Il danno non patrimoniale da reato e la sua quantificazione

Filippo Rosada
03 Giugno 2024

La sentenza oggetto del presente commento ha certamente il pregio di aver affrontato e proposto una soluzione al noto problema della quantificazione del danno non patrimoniale da reato. Non può non rilevarsi, però, come il Tribunale milanese enunci, senza darne giustificazione, l'ovvia maggior sofferenza causata da un reato doloso rispetto ad uno colposo.

Massima

La sofferenza patita a fronte della commissione di reati dolosi, come per l'appunto le lesioni personali accertate nel presente giudizio (di cui all'art. 582 c.p.) e relative aggravanti (ex art. 585 c.p.), causano una maggiore intensità delle sofferenze psicofisiche patite dalla vittima rispetto alla medesima durata di inabilità temporanea e al medesimo punto percentuale per danno biologico permanente, subiti a seguito di un sinistro stradale o di reati colposi o altri atti/fatti anche privi di rilevanza penale.

Il conseguente risarcimento deve essere valutato procedendo ad una personalizzazione del danno biologico nei termini doppi della personalizzazione massima prevista dalla Tabella Milanese in materia di danno biologico, sia temporaneo che permanente, da applicarsi sui valori compensativi della sola sofferenza interiore.

Il caso

L'attore, alle ore 23 circa, mentre si trovava sotto la propria abitazione in provincia di Milano in compagnia di due suoi amici, veniva avvicinato da uno dei convenuti con la scusa di chiedere una sigaretta.  In seguito al rifiuto, il convenuto prima minacciava l'attore e poi lo aggrediva con un coltello; quest'ultimo tentava di ripararsi posizionando le mani davanti al volto.

Gli amici dell'attore non riuscivano ad intervenire in quanto anch'essi venivano minacciati con bottiglie di birra utilizzate come armi.

Successivamente all'aggressione, l'attore appurava che il cellulare, che era presente all'interno della tasca del giubbotto al momento dell'aggressione, gli era stato sottratto.

I convenuti venivano tutti imputati, in concorso, per furto e lesioni personali:  uno di questi veniva condannato dal Giudice delle Indagini Preliminari alla pena di anni 4 e mesi quattro di reclusione per furto e lesioni personali, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio, con il riconoscimento di una provvisionale di euro 10.000, mentre gli altri due soggetti patteggiavano una pena di anni due e mesi sei di reclusione, con pena sospesa per il solo soggetto che aveva materialmente aggredito con il coltello l'attore.

La persona offesa dal reato conveniva in giudizio i tre soggetti per sentirli condannare al risarcimento del danno.

La questione

Sul riconoscimento di un maggior danno in conseguenza della gravità della condotta e sulla sua valorizzazione economica.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione affrontata dal Tribunale, è il differente valore della sentenza di condanna pronunciata dal GIP rispetto a quella ex art. 444 c.p.p. (patteggiamento).

In applicazione dell'art. 651, comma 2, c.p.p., infatti, a differenza della sentenza di patteggiamento che ha un mero valore di indizio, la decisione in seguito ad un giudizio abbreviato senza opposizione della parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato, viene equiparata ad una sentenza irrevocabile di condanna.

Ciò precisato, il Giudice accertava che anche per i due convenuti che avevano patteggiato la pena sussisteva la prova della commissione del fatto-reato.

In punto quantum debeatur, dopo aver argomentato sulla liquidazione del danno biologico conseguente alle lesioni subite, il Tribunale motiva il riconoscimento del danno non patrimoniale da reato.

Sul punto vengono richiamati i paragrafi 8 e 9 della c.d. “ordinanza decalogo” che liceizzano il riconoscimento di una somma risarcitoria ulteriore rispetto a quella per il danno biologico, a titolo di ristoro dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legalerappresentati dalla sofferenza interiore.

Segue un breve excursus sull'evoluzione delle tabelle milanesi del 2021 rispetto all'edizione del 2018, con particolare riferimento al contenuto della quinta colonna, ove vengono evidenziati gli importi differenziati riconosciuti, rispettivamente, per il danno biologico e per il danno da sofferenza soggettiva interiore.

L'estensore del provvedimento del presente commento, quindi, dopo aver precisato che certamente deve essere riconosciuto l'importo indicato nella quinta colonna per il danno biologico / dinamico relazionale, precisa la necessità di verificare se l'importo indicato per il danno da sofferenza soggettiva interiore media, sia congruo rispetto al caso di specie, ovvero sia necessario ricorrere alla prevista possibilità di personalizzazione del danno nella misura massima del 50%.

