Anche la domanda di mediazione vale come richiesta di adempimento ante causam al cessionario ai fini della responsabilità sussidiaria del cedente

22 Marzo 2024

In tema di cessione del contratto di locazione e di responsabilità sussidiaria del cedente in caso di inadempimento del cessionario, il Supremo Collegio, rimproverando alla Corte di merito di aver richiamato astrattamente i principi di diritto in sede di interpretazione dell'art. 36 della l. n. 392/1978, ma di non averli applicati correttamente al caso di specie, ha esaminato un profilo, mai scrutinato sinora, in cui, prima dell'instaurazione del giudizio di merito, il locatore ceduto aveva comunicato a tutte le controparti di aver depositato istanza di mediazione, ed ha ritenuto che tale iniziativa valesse come atto di messa in mora al fine di far scattare tale responsabilità e, quindi, come attività stragiudiziale, sub specie di richiesta di adempimento nei confronti del debitore cessionario, concretizzante il beneficium ordinis contemplato dalla legge.

Massima

In tema di cessione del contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo, unitamente al trasferimento d'azienda, ai fini del rispetto del beneficium ordinis previsto dall'art. 36 della l. n. 392/1978, ciò che rileva è l'inadempimento del cessionario/conduttore che, da parte del locatore, deve essere fatto constatare con un autonomo atto, prima di rivolgersi al cedente e di esperire l'azione giudiziale; tale atto può essere anche costituito dalla domanda di mediazione, o dalla richiesta di partecipazione alla mediazione, estese - in funzione del successivo giudizio - anche al cessionario, atteso che una simile iniziativa, per le sue caratteristiche funzionali, ben può essere considerata come una richiesta di adempimento ante causam rivolta al cessionario.

Il caso

Per quel che qui rileva, il Tribunale aveva statuito che, in caso di mancata liberazione del cedente, per tutte le azioni attinenti alla prosecuzione o all'estinzione del rapporto locatizio, permaneva la legittimazione passiva dell'originario conduttore.

Quanto alla responsabilità del cedente, si rammentava che, da ultimo, la Suprema Corte avevano ritenuto applicabile il principio della responsabilità sussidiaria all'interno dei rapporti tra i coobbligati, sia pure sotto il limitato profilo del beneficium ordinis, attraverso una preventiva richiesta di adempimento al cessionario, oppure attraverso la semplice modalità della messa in mora.

Applicando i suesposti principi al caso di specie - secondo il giudice adìto - ne discendeva la responsabilità dell'originario conduttore per i canoni di locazione non pagati anche per il periodo successivo alla cessione del ramo di azienda e del contratto di locazione, non essendo stato liberato dal locatore, che ne aveva ricevuto formale comunicazione.

Risultava, poi, incontestato l'inadempimento all'obbligo di pagamento dei canoni di locazione da parte del conduttore cessionario, il quale, pur non avendo ricevuto alcuna formale richiesta di adempimento o di messa in mora da parte del locatore prima dell'introduzione del presente giudizio, aveva manifestato, sin da subito, con l'introduzione del procedimento di mediazione, la volontà di non adempiere - come emergeva dal verbale negativo di mediazione - con conseguente maturarsi dell'inadempimento di quest'ultimo.

La Corte d'Appello aveva, invece, integralmente riformato la decisione sotto tali profili, espressamente affermando che non fosse sufficiente, al fine del rispetto del beneficium ordinis, la richiesta inviata per la mediazione obbligatoria prodromica alla causa, dal momento che “tale atto non era equipollente a una (preventiva) messa in mora”.

Ammesso e non concesso che una comunicazione indirizzata in via immediata non al debitore, ma all'Organismo di mediazione, potesse dirsi comunque utile ai presenti fini, era dirimente considerare - ad avviso del giudice distrettuale - che, con la richiesta di mediazione, il creditore non intimava affatto al debitore di adempiere, ma, proprio per la natura dell'atto, riservava al successivo eventuale giudizio ogni richiesta.

