Responsabilità civile
RIDARE

Assegno inviato per posta e riscosso da soggetto non legittimato: corresponsabilità del mittente/debitore

30 Maggio 2024

Il tema affrontato nella pronuncia in commento riguarda la responsabilità del debitore nel caso in cui emetta un assegno e lo invii per posta ordinaria al creditore; successivamente, il suddetto assegno viene riscosso da un soggetto non legittimato.

Il Consigliere della II Sezione e delle Sezioni Unite civili della Cassazione, Aldo Carrato, coautore del volume L'assegno edito da Giuffrè, ricostruisce l'iter logico-argomentativo seguito della Suprema Corte, integrando la trattazione con approfondimenti e puntuali osservazioni.

Massima

La spedizione per posta ordinaria di un assegno, anche se non trasferibile, costituisce, nell’eventualità di illecita sottrazione e riscossione, una condotta colposa idonea a configurare un concorso di colpa del mittente, esponendosi lo stesso ad un rischio maggiore rispetto alle regole di comune prudenza, venendo così il suo comportamento a rappresentare un antecedente necessario dell’evento dannoso, allo stesso modo del soggetto obbligato a identificare il legittimo intestatario del titolo all’atto del pagamento in banca o presso gli uffici postali.

Il caso

Una compagnia assicuratrice convenne in giudizio Poste Italiane s.p.a. chiedendone, previa declaratoria di responsabilità, la condanna al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di euro 9.040,00, corrispondente all'ammontare complessivo portato da cinque assegni di traenza non trasferibili (emessi da banche con cui aveva sottoscritto una convenzione di assegno) che erano stati negoziati dalla società convenuta pagandoli, però, a persone diverse dai legittimi beneficiari, così ponendo in essere una condotta negligente, in violazione dell'art. 43 RD 1736/1933 (c.d. Legge assegni), in sede di identificazione dei soggetti presentatisi per la riscossione del titoli.

Il Tribunale accolse la domanda con sentenza che veniva confermata in appello, rilevando che la società appellante avrebbe dovuto specificare quali circostanze di fatto erano emerse nel giudizio di primo grado tali da dimostrare che il controllo dei documenti fosse avvenuto con la diligenza richiedibile a un operatore professionale, onere che non poteva essere considerato assolto per il solo fatto che i documenti d'identificazione esibiti fossero falsi.

Poste Italiane s.p.a. impugnò in cassazione la sentenza di secondo grado affidando il relativo ricorso a due motivi, incentrati sulla violazione dell'art. 43 RD 1736/1933 e su quella riguardante l'art. 1227 c.c., per non aver la Corte di appello ritenuto quantomeno sussistente un concorso di colpa dell'emittente degli assegni (oltretutto muniti della clausola di intrasferibilità), per averli spediti a mezzo posta ordinaria e non con mezzi più sicuri e garantiti, così esponendosi ad un maggior rischio derivante dalla loro illecita sottrazione e dal conseguente, altrettanto illecito, incasso.      

Le questioni

Le questioni sottoposte, nella fattispecie, all'esame della Corte di legittimità sono state due:

  1. la prima attinente alla prospettata violazione degli artt. 1176 c. 2 e 1992 c.c., oltre che dell'art. 115 c.p.c. con cui Poste Italiane spa, nell'invocare i principi enunciati dalle Sezioni Unite in una sentenza del 2018 (Cass. SU 21 maggio 2018 n. 12477), aveva inteso contestare la motivazione adottata dal giudice di appello per giustificare la ritenuta sussistenza della responsabilità di essa ricorrente, deducendo che, se pur poteva ritenersi vero che era suo onere  dimostrare di aver agito con diligenza, una volta provata la circostanza della falsità delle firme dei soggetti che avevano riscosso i titoli, era onere della società emittente e che aveva spedito i titoli per posta ordinaria dimostrare il contrario, ovvero provando la presenza di contraffazioni visibili ictu oculi sui titoli stessi o sui documenti presentati al momento dell'incasso dalle persone che li avevano poi riscossi;
  2. la seconda sulla ritenuta esclusione - con la sentenza di appello - del concorso di colpa della parte danneggiata ai sensi dell'art. 1227 c. 1 c.c. nella verificazione del fatto dannoso, in relazione al comportamento dalla stessa tenuto consistito nella spedizione per forma ordinaria degli assegni pur muniti di clausola di intrasferibilità.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza qui segnalata la Corte di legittimità ha respinto il primo motivo di ricorso con il quale era stata denunciata la prima violazione e ha, invece, accolto la seconda censura riferita alla questione in precedenza riportata come seconda.