Viene, quindi, ricordato che la personalizzazione del danno ha ragion d'essere solo in presenza di peculiarità tali da differenziare le conseguenze dannose rispetto a quelle che mediamente si verificano in presenza di medesima durata di inabilità temporanea e al medesimo punto percentuale per danno biologico permanente.

A questo punto il Tribunale argomenta in ordine all'evidenza del maggior tasso di sofferenza patita dal soggetto vittima di reati dolosi rispetto alla persona offesa da un reato colposo, così che, in via equitativa, debba essere riconosciuta una personalizzazione doppia rispetto alla massima prevista sia per la lesione biologica temporanea che quella per quella permanente.

Osservazioni

La sentenza oggetto del presente commento ha certamente il pregio di aver affrontato e proposto una soluzione al noto problema della quantificazione del danno non patrimoniale da reato.

Non può non rilevarsi, però, come il Tribunale milanese enunci, senza darne giustificazione, l'ovvia maggior sofferenza causata da un reato doloso rispetto ad uno colposo.

Altrettanto deve osservarsi per quanto concerne la conversione in moneta di detto danno;  il Tribunale, senza proporre una motivazione, quantifica la maggior sofferenza nella misura del doppio della massima personalizzazione prevista dalla tabella milanese sia per il danno biologico temporaneo che per quello permanente.

Che la responsabilità civile, nel nostro ordinamento, abbia una funzione polifunzionale di deterrenza oltre che sanzionatoria, ce lo ha ricordato la nota sentenza a Sezioni Unite n. 16601/2017, affermando che, in astratto, la riconoscibilità del risarcimento punitivo vada commisurata agli effetti che la sentenza straniera può avere in Italia, trattandosi di “istituto sconosciuto, ma in via generale non incompatibile con il sistema”.

Successivamente a tale decisione, vi sono state alcune sentenze di merito che in funzione della gravità della colpa, hanno ritenuto di riconoscere una personalizzazione o un danno da sofferenza interiore di importo maggiore (Trib. Milano, G.I. D. Spera, sent. n. 6963/2021; Trib. Milano n. 2894/2023, Papoff, Risarcimento del danno non patrimoniale: rilevanza dell'elemento soggettivo e del disvalore della condotta, in IUS Responsabilità civile (ius.giuffrefl.it), 10.10.2023)

Si deve osservare, del resto, come il capoverso dell'art. 2056 c.c. (valutazione dei danni) così disponga:  Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.

Detta previsione non compare negli artt. 1223 e 1226 c.c. (norme dedicate alla valutazione del danno patrimoniale), così che sia logico ritenere che si tratti di disposizione dedicata alla valutazione del danno da fatto illecito.

La richiamata previsione non si ritiene possa riguardare la liquidazione in via equitativa, in quanto il legislatore avrebbe potuto fare espresso riferimento all'art. 1226 c.c.  La conseguenza logica, pertanto è che il giudice possa aumentare o diminuire il danno da lucro cessante in conseguenza di altre circostanze, quali l'intensità del dolo e della colpa dell'autore dell'illecito.

Del resto, anche l'art. 1227 c.c. (Concorso del fatto colposo del creditore) prevede che, quando il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.

Ecco che anche detta norma, volta a determinare il risarcimento dovuto al soggetto offeso, richiama la gravità della colpa quale circostanza da tenere in considerazione al fine di addivenire al giusto risarcimento.

Si può, pertanto, concludere la presente succinta trattazione, osservando come giustamente la gravità della colpa così come tutte le circostanze peculiari del caso, debbano essere tenute in considerazione dal giudice per incrementare o diminuire il danno.

Certamente più complicato il criterio per la determinazione del quantum risarcitorio.

La strada maestra, al fine di evitare che l'equità si trasformi in arbitrio, sarebbe verificare come altri Tribunali o Corti superiori abbiano risarcito casi simili, così da creare una casistica dalla quale potersi discostare o meno, motivatamente.

Bisogna dare atto, però, che i precedenti più conosciuti sul tema sono stati redatti dallo stesso estensore della presente sentenza, così che, giustamente, non è stato ritenuto necessario un richiamo che non poteva che confermare il convincimento nel ritenere equo il criterio utilizzato per la liquidazione del danno non patrimoniale aggravato dalla condotta: il doppio di quanto previsto dalla tabella milanese per la sofferenza soggettiva.

Riferimenti

Papoff, Risarcimento del danno non patrimoniale: rilevanza dell'elemento soggettivo e del disvalore della condotta, in IUS Responsabilità civile (ius.giuffrefl.it), 10.10.2023.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.