Al massimo, cioè, la richiesta di mediazione manifestava al debitore che la sua controparte vantava una pretesa nei suoi confronti e, ove la mediazione non avesse buon esito, era intenzionata ad agire in giudizio, ma, di certo, non costituiva un'intimazione immediata di adempimento, essendo ciò intrinsecamente in contrasto con la funzione dell'atto, che era quello di avviare una mediazione.

D'altra parte - ad avviso della Corte territoriale - la messa in mora, pur se a forma libera, doveva manifestare l'incondizionata volontà del creditore di pretendere l'immediato adempimento; in proposito, veniva richiama la giurisprudenza per cui la costituzione in mora del debitore, anche al fine dell'interruzione della prescrizione, postulava l'estrinsecazione della pretesa creditoria, con richiesta di adempimento, e, pertanto, non poteva essere ravvisata in una generica riserva di far valere il diritto o di agire a sua tutela in un momento successivo; parimenti, non risultavano idonee alla messa in mora semplici sollecitazioni prive del carattere di intimazione e dell'espressa richiesta di adempimento al debitore.

Sarebbe stato inutile obiettare - aggiungeva la Corte d'Appello - che l'art. 5, comma 6, primo periodo, del d.lgs. n. 28/2010 stabiliva che, “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”, perché la peculiare parificazione doveva considerarsi limitata, così come la legge specifica, ai soli fini dell'interruzione della prescrizione; anche perché, se poi si opinasse diversamente, si dovrebbe allora, per esser conseguenti, operare una parificazione totale della domanda di mediazione a quella giudiziale, con il risultato, comunque favorevole alla tesi avversa, che, nel caso di specie, sarebbe mancata un'intimazione al debitore principale precedente all'avvio della causa, con mancato rispetto del beneficium ordinis.

La Corte territoriale, pertanto, concludeva nel senso che, ricevuta da parte dell'originario conduttore la comunicazione dell'avvenuta cessione, il locatore, prima di convenirla in giudizio per far valere la sua responsabilità sussidiaria rispetto ad inadempimenti interamente attribuibili al cessionario, avrebbe dovuto mettere in mora quest'ultimo.

Il locatore soccombente proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se la Corte d'Appello aveva errato nel ritenere che il locatore ceduto non avesse preventivamente cercato di ottenere l'adempimento dall'ultimo cessionario, considerando che lo stesso locatore, prima di agire contro il conduttore cedente, aveva inviato al suddetto cessionario l'invito alla mediazione obbligatoria prodromica alla causa, e, dunque, prima di convenire in giudizio il cedente, aveva preventivamente tentato di ottenere il pagamento da tutti i cessionari intermedi.

Le soluzioni giuridiche

Il motivo di gravame è ritenuto fondato dai giudici di Piazza Cavour.

Innanzitutto, si rileva, per un verso, la Corte d'Appello sostanzialmente non ha disconosciuto l'esistenza del credito del locatore e che, per altro verso, era cosa giudicata interna, formatasi per effetto della mancata impugnazione, che la mediazione fosse stata estesa all'ultimo cessionario, quello nei cui riguardi doveva rivolgersi la richiesta di pagamento.

Ciò posto, è errato quanto affermava il giudice distrettuale circa l'impossibilità di considerare la richiesta di mediazione, come attività stragiudiziale, sub specie di richiesta di adempimento.

In disparte il rilievo - puramente formalistico ed affatto decisivo - per cui la domanda di mediazione non è rivolta direttamente al debitore ma all'Organismo di mediazione, le argomentazioni della Corte di merito per cui con la domanda di mediazione il creditore “non intima affatto di adempiere” sono immotivate ed apodittiche, a fronte della previsione dell'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 28/2010, che stabilisce che la domanda di mediazione è presentata mediante deposito (presso un Organismo di mediazione) di un'istanza che deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa; tale previsione va letta in combinato disposto con la normativa dettata dall'art. 5, comma 1-bis in tema di mediazione obbligatoria, il quale prevede uno stringente collegamento tra il processo civile (“azione”) e la preventiva mediazione.

