A quale regime fiscale è assoggettabile il compenso dell’amministratore di condominio?
15 Marzo 2024
Massima Il compenso dell'amministratore di condominio è assoggettabile all'IVA, solo ove l'attività venga espletata con l'impiego di mezzi organizzati, rientrando, in tal caso, tra le prestazioni di servizi effettuate nell'esercizio di arti e professioni di cui all'art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, mentre in assenza di tale impiego - ipotesi normalmente ricorrente quando l'amministrazione riguardi uno solo o un numero limitato di condominii, costituiti da un numero ristretto di partecipanti - l'attività ricade nel rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 49 del d.P.R. n. 597/1973 e, pertanto, il relativo compenso non è assoggettabile ad IVA. Il caso Il giudizio, giunto all'esame della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, originava dalle impugnazioni, proposte un soggetto, avverso alcuni avvisi di accertamento, con cui, sulla base delle operazioni su conto corrente ed extraconto, erano stati accertati redditi da lavoro autonomo, in relazione all'attività di amministratore di quattro condominii, svolta in un arco di tempo compreso tra il gennaio 2006 e il febbraio 2012. La Commissione Tributaria Provinciale, riuniti i ricorsi, li aveva accolti, mentre la Commissione Tributaria Regionale, adita da entrambe le parti, riuniti gli appelli, aveva accolto parzialmente i ricorsi riuniti del contribuente, limitatamente al reddito desunto dai prelevamenti di conto corrente bancario e alla parte della pretesa tributaria concernente l'Irap. In particolare, i giudici di secondo grado - per quel che qui rileva - avevano affermato che: a) era incontroversa la circostanza che il ricorrente avesse esercitato professionalmente l'attività di amministratore di condominio, poiché era in discussione solo se tale attività fosse stata svolta in favore di uno o più complessi condominiali; b) l'attività svolta dal contribuente doveva ritenersi soggetta ad IVA, giacché l'art. 1 del d.P.R. n. 633/1972 stabiliva che “l'imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese o nell'esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate”; l'art. 3 sanciva che “costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte”, e l'art. 5 specificava che, “per esercizio di arti e professioni, si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio in forma associata delle attività stesse”. Il contribuente proponeva, quindi, ricorso per cassazione. La questione Si trattava di verificare se il giudice del gravame avesse errato nel ritenere che l’attività svolta dal ricorrente fosse soggetta ad IVA, alla luce di quanto in subiecta materia precisato dalla stessa Amministrazione finanziaria negli scritti difensivi del primo grado di giudizio e alla luce della sentenze di legittimità e di merito anch'esse riproposte in sede di appello, in forza delle quali la soggettività IVA, per esplicita ed inequivoca volontà legislativa, presupponeva sempre un'attività professionale “abituale” e non già meramente occasionale per come effettivamente svolta in favore di un solo condominio, posto che, con riferimento agli altri tre condominii, l’attività in questione era stata esercitata solo per pochi giorni. Le soluzioni giuridiche I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale doglianza infondata. Invero, richiamando specificamente l'art. 5 del d.P.R. n. 633/1972, il giudice di secondo grado aveva affermato che l'attività di amministratore di condominio svolta dal ricorrente fosse soggetta ad IVA, perché era esercitata per professione abituale, anche se non era svolta in forma esclusiva (il ricorrente aveva svolto, infatti, l'attività di amministratore di quattro condomini in un arco di tempo compreso tra gennaio 2006 e febbraio 2012). Ciò, peraltro, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, la quale aveva chiarito che, in tema di IVA, il compenso dell'amministratore di condominio non è assoggettabile ad imposta, ai sensi dell'art. 5, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, soltanto se l'attività venga espletata senza