Le clausole derogatorie delle norme imperative della legge sull’equo canone nelle c.d. grandi locazioni commerciali

02 Aprile 2024

Intervenendo per la prima volta in una fattispecie rientrante nelle c.d. grandi locazioni commerciali, il Supremo Collegio ha chiarito che, in forza dell'ultimo comma dell'art. 79 della l. n. 392/1978 (introdotto dall'art. 18 del d.l. n. 133/2014, convertito nella l. n. 164/2014), possono essere inserite clausole derogative alle norme imperative della legge sull'equo canone, per cui sono oggetto di libera contrattazione tra le parti le clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazione, recesso per gravi motivi, indennità per fine locazione, indicizzazione o aumenti del canone, atteso che, se il canone annualmente pattuito risulta superiore a € 250.000,00, la posizione delle parti non soffre gli squilibri che il legislatore ha ritenuto tipicamente sussistenti riguardo ai contratti stipulati per canoni inferiori (nella specie, sono state considerate lecite le clausole di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria che superavano i limiti quantitativi previsti dall'art. 32 della medesima legge).

Massima

In base al principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ancorata ad elementi predeterminati, idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale, salvo che risulti che i contraenti abbiano, in realtà, perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978.

Il caso

Il giudizio, giunto all'esame della Suprema Corte, originava da un ricorso ex art. 447-bis c.p.c. proposto da un grande gruppo alberghiero, il quale, premesso di aver condotto in locazione un prestigioso hotel di Milano, conveniva in giudizio il locatore al fine di far accertare la nullità, per contrasto con l'art. 79 della l. n. 392/1978, della scrittura privata inter partes, con cui - a suo dire - sarebbe stato illegittimamente aumentato il canone originariamente pattuito, chiedendo la condanna dello stesso locatore a restituire al conduttore gli importi medio tempore pagati in più rispetto a quanto originariamente dovuto a titolo di canone di locazione, a fronte di quanto a suo tempo previsto nell'originario contratto di locazione (e, in particolare, quanto percepito dal proprietario dell'immobile a titolo di maggiorazione del canone, per l'applicazione del 25% dell'incremento annuale Istat, eccedente la soglia massima consentita del 75% dell'incremento annuale Istat di cui all'art. 32 della l. n. 392/1978).

Resisteva il locatore, deducendo che il nuovo canone era stato pattuito al fine di riequilibrare il sinallagma contrattuale, alterato dagli ingenti investimenti che lo stesso locatore, in forza di una scrittura coeva, aveva sostenuto per finanziare l'esecuzione di lavori di miglioria dell'hotel, congiuntamente individuati dalle parti.

Il Tribunale - per quel che rileva queste brevi note - accoglieva la domanda di nullità dell'accordo integrativo, limitatamente alla clausola che prevedeva l'applicazione dell'adeguamento Istat oltre il 75%, e dichiarava, però, inammissibile la domanda (considerata “nuova”) di ripetizione di quanto asseritamente versato in eccesso in caso di validità del suddetto accordo integrativo.

La Corte d'Appello rigettava il gravame proposto dal conduttore, il quale proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso di specie, il giudice distrettuale avesse violato il disposto dell'art. 79 della l. n. 392/1978, nella parte aveva ritenuto “valido e giustificato” l'aumento del canone, alla luce della scrittura inter partes, per riequilibrio del sinallagma, in ragione dell'esecuzione delle “migliorie”, senza accertare la sussistenza dei relativi requisiti, inclusi quelli di oggettività e predeterminazione ex ante dell'aumento (e ciò stando alla motivazione dell'ordinanza in commento che, in precedenza, dava atto che l'accordo integrativo in esame era stato, invece, dichiarato “nullo” proprio per violazione dell'art. 32 della stessa legge).

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale doglianza (oltre che inammissibile, anche) infondata.