La ratio di tale previsione è quella di ottenere, in caso di eventuale successivo giudizio, una simmetria tra la disposizione richiamata (art. 4, comma 2, d.lgs. 28/2010) e l'art. 125 c.p.c., circa il contenuto degli atti processuali, sì da garantire che quanto sottoposto all'organismo di mediazione trovi corrispondenza in quanto successivamente portato alla cognizione del giudice.

E' pacifico, dunque, che l'istanza di mediazione debba avere gli stessi elementi (parti, oggetto e ragioni), riproposti in sede processuale (personae, petitum e causa petendi dell'art. 125 c.p.c.), e questo al fine di rendere effettiva la mediazione, per cui la parte chiamata deve essere messa in condizione di conoscere tutte le questioni, nel loro nucleo essenziale, costitutive della pretesa dell'altra parte.

In questo contesto, dunque, non è ragionevolmente possibile escludere che la domanda di mediazione non possa anche rivestire i presupposti dell'intimazione ad adempiere; se la mediazione è finalizzata alla definizione della controversia in via conciliativa, deflazionando il contenzioso ordinario, per altro verso, la medesima costituisce condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale: pertanto, l'istanza di mediazione deve contenere quel nucleo indefettibile di elementi e di contenuto, tale da evidenziare la pretesa su cui la mediazione medesima possa essere utilmente esperita o, in caso contrario, che costituirà il fondamento ed il contenuto della futura iniziativa giudiziale, e per questo, dunque, non può non far riferimento alla pretesa creditoria, da un lato, ed all'inadempimento, aldilà del mero ritardo, dall'altro.

Anche l'ulteriore argomento formulato dalla Corte territoriale e fondato sul disposto del comma 6 dell'art. 5 d.lgs. 28/2010 non viene condiviso da parte degli ermellini.

La citata disposizione prevede, in particolare, che: “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all'articolo 11 presso la segreteria dell'organismo”.

Orbene, al contrario di quanto sostiene la Corte territoriale, proprio il principio espresso dal citato art. 5, comma 6, primo periodo, attribuendo alla domanda di mediazione effetti interruttivi della prescrizione a somiglianza della proposizione della domanda giudiziale, implica, a maggior ragione, che l'attivazione della mediazione non possa che considerarsi come richiesta di adempimento all'ultimo cessionario.

Il ragionamento svolto, secondo cui la parificazione tra istanza di mediazione e domanda giudiziale sarebbe limitata ai soli fini dell'interruzione della prescrizione, non considera, infatti, che la previsione del citato art. 5, comma 6, d.lgs. 28/2010, lungi dall'essere letta ed interpretata in maniera puramente letterale, va considerata sotto un profilo sistematico.

E sotto tale profilo deve essere rilevato che, con questa disposizione, il legislatore si è fatto carico dell'evenienza per cui colui che esperisce e coltiva un percorso di mediazione non può essere costretto a subire gli effetti del decorso della prescrizione.

D'altronde, l'iniziativa di chi va precedentemente in mediazione è vista con favore, dal momento che, come si desume dall'art. 8, comma 4-bis, del d.lgs. n. 28/2010 - a norma del quale “Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall'art. 5, non ha partecipato al procedimento [di mediazione] senza giustificato motivo al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio” - è ormai considerato principio immanente dell'ordinamento giuridico che la partecipazione alla mediazione è un valore in sé, a prescindere dal merito, e quindi dal convincimento di non dover incorrere nella soccombenza.

Posto che la domanda di mediazione precede necessariamente la domanda giudiziale, il legislatore ha optato, a scanso di dubbi, per parificarla espressamente alla domanda giudiziale ai fini dell'interruzione del decorso del termine di prescrizione.

Osservazioni

In quest'ordine di concetti, si osserva che del tutto formalistico e privo di pregio è l'assunto secondo cui, in tal modo, si equiparerebbe totalmente la richiesta di mediazione alla domanda giudiziale, con la conseguenza che mancherebbe l'essersi richiesto il pagamento all'ultimo cessionario prima di compulsare gli altri, in quanto il pagamento risulterebbe richiesto a tutti i cedenti e cessionari, con conseguente mancato rispetto del beneficium ordinis.