l'impiego di mezzi organizzati, rientrando tale attività, altrimenti, tra le prestazioni di servizi espletate nell'esercizio di arti e professioni (Cass. civ., sez. V, 1° giugno 2007, n. 12916; Cass. civ., sez. V, 24 luglio 1996, n. 6671). Più in particolare, tenuto conto dell'art. 49 del d.P.R. n. 597/1973, richiamato dall'art. 5 del d.P.R. 633/1972, un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è configurabile se: a) l'attività prestata hacontenuto intrinsecamente artistico o professionale; b) è svolta nell'àmbito di un rapporto unitario con il soggetto che la richiede; c) viene prestata senza vincolo di subordinazione; d) viene prestata senza impiego di mezzi organizzati da parte del collaboratore; e) è compensata con una retribuzione periodica prestabilita. Si tratta di requisiti che sono tutti riscontrabili nell'attività di amministratore di condominio, consistente - come si ricava dagli artt. 1130 e 1131 c.c. concernenti le sue attribuzioni - nell'eseguire le deliberazioni dell'assemblea dei condomini e curare l'osservanza del regolamento di condominio, nel disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini, nel riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni, nel compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio; inoltre, nei limiti di tali attribuzioni o dei maggiori poteri eventualmente conferiti dal regolamento di condominio o dall'assemblea, egli ha la rappresentanza dei condomini e può stare in giudizio sia per essi contro i terzi sia contro alcuno di essi per tutti gli altri. Si tratta, per un verso, di attività intellettuale e tecnica e non meramente materiale, alla quale può pertanto, essere riconosciuto contenuto intrinsecamente professionale (cioè il contenuto proprio di una professione intellettuale), che viene prestata nell'àmbito di un rapporto unitario e continuativo con il soggetto che la richiede, il condominio o - se non si voglia ammettere la soggettività del condominio - il gruppo dei condomini, traducendosi in una serie di prestazioni protratte nel tempo, finalizzate alla gestione delle cose comuni, effettuate da un soggetto che è organo del condominio, agendo questo tramite il suo amministratore; per altro verso, di attività svolta senza vincolo di subordinazione, non essendo l'amministratore subordinato al potere disciplinare ed a quello direttivo del gruppo dei condomini, avendo, con riferimento a quest'ultimo, accanto all'obbligo di eseguire le deliberazioni dell'assemblea, anche poteri decisionali autonomi seppure nell'àmbito dell'amministrazione ordinario (come può argomentarsi a contrario dall'art. 1135, ultimo comma, c.c.); e, per altro verso ancora, di attività che non richiede, di per sé, l'impiego di mezzi organizzati da parte del prestatore, non imponendo il suo espletamento l'utilizzazione di particolari strumenti e di attività che, qualora l'assemblea non abbia stabilito che l'ufficio di amministratore sia gratuito, dà diritto a compenso, che viene riscosso periodicamente con la riscossione dei contributi corrisposti dai singoli condomini, essendo in questi incluso. Nello specifico, il requisito di cui alla lett. d), costituito dall'assenza dell'impiego di mezzi organizzati, non costituendo un carattere necessario dell'attività in questione, potrebbe anche mancare; tuttavia, quando un soggetto si occupi dell'amministrazione di una pluralità di condomini, costituiti da un elevato numero di partecipanti, non è pensabile che l'attività possa essere espletata senza l'utilizzazione combinata di una pluralità di mezzi (calcolatrici, fotocopiatrici, computers, schedari, ecc.) e, quindi, senza carattere di professionalità o, per lo meno, senza un congruente apparato organizzativo. In conclusione - ad avviso degli ermellini - due sono i casi che si possono verificare: 1) in uno, l'attività in questione viene prestata senza impiego di mezzi organizzati - il che normalmente accade quando l'amministrazione riguardi un solo condominio o un numero limitato di condominii costituiti da un numero ristretto di partecipanti - e, in tal caso, inerendo ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, in