Il rapporto di incompatibilità tra differenti mezzi di autotutela privata ex artt. 1385 c. 2 e 1454 c.c.

14 Giugno 2024

L’apparente concorso tra il recesso del promittente acquirente ex art. 1385 c. 2 c.c. e la precedente diffida ad adempiere del promittente venditore ex art. 1454 c.c., a fronte di un inadempimento del primo contraente accertato in giudizio come preminente, implica il diritto del promittente venditore, quale parte non inadempiente, di “ritenere” la caparra confirmatoria ricevuta in sede di contratto preliminare.

Massima

La pronuncia, per la natura cervellotica degli argomenti viziati anche da illogicità, non si presta a una massimazione esaustiva, essendo perciò necessario ripercorrere, alla lettera, i passaggi salienti della decisione.

  • Al § 6.1. del provvedimento, nel decidere il quarto motivo di impugnazione sollevato dal promittente acquirente, la Suprema Corte ha statuito che detto contraente aveva “esercitato la facoltà di recesso ex art. 1385 c. 2 c.c. e che tale esercizio della facoltà di