Invero, secondo l'orientamento prevalente, la maggiorazione del canone in costanza di rapporto non incorre nella nullità ex art. 79 della l. n. 392/1978 ogniqualvolta essa sia “collegata sinallagmaticamente all'ampliamento della controprestazione” (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2009, n. 4040), e il patto di aumento sia “ancorato a elementi oggettivi predeterminati, idonei a influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale” (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2015, n. 5849).

Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, risulta legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ancorata, infine, ad elementi predeterminati, a meno che non risulti una sottostante volontà delle parti volta, in realtà, a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo così i limiti quantitativi posti dalla legge c.d. sull'equo canone (v. Cass. n. 4933/2015, che, per escludere la nullità di cui all'art. 79 cit., richiama proprio l'esempio dei lavori di ristrutturazione dell'immobile; v. anche, sotto il profilo sistematico, la recente Cass. n. 23986/2019, che ha legittimato il c.d. canone a scaletta nelle locazioni ad uso commerciale).

La sentenza impugnata aveva affermato che i patti di aumento del canone in corso di rapporto erano “nulli solo ove l'oggetto della locazione fosse rimasto invariato, diversamente l'aumento del canone configurandosi come strumento per ristabilire l'equilibrio sinallagmatico delle prestazioni”, in tal modo applicando l'insegnamento dei giudici di legittimità, secondo cui la maggiorazione del canone in costanza di rapporto non incorre nella nullità ex art. 79 citato ogniqualvolta essa sia “collegata sinallagmaticamente all'ampliamento della controprestazione” (Cass. n. 4040/2009, cit.), nonché quando il patto di aumento sia “ancorato a elementi oggettivi predeterminati, idonei a influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale” (Cass. n. 4933/2015, cit.).

La Corte territoriale, infatti, aveva accertato - con valutazione non sindacabile in sede di legittimità - l'alterazione del sinallagma in conseguenza dei lavori di miglioria eseguiti a cura del conduttore, ma a spese del locatore, i quali “ben potevano qualificarsi come di ristrutturazione integrale, che avevano conferito all'immobile una diversa fisionomia, tale da trasformare un albergo non solo deteriorato, ma anche antiquato e obsoleto, in una struttura moderna ed evoluta”, e che erano stati “tali da modificare profondamente le caratteristiche della cosa locata, giustificando quindi la variazione della controprestazione a favore del locatore”.

A ciò si aggiunga che lo stesso giudice distrettuale aveva analiticamente rilevato, con motivazione scevra da vizi logico-giuridici, che la legittimità dell'accordo integrativo non poteva essere esclusa dall'originaria pattuizione del canone in misura proporzionale ai ricavi, dal momento che “le opere di ristrutturazione erano state effettuate sulla base di progetti predisposti dal conduttore ed a cura dello stesso, così da non dare al locatore (peraltro, estraneo al settore alberghiero) alcuna garanzia sull'adeguatezza di un corrispettivo ancora fondato su una compartecipazione al rischio imprenditoriale del conduttore”.

A livello sistematico, gli ermellini - premesso che la nullità prevista dall'art. 79 costituisce espressione della “natura fortemente protettiva” della ratio della l. n. 392/1978, pervasa dalla figura della “parte debole”, identificata automaticamente e sempre nel conduttore (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2019, n. 24221) - evidenziano, altresì, che l'art. 18 del d.l. n. 133 del 12 settembre 2014 (c.d. decreto Sblocca Italia), convertito nella l. 11 novembre 2014, n. 164, ha aggiunto, all'art. 79 della l. n. 392/1978, il comma 3, con il quale si prevede, nel testo coordinato con la legge di conversione, che: “In deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere approvati per iscritto”.

Per effetto di tale previsione, dunque, è possibile che le parti inseriscano, nei contratti di locazione ad uso diverso dall'abitativo, clausole che incidano sulla durata del contratto, o che attribuiscono un maggior canone al locatore, o che comunque deroghino alle disposizioni della l. n. 392/1978, ove ricorra il presupposto di ordine quantitativo basato sull'ammontare dell'importo del canone annuo pattuito (che deve superare € 250.000,00), oltre che quello formale costituito dalla “approvazione per iscritto” del contratto.

