che l'interesse soccombente sia sacrificato in misura non eccedente rispetto a quanto necessario (così,  TAR Lombardia - MIlano 7 marzo 2022 n. 541).

Invero, lo stesso Consiglio di Stato (Cons.Stato 23 gennaio 2018 n. 449) aveva già avuto modo di stigmatizzare che i “motivi imperativi di interesse generale” - i quali, in astratto, consentono le limitazioni di orario in discorso - non possono consistere in un'apodittica e indimostrata enunciazione, ma debbono concretarsi in ragioni specifiche, da esplicitare e documentare in modo puntuale.

I “motivi imperativi di interesse generale”, frutto di una nozione progressivamente elaborata dalla Corte di Giustizia nella propria giurisprudenza relativa agli artt. 43 e 49 del Trattato, coincidono poi sostanzialmente con quelli indicati dall'art. 8 c. 1 lett. h D.Lgs. 59/2010, attuativo della Dir. 123/2006/CE (c.d. Servizi o Bolkestein) e, quindi, «l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica, l'incolumità pubblica, la sanità pubblica, la sicurezza stradale, la tutela dei lavoratori compresa la protezione sociale dei lavoratori, il mantenimento dell'equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale, la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori, l'equità delle transazioni commerciali, la lotta alla frode, la tutela dell'ambiente, incluso l'ambiente urbano, la salute degli animali, la proprietà intellettuale, la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale».

Dunque, occorre sempre un'istruttoria specifica che corrobori l'iter logico motivazionale e che approfondisca tematiche imprescindibili, quali a titolo esemplificativo: la dimostrazione tecnico-sanitaria-scientifica della dichiarata necessità sul territorio specifico di riferimento di una maggior tutela rispetto a quello nazionale, regionale o provinciale; la dimostrazione tecnico-sanitaria-scientifica che una maggiore tutela per gli utenti di quel territorio possa essere raggiunta con una limitazione di ben sedici ore di accesso al gioco; la dimostrazione tecnico-sanitaria-scientifica che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indiretti quale, ad esempio, lo spostamento della domanda verso forme di gioco illegale.

In questo senso una mera attività di caratterestatistico” svolta su un determinato territorio in relazione al fenomeno del gioco lecito non si rivela sufficiente a fondare un'istruttoria articolata e specifica, poiché produce dati insufficienti a valutare le misure adottate sotto il profilo dell'adeguatezza e proporzionalità.

Non sembra poi valere in contrario il generico riferimento al “fatto notorio” ovvero all'esistenza di una fantomatica “cifra oscura” in quanto, a ben guardare, ci troviamo al cospetto di asserzioni tautologiche ed apodittiche, oltre che a generalizzazioni aprioristiche ed astratte non fondate su dati epidemiologici e, comunque, avulse dalla concreta realtà territoriale interessata dall'intervento regolatorio.

È indispensabile, infatti, operare sempre in concreto il test di ragionevolezza e proporzionalità delle misure restrittive delle libertà economiche.

In particolare, secondo una parte della giurisprudenza, non è sufficiente il richiamo operato:

i) a «fatti notori» e «affermazioni relative al fenomeno in generale», dovendo, per converso, essere evidenziata «una realtà particolarmente preoccupante», desumibile da una «fonte certa»;

ii) ad un «trend in continuo aumento riferito alle persone che chiedono interventi per la ludopatia di cui sono affette», senza provvedere alla «puntuale localizzazione degli utenti che generano la domanda di cura» presso le strutture sanitarie pubbliche (cfr.  TAR Lombardia - Brescia n. 274/2019, TAR Lombardia - Brescia n. 930/2018).

In realtà, se è “notorio” che il disturbo da gioco d'azzardo (DGA) ben può considerarsi una patologia (sociale e/o sanitaria), non è invece affatto “notorio”, né tantomeno rientra nella “comune esperienza”, che lo stesso sia diffuso nell'ambito del territorio di un determinato Comune; così come non costituisce fatto “notorio” o di “comune esperienza” che la disciplina degli orari approntata dall'Autorità sindacale rappresenti sempre, in qualsiasi contesto territoriale, un rimedio adeguato e proporzionato al suo contenimento.

A ben guardare, il ricorso a questo commodum discessus - che esonera, di fatto, l'Amministrazione convenuta dall'assolvimento all'onere della prova sulla medesima gravante ai sensi dell'art. 2697 c.c. - finisce per non essere in linea con gli orientamenti della giurisprudenza euro-unitaria.

Infatti, se è pacifico che il giudice nazionale deve verificare se le attività criminali e fraudolente connesse ai giochi, da una parte, e la dipendenza dal gioco, dall'altra, possano costituire un problema e se un'espansione delle attività autorizzate e regolamentate risulti idonea a porre rimedio a siffatto problema (cfr., CGUE 11 settembre 2011 C-347/09, punto 66; CGUE 3 giugno 2010, C 258/08, punto 29), è altrettanto innegabile come non spetti al privato, bensì all'Autorità pubblica, dimostrare l'esistenza in concreto dei “motivi imperativi di interesse generale” idonei a consentire restrizioni all'esercizio delle libertà economiche e, in carenza di siffatti elementi di prova, non è consentito al Giudice nazionale sostituirsi alla medesima Autorità (cfr., CGUE 28 febbraio 2018 C-3/17, CGUE 14 ottobre 2004 C-36/02; CGUE 14 marzo 2000 C-54/99, punto 17; CGUE 14 dicembre 2006, C-257/05, punto 25).

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