In particolare, la Cassazione – quanto alla prima doglianza – ha sottolineato che l'appellante (poi ricorrente) Poste Italiane spa, al fine di dimostrare la propria assenza di colpa ai sensi dell'art. 1176 c. 2 c.c., avrebbe dovuto allegare e dimostrare l'esistenza di circostanze tali da consentire di escludere che la alterazione dei documenti di identificazione presentati agli sportelli dove gli assegni in questione erano stati negoziati fosse rilevabile ictu oculi, considerando la diligenza media riferibile ai dipendenti addetti a quegli sportelli, stante la natura dell'attività esercitata e l'obbligo di verifica visiva e tattile di quanto esibitogli, benché gli stessi non fossero tenuti a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né a mostrare le qualità di un esperto grafologo.

Con la pronuncia in esame la Corte di legittimità ha, invece, ravvisato la fondatezza della seconda censura, ritenendo erronea la sentenza di appello nella parte in cui aveva escluso la configurabilità del concorso di colpa della danneggiata (ovvero della società emittente), ai sensi dell'art. 1227 c. 1 c.c., nonostante l'avvenuta, ma da considerarsi incauta, spedizione, da parte sua, dei titoli tramite posta ordinaria noncurante del rischio che gli stessi potessero non pervenire nelle mani degli effettivi creditori, sulla scia dei principi affermati dalle Sezioni unite (Cass. SU 26 maggio 2020 n. 9769).

Osservazioni

È risaputo che la clausola di non trasferibilità apposta su un assegno bancario elimina la possibilità di circolazione del titolo poiché ne vieta la girata (se non ad  un banchiere per l'incasso) e ne impedisce la cessione ordinaria, la  quale - seppure non esclusa espressamente - risulta dalla  responsabilità affermata dall'art. 43 c. 2 RD 1736/1933 a carico di chi paghi un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso.

Molto dibattuto in giurisprudenza (ma anche, in parte, dalla dottrina) è stato il problema della liberatorietà del pagamento di assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore ed alla conseguente misura di valutazione della responsabilità della banca o istituto equiparabile.

Secondo un'interpretazione giurisprudenziale più rigorosa e restrittiva sviluppatasi in tempi meno recenti la banca che provvedeva all'estinzione di un titolo intrasferibile pagava sempre a suo rischio e pericolo, indipendentemente dal grado di diligenza adottato nell'identificare il prenditore, con la conseguente automatica esposizione all'obbligo di pagare una seconda volta in caso di errore, in tal caso aderendo ad una ricostruzione della responsabilità di tipo sostanzialmente oggettivo della banca medesima.

Un successivo più diffuso filone giurisprudenziale (sviluppatosi sull'onda delle prime critiche dottrinali affiorate avverso l'orientamento precedentemente richiamato, secondo cui lo stesso conduceva ad una pratica impossibilità di uso e diffusione dell'assegno non trasferibile, giacché la banca, di  fronte al rischio che correva, era portata a non pagare gli assegni emessi o girati con questa clausola se non  al presentatore conosciuto personalmente  dal cassiere) ha rilevato - anche sulla scorta  di  un coordinamento sistematico con la normativa codicistica in tema di titoli di credito - che le disposizioni contenute nel citato art. 43 c. 2 RD 1736/1933 non comportano deroga ai principi generali in materia di identificazione  del presentatore dei titoli a legittimazione nominale, atteso che l'espressione  "persona diversa dal prenditore", in favore del quale sia stato effettuato il pagamento dell'assegno, posta in relazione con il divieto assoluto di circolazione  dei titoli non trasferibili, va intesa con riferimento  non già alla persona fisica  indicata come "prenditore" nell'assegno, ma alla sua legittimazione cartolare, e quindi al soggetto che come tale si qualifichi ed, anzi, con riguardo al  banchiere  giratario per l'incasso - cui pure  l''art. 43 RD 1736/1933 pone riferimento - non possono sorgere problemi di identificazione fisica, ma solo di accertamento della menzionata qualifica giuridica.

Conseguentemente, alla stregua di questo secondo indirizzo, ormai divenuto consolidato, al pagamento dell'assegno non trasferibile è applicabile il principio fondamentale  dettato dall'art. 1992 c. 2 c.c., per il quale deve considerarsi liberatorio il  pagamento eseguito senza dolo o colpa grave a favore di  colui che, in esito a diligente identificazione, sia apparso legittimo prenditore del titolo (dovendosi così escludere che a carico del banchiere sia configurabile una responsabilità oggettiva, dal momento che l'assegno non trasferibile è assoggettato, nell'aspetto in esame, al generale sistema normativo degli assegni, ai suoi elementi strutturali e ai suoi principi). Tuttavia, l'osservanza dell'obbligo di diligenza gravante sulla banca, ai fini della valutazione della  sua responsabilità nell'identificazione del prenditore dell'assegno non trasferibile, va  modulata  alla luce  delle peculiarità del caso concreto  (e  non può essere accertata sulla base di parametri rigidi e predeterminati), verificando se la banca abbia adoperato, con adeguata e prudenziale professionalità, gli accorgimenti e le cautele  che le circostanze di specie richiedevano, con particolare  riguardo al luogo di pagamento, alla  persona del  presentatore, all'importo del titolo ed alla natura del documento esibito, oltre a qualsiasi altro fattore idoneo allo scopo.