La domanda di mediazione, per la sua specifica funzione di giustizia complementare in funzione deflattiva, collegata al solo eventuale futuro giudizio di merito, viene inviata ante causam e, nell'esporre la pretesa giuridica di cui si è titolari e la relativa esigenza di tutela, anzitutto al fine di trovare un possibile accordo conciliativo tra le parti, contiene naturalmente quella richiesta di adempimento che, pur nella sua forma più elementare, vale ad escludere il mero ritardo ed è idonea a far constare l'inadempimento del soggetto obbligato.

Nel caso di specie - come, peraltro, sottolineato dal ricorrente - non si voleva equiparare l'invito a partecipare al procedimento di mediazione ad una formale messa in mora, tuttavia, non poteva certo ritenersi che, prima di convenire in giudizio il conduttore cedente, il locatore ceduto non avesse preventivamente tentato di ottenere il pagamento dai cessionari intermedi, conformandosi, dunque, pienamente al dettato normativo di cui all'art. 36 della l. n. 392/1978.

Risultava, inoltre, illogico che il giudice distrettuale avesse rigettato la domanda del locatore verso il cedente, affermando che il primo non avrebbe tentato di ottenere l'adempimento dei cessionari intermedi e giustificando tale rilievo sulla pretesa non equipollenza tra domanda di mediazione e messa in mora.

A ben vedere, l'impugnata sentenza svolgeva un'articolata - e condivisibile - premessa, richiamando l'orientamento dei magistrati del Palazzaccio, secondo i quali ciò che conta, ai fini del rispetto del beneficium ordinis, non è la mora in sé del cessionario, che si produce ex re allo scadere del termine per il pagamento della rata di canone - Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2007 n. 5836; Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2004, n. 25853; Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1986, n. 7628 - ma l'inadempimento vero e proprio, che occorre dunque constatare, aldilà del mero ritardo, con un autonomo atto, ancorché nelle semplici forme dell'intimazione stragiudiziale, che non può che essere anteriore all'azione giudiziale (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1433).

In ogni caso, si è già avuto modo di affermare che la messa in mora non richiede formule sacramentali, né di particolari adempimenti, per cui non è soggetta a rigore di forme, all'infuori della scrittura, occorrendo soltanto che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.

Sulla base di tali principi, perché un atto possa valere come costituzione in mora, deve contenere unicamente la chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), nonché l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto nei confronti del soggetto indicato (elemento oggettivo).

Ebbene, nel caso di specie, il locatore, prima di intraprendere il giudizio ex art. 447-bis c.p.c., aveva tentato di ottenere l'adempimento da parte di tutti cessionari, e dunque, in applicazione del disposto di cui al citato art. 36 della l. n. 392/1978.

Il ragionamento della Corte territoriale sul beneficium ordinis non considerava che tale beneficio implicasse soltanto che, prima dell'esercizio dell'azione contro il cedente e, quindi contro la platea dei cedenti e cessionari, ci si dovesse rivolgere stragiudizialmente all'ultimo cessionario.

In quest'ottica, l'attività mediatoria, pur coinvolgente tutti i soggetti coinvolti nelle cessioni a catena del contratto di locazione, non costituiva, quindi, esercizio dell'azione giudiziale contro il cedente originario ed i successivi cessionari e cedenti anteriori all'ultimo cessionario.

Peraltro, la possibile funzione della domanda di mediazione di far constare ante causam l'inadempimento del debitore risultava vieppiù evidente se si considerava che, nel caso di specie, i destinatari della convocazione in mediazione avevano manifestato la volontà di non adempiere, come risultava dal verbale negativo di mediazione, per cui si era maturato così il loro inadempimento, in forza dell'espresso disposto dell'art. 1219, comma 2, n. 2), c.c., in forza del quale non è necessaria la messa in mora del debitore allorquando lo stesso avesse dichiarato per iscritto di non voler eseguire l'obbligazione.

Riferimenti

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