Pertanto, nelle “grandi locazioni” commerciali, possono essere inserite clausole derogative delle prescrizioni imperative della l. n. 392/1978 e possono essere oggetto di libera contrattazione tra le parti le clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazioni, recesso per gravi motivi, indennità a fine locazione e indicizzazione e/o aumenti del canone.

Ne consegue - ad avviso dei magistrati del Palazzaccio - che l'art. 79, escludendo dall'ambito di applicazione della l. n. 392/1978, gli immobili commerciali per i quali il canone annualmente pattuito sia superiore a € 250.000, ha così espressamente codificato la situazione per cui, nelle c.d. grandi locazioni, la posizione delle parti non soffre gli squilibri che il legislatore ha ritenuto tipicamente sussistenti riguardo a contratti stipulati per canoni inferiori alla predetta soglia, per cui devono ritenersi lecite, nelle locazioni stipulate ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 133/2014, clausole - come quella di specie - di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria che superino i limiti quantitativi previsti dall'art. 32 della l. n. 392/1978 (come modificato dall'art. 41, comma 16-duodecies, lett. a), del d.l. n. 207/2008, convertito dalla l. n. 14/2009).

Osservazioni

Dunque, l'art. 18 (rubricato “Liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo”) del c.d. decreto Sblocca Italia (convertito nella l. 11 novembre 2014, n. 164) - recante “Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive” (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 262 dell'11 novembre 2014) - ha aggiunto il comma 3 all'art. 79 della l. n. 392/1978, venendo, così, a creare la nuova categoria delle c.d. grandi locazioni commerciali, con facoltà per le parti di derogare al regime vincolistico previsto dal comma 1, in presenza di dati presupposti.

L'impianto normativo di cui all'art. 79, caratterizzato da notevoli elementi di rigidità introdotti dal legislatore dell'epoca allo scopo di tutelare la parte debole del rapporto di locazione, si presentava, infatti, inadeguato sia rispetto al diverso scenario economico, sia in ragione dei notevoli progressi compiuti dal regime legislativo sulle locazioni abitative (prima con la l. n. 359/1992, c.d. sui c.d. patti in deroga e, poi, con la l. n. 431/1998) e sulle stesse locazioni ad uso diverso con il d.l. n. 207/2008, convertito in l. n. 14/2009, laddove è venuto ad incidere sulla disciplina dell'aggiornamento del canone, consentendo la deroga ai limiti fissati dall'art. 32 a condizione che la locazione abbia una durata superiore a quella minima legale.

Il legislatore ha, quindi, preso atto di ciò, modificando in maniera radicale il quadro normativo applicabile alle grandi locazioni con l'evidente scopo di superare i limiti all'autonomia contrattuale delle parti, come appunto disciplinati nella l. n. 392/1978.

Per quanto concerne l'ambito applicativo, la nuova disciplina riguarda le locazioni aventi ad oggetto immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione - compresi gli immobili adibiti ad attività alberghiera (come quella oggetto della fattispecie in esame) - con canone annuo superiore ad € 250.000,00, modificando, in sede di conversione, il precedente limite quantitativo fissato, nel decreto-legge, in € 150.000,00.

Si è, quindi, ritenuto che il conduttore, il quale abbia la capacità economica di sostenere una spesa annua di un così rilevante importo, sia dotato anche della forza contrattuale necessaria per negoziare, in posizione paritaria con il locatore le clausole in deroga alla legge.

In quest'ordine di concetti, non rilevano le dimensioni dell'immobile, né la destinazione impressa dalle parti, né l'attività in esso svolta; il riferimento al solo canone porta, poi, a ritenere che non abbiano alcuna rilevanza né gli oneri accessori o l'entità del deposito cauzionale od eventuali garanzie prestate dal conduttore.

La deroga al regime vincolistico non è, invece, operativa per gli immobili qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale.