Con l'importante sentenza Cass. SU 26 giugno 2007 n. 14712, la Corte di legittimità sono stati affermati i principi evidenziati nel seguente riquadro.

  • Al fine della qualificazione della natura contrattuale di siffatta responsabilità, non è necessario postulare che la banca negoziatrice operi in veste di mandataria della banca sulla quale grava l'obbligazione cartolare di pagamento, dovendo considerarsi “contrattuale” la responsabilità che sorge in ogni ipotesi in cui si abbia inesatto adempimento di un'obbligazione precedente, quale che ne sia la fonte.
  • La responsabilità della banca negoziatrice prevista dall''art. 43 RD 1736/1933 è di natura contrattuale e trova la sua fonte nella violazione delle specifiche regole contenute nella stessa norma e che, per la violazione di esse, abbiano sofferto un danno: tale specie di responsabilità si configura come responsabilità da contatto sociale qualificato;
  • Posto che la responsabilità della banca negoziatrice  per aver consentito l'incasso di un assegno di traenza, munito di clausola di non trasferibilità, a persona diversa dal beneficiario del titolo, ha natura contrattuale (in ragione dell'obbligo professionale di protezione operante nei confronti di tutti i soggetti interessati al buon fine della sottostante operazione, di far sì che il titolo stesso sia introdotto nel circuito di pagamento bancario in conformità alle regole che ne presidiano la circolazione e l'incasso), l'azione di risarcimento proposta dal danneggiato è soggetta all'ordinario termine di prescrizione decennale.

Con la più recente sentenza Cass. SU 21 maggio 2018 n. 12477, è stato rilevato che – previa conferma della natura contrattuale da “contatto sociale” della responsabilità del banchiere per il pagamento dell'assegno non trasferibile a soggetto non legittimato - l'istituto di credito può provare che il pagamento al non legittimato cartolare non è stato determinato da un suo comportamento negligente, imprudente o imperito, alla stregua dei criteri di cui all'art. 1176 c. 2 c.c.

Con la successiva sentenza Cass. SU 26 maggio 2020 n. 9769 è stato aggiunto un ulteriore tassello, al cui approdo si è confermata la sentenza qui in commento, occupandosi della possibile configurabilità di un concorso di colpa ex art. 1227 c. 1 c.c., in capo al debitore che avesse inviato per posta l'assegno non trasferibile, poi trafugato e successivamente pagato nelle mani di un non legittimato, rivolgendo, quindi, l'attenzione alla rilevanza che può avere la condotta del debitore che spedisce l'assegno per posta rispetto all'evento dell'incasso da parte del non legittimato, sulla base dei criteri legali di imputazione del nesso di causalità.

A tal proposito le Sezioni unite da ultimo citate (alla cui pronuncia la sentenza della Corte di appello non si conformata nella fattispecie qui in esame) hanno considerato come sia difficile negare che, in caso di sottrazione di un assegno non trasferibile non consegnato direttamente al prenditore, le modalità scelte per la trasmissione del titolo possano spiegare un'efficienza causale ai fini della riscossione del relativo importo da parte di un soggetto non legittimato, unitamente all'inadempimento del banchiere che non abbia controllato con la dovuta diligenza la legittimazione cartolare di chi si sia presentato davanti a lui per l'incasso.

Così come, infatti, il pagamento dell'assegno non trasferibile è subordinato alla verifica della corrispondenza tra il presentatore all'incasso e il beneficiario indicato nel titolo, allo stesso modo il pagamento del titolo è subordinato alla “presentazione” dello stesso al banchiere e, dunque, al possesso materiale di esso, con la conseguenza che non può non rilevare, nel giudizio di responsabilità nei confronti del banchiere, il modo in cui il presentatore all'incasso sia entrato nella sua disponibilità.

Dopo aver affermato che, ai fini del giudizio di responsabilità contro il banchiere per il pagamento dell'assegno non trasferibile in favore del soggetto non legittimato, viene in considerazione anche la modalità di invio del titolo da parte del mittente-debitore, con la sentenza Cass. SU 26 maggio 2020 n. 9769  le Sezioni unite hanno, innanzitutto, escluso che l'utilizzazione, a tale scopo, del servizio postale possa di per sé essere considerata “rischiosa” o “imprudente” e, di conseguenza, sufficiente per fondare un giudizio positivo circa la sussistenza del concorso di colpa di chi se ne avvale.