virtù del disposto del comma 2 dell'art. 5 del d.P.R. n. 633/1972, non si considera svolta nell'esercizio di arti e professioni, con la conseguenza che il relativo compenso non è assoggettabile ad IVA; 2) nell'altro caso - che è stato ritenuto sussistente nella vicenda in esame - l'attività de qua viene espletata con impiego di mezzi organizzati da parte dell'amministratore, e, in tal caso, non potendo essere inclusa tra le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 49 del d.P.R. n. 597/1973, rientra tra le prestazioni di servizi effettuate nell'esercizio di arti e professioni, con la conseguenza, in particolare, della assoggettabilità del relativo compenso ad IVA. Osservazioni Soffermando l’esame sulla prima figura, si osserva che l’ipotesi del collaboratore coordinato e continuativo trova applicazione per la persona fisica che, nel rispetto dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge, intende svolgere l’amministrazione di un condominio. Il collaboratore coordinato e continuativo (c.d. co.co.co.) è anche detto lavoratore “parasubordinato”, in quanto rappresenta una categoria intermedia fra il lavoro autonomo ed il lavoro dipendente. Tale rapporto prevede una prestazione lavorativa in piena autonomia operativa, escludendo ogni vincolo di subordinazione, ma resta nel quadro di un rapporto unitario e continuativo con il committente del lavoro. Pertanto, è funzionalmente inserito nell’organizzazione aziendale, ed in questo caso dell’ente, e può operare all’interno del ciclo produttivo, in questo caso gestionale, del committente, al quale viene riconosciuto un potere di coordinamento dell’attività del lavoratore con le esigenze dell’organizzazione aziendale/ente (disciplinato dal codice civile e dall’assemblea dei proprietari). Dunque, i requisiti tipici della collaborazione coordinata e continuativa sono: a) l’autonomia: il collaboratore decide autonomamente tempi e modalità di esecuzione della prestazione affidata, non impiegando propri mezzi organizzati, ma, ove occorra, quelli del committente; b) il potere di coordinamento: correlato con le esigenze dell’organizzazione aziendale/ente esercitato dal committente, quale unico limite all’autonomia operativa del collaboratore; esso non può, in ogni caso, essere tale da pregiudicare l’autonomia operativa e di scelta del collaboratore nell’esecuzione della prestazione, autonomia che continuerà, quindi, ad esplicarsi all’interno delle pattuizioni convenute; c) la prevalente personalità della prestazione; d) la continuità: da ravvisarsi non tanto e non solo nella reiterazione degli adempimenti, che potrebbe anche mancare in virtù delle peculiarità specifiche dell’attività lavorativa, quanto nella permanenza nel tempo del vincolo che lega le parti contraenti; in mancanza di tale requisito, e del correlato potere di coordinamento e del vincolo funzionale, si delineerebbe, invece, la fattispecie della prestazione occasionale; e) il contenuto artistico-professionale dell’attività (fino al 31 dicembre 2000): questo requisito, presente nella vecchia stesura dell’art. 49, comma 2, lett. a), del T.U.I.R., è stato abolito, a decorrere dal 1° gennaio 2001, dall’art. 34 della l. n. 342/2000, per cui, da tale data, anche le attività manuali ed operative possono essere oggetto di rapporti di co.co.co., purché il rapporto lavorativo conservi il suo carattere autonomo e sussistano, pertanto, tutti gli altri requisiti tipici della categoria; f) la non attrazione dell’attività lavorativa nell’oggetto dell’eventuale professione svolta dal contribuente; g) la retribuzione: che deve essere corrisposta in forma periodica e prestabilita. Ai fini fiscali, i redditi percepiti dai co.co.co. sono stati considerati redditi di lavoro autonomo fino al 31 dicembre 2000, e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente dal 1° gennaio 2001. La riqualificazione fiscale dei redditi di collaborazione ha comportato, a decorrere da tale data, l’applicazione di tutti gli istituti tipici del rapporto di lavoro dipendente, quali, ad esempio, le diverse norme di definizione della base imponibile (art. 51 del