Non è chiaro se, in questa ipotesi, il legislatore abbia inteso riferirsi agli immobili qualificati di interesse culturale e storico, ai sensi del Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004), oppure alle c.d. botteghe o locali storici, cioè ad immobili che, sulla base di criteri individuati a livello locale (provvedimenti regionali o comunali), sono considerati beni da valorizzare e tutelare in ragione, per lo più, del tipo di attività esercitata e della continuità temporale: forse questa seconda soluzione sembra preferibile, sia per il dato testuale (espresso riferimento ai provvedimenti regionali e comunali), sia perché, se si escludono dalla portata della norma i beni di interesse artistico e culturale, si riduce in maniera notevole l'ambito applicativo della disposizione, considerando il numero significativo di immobili c.d. vincolati presenti nei centri storici delle principali città italiane.

L'altro requisito richiesto perché possa essere applicata la nuova disciplina è di carattere formale, vale a dire è necessario che i contratti siano stipulati in forma scritta (in proposito, ci si chiede se la forma sia richiesta per la validità del contratto o per la prova dello stesso).

La scelta del legislatore di “liberalizzare” il mercato delle grandi locazioni commerciali, in presenza dei presupposti sopra indicati, consente alle parti di inserire espressamente nel contratto quelle clausole che incidono sulla durata del contratto o che attribuiscono un maggior canone al locatore o che, comunque, derogano alle disposizioni della l. n. 392/1978.

In particolare, le parti possono prevedere un termine di durata del contratto più breve di quello minimo di sei anni (o nove per i contratti di locazione alberghiera); analogamente, può essere prevista la rinuncia da parte del conduttore alla rinnovazione del contratto alla prima scadenza, come pure possono essere ridefinite le ipotesi di recesso del conduttore e del locatore, stabilendo i termini e le condizioni.

Parimenti, devono ritenersi consentite le clausole che prevedono, con maggior libertà di quanto riconosce la giurisprudenza, la facoltà di adeguamento del canone nel corso del rapporto, le pattuizioni relative all'aggiornamento dello stesso canone per rivalutazione monetaria - come quella analizzata nell'ordinanza in commento - quelle sull'ammontare e le modalità del deposito cauzionale, sulla regolamentazione degli oneri accessori nonché le pattuizioni con cui il locatore, all'atto della conclusione del contratto, pretende il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di c.d. buona entrata.

Devono, altresì, ritenersi valide le clausole di rinuncia del conduttore al pagamento in suo favore di una indennità di avviamento commerciale al termine del rapporto di locazione nonché quelle di rinuncia anticipata del conduttore al diritto di prelazione o a ricevere la denuntiatio di cui all'art. 38, in caso di trasferimento dell'immobile condotto in locazione o di nuova locazione.

Poiché la normativa non fissa in modo espresso limiti oggettivi in ordine alle regole derogab ili, si è dubitato che la stessa permetta di derogare a tutte le norme contenute nella l. n. 392/1978: in particolare, si ritiene che alcune disposizioni dettate dalla legge sull'equo canone siano, per così dire, “insensibili alla liberalizzazione”, sul presupposto che la norma del nuovo art. 79, comma 3, consente soltanto di superare la vincolatività unilaterale dettata dal precedente comma 1.

Riferimenti

Celeste, Petrelli, Le locazioni ad uso diverso dall'abitazione. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2023, 92;

Scalettaris, La “liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo”, in Arch. loc. e cond., 2016, 8;

Padovini, La liberalizzazione del mercato delle grandi locazioni ad uso non abitativo (art. 18 d.l. 12 settembre 2014, n. 133 conv. in l. 11 novembre 2014 n. 164), in Nuove leggi civ. comm., 2015, 429;

Scarpa, Le locazioni commerciali “due volte in deroga”, in Immob. & proprietà, 2015, 29;

Cocuzza, Grandi locazioni, prime considerazioni su alcune criticità interpretative, in Arch. loc. e cond., 2015, 250.