Ciò perché i debitori, come le società assicuratrici, che si trovano ad una certa distanza dai creditori potrebbero non avere, oltre ai dati anagrafici di questi ultimi, le coordinate bancarie per disporre bonifici; allo stesso modo i creditori potrebbero non essere titolari di conti correnti bancari, con la conseguente impossibilità di disporre bonifici.

L'attenzione delle Sezioni unite si è, dunque, incentrata sul tipo di servizio postale di cui si avvale in concreto, nella spedizione dell'assegno non trasferibile, la parte debitrice.

A questo proposito, il massimo consesso nomofilattico ha puntualizzato che le norme contenenti il divieto di inserire nella corrispondenza ordinaria “valori” hanno efficacia solo tra l'utente ed il gestore del servizio postale, con la conseguenza che la violazione di disposizioni quali l'art. 83 o l'art. 84 del DPR 156/1973, o di quelle successive alla privatizzazione di Poste Italiane, non è idonea a fondare di per sé un concorso di colpa del mittente nell'incasso dell'assegno non trasferibile da parte di un non legittimato cartolare.

Malgrado ciò, le Sezioni unite hanno evidenziato che la scelta del mittente di avvalersi del servizio di posta ordinaria lo espone, specialmente quando la spedizione ha ad oggetto valori, ad un inaccettabile rischio di “perdita” della possibilità di verifica che l'oggetto inviato arrivi a destinazione, rischio che si riduce notevolmente nel caso in cui egli si avvalga del servizio di posta raccomandata o assicurata.

Pertanto, in base alle regole di comune prudenza, il rischio dello “smarrimento” dei “valori”, come gli assegni non trasferibili, mediante posta ordinaria, è stato considerato – con la citata sentenza Cass. SU 26 maggio 2020 n. 9769 – “socialmente inaccettabile”.

Si è, infatti, sostenuto che, stando alle norme sul servizio postale applicabili alla fattispecie di causa (DM 26 febbraio 2004, successivamente raccolte nelle condizioni generali di servizio per l'espletamento del servizio postale universale di Poste Italiane, approvate dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con Del. 20 giugno 2013, n. 385/13/Cons), mentre la posta raccomandata ed assicurata consente al mittente di ottenere una certificazione della spedizione con valore legale e di richiedere un avviso di ricevimento, oltre che di assicurare il contenuto del plico, prevedendo la tracciatura elettronica della spedizione, cioè la possibilità di ottenere informazioni sul luogo in cui si trova il plico e sullo stato di “lavorazione” dell'invio, la posta ordinaria non prevede la consegna di una ricevuta di spedizione, né la consegna di un avviso di ricevimento; non vi è alcuna garanzia che il plico spedito venga consegnato nelle mani del destinatario o dei suoi familiari conviventi, né è prevista una forma di “tracciamento” del percorso “di lavorazione” dell'invio con la possibilità per il mittente di controllare dove esso si trovi e quando giunga nella disponibilità del destinatario.

La spedizione, dunque, dell'assegno non trasferibile a mezzo della posta ordinaria espone il debitore-mittente a rischi ingiustificati (o, comunque, non imprevedibili) in base alle regole di comune prudenza socialmente riconosciute, ed espone indebitamente ad un maggiore rischio di inadempimento anche le banche, con riferimento all'obbligo su di esse incombente di controllare con tutta la diligenza e la perizia possibili la corrispondenza tra colui che pone all'incasso l'assegno non trasferibile e il soggetto indicato su di esso come legittimato cartolare alla riscossione.

Ecco perché, in definitiva, la condotta di chi spedisce per posta ordinaria un assegno non trasferibile contrasta con il dovere di agire, ove ciò non comporti un apprezzabile sacrificio a carico dell'agente, in modo da preservare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti nella vicenda circolatoria del titolo, dovere enucleabile dall'art. 2 Cost., e che a livello di legislazione ordinaria trova espressione nella regola di cui all'art. 1227 c.c. (operante non solo in materia contrattuale, ma anche in quella extracontrattuale, in virtù del richiamo di cui all'art. 2056 c.c.).

Guida all'approfondimento

  • Romualdi Giuliana, Brevi note in tema di concorso di colpa nel pagamento di un assegno non trasferibile a soggetto non legittimato, in Banca, borsa e tit. 2022, n. 2, parte II, 783 e ss.
  • Bartolini Francesca, Il concorso di colpa del danneggiato nell'errato pagamento dell'assegno non trasferibile, in Corr. giur. 2021, n. 6, 794 e ss.
  • Topi Manuel, La responsabilità della banca per il pagamento dell'assegno "non trasferibile" al falso prenditore, in Danno e resp. 2016, n. 11, 1085 e ss.

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