T.U.I.R. ex art. 48), il principio di cassa allargato, ecc. E’ importante, però, precisare che l’assimilazione ai redditi di lavoro dipendente ha operato solo ai fini fiscali creando spesso confusione sul rapporto civilistico; il regime giuridico da applicare ai rapporti di co.co.co. è sempre rimasto, invece, quello del lavoro autonomo, sicché, ai suddetti rapporti, non è applicabile il principio di automaticità delle prestazioni ex art. 2116 c.c. Dal 2016, tutti i rapporti di collaborazione, che consistono in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative, sono disciplinati secondo le regole del lavoro subordinato, in forza di quanto prevede il decreto di riordino dei contratti, attuativo del c.d. Jobs Act. Stabilita una fase transitoria durante la quale è previsto che i contratti in corso proseguano fino alla scadenza, i nuovi contratti potranno essere stipulati sulla base dell’art. 409 c.p.c.; in entrambi i casi, il datore di lavoro, dal 1º gennaio 2016, dovrà verificare la loro compatibilità alle nuove regole, considerando che, qualora dovesse sussistere l’etero-organizzazione, si applicherà la disciplina del lavoro subordinato. Non è il caso, però, dell’amministratore di condominio, in quanto la prestazione non ha solo ed esclusivamente il carattere personale e continuativo, aggiungendo, inoltre, che la figura di componente dell’organo amministrativo è rimasta, per espressa previsione normativa, tra le figure classificabili nelle co.co.co. definite “residuali”. Passando in rassegna l’altra figura, ossia al titolare di partita IVA, va ricordato che la partita IVA è uno strumento di identificazione fiscale per coloro che, in via abituale, svolgono l’attività di cessione di beni e prestazioni di servizi, compresi i lavoratori autonomi. Sono “soggetti passivi” IVA i soggetti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione nel territorio dello Stato o vi istituiscono una stabile organizzazione ai sensi degli artt. 5 e 25 del d.p.r. n. 633/1972. Al fine di contrastare il fenomeno dell’utilizzo delle partite Iva per occultare rapporti di lavoro subordinato, la riforma del lavoro, attuata con la l. n. 92/2012 (c.d. legge Fornero), ha introdotto una presunzione in forza della quale le prestazioni rese dai titolari di partita Iva, nel caso vengano effettuate ad un solo committente e non abbiano i c.d. requisiti di genuinità, sono considerate prestazioni di lavoro subordinato. Si considera “genuino” il rapporto quando abbia almeno una delle seguenti caratteristiche: 1) è altamente qualificato, in quanto svolto da persone con competenze teoriche e/o tecnico-pratiche di grado elevato acquisite con percorsi formativi specifici o attraverso rilevanti esperienze maturate; 2) è svolto nell’esercizio di attività professionale, per il quale svolgimento è prevista l’iscrizione in appositi albi, ruoli o elenchi professionali; 3) comporta un reddito minimo annuo esclusivamente da lavoro autonomo, almeno pari a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi dovuti da artigiani e commercianti. Riferimenti Marostica, Osservazioni in tema di compenso dell'amministratore di condominio, in Arch. loc. e cond., 2019, 480; Barraco, Co.co.co. tra subordinazione e autonomia, in Dir. e prat. lav., 2018, 1855; Tortorici, Il compenso dell'amministratore di condominio, in Amministr. immobili, 2017, fasc. 211, 36; Avigliano, Compenso dell'amministratore di condominio, in Ventiquattrore avvocato, 2016, fasc. 1, 25; Stancati, Profili tributari della riforma delle collaborazioni coordinate e continuative, in Corr. trib., 2016, 221; Celeste - Gerosa - Pazonzi, Contabilità, fisco e rapporti di lavoro, in Il nuovo condominio, Milano, 2015, 233; Gambini, Il compenso dell'amministratore condominiale, in Arch. loc. e cond., 2015, 370; Salciarini, Compenso e attività straordinarie dell'amministratore di condominio, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 10, 33; De Tilla, Sul compenso dell'amministratore, in Rass. loc. e cond., 2003, 599; Castellari, Attività professionale associata e collaborazione coordinata e continuativa ai fini Iva, in Corr. trib., 1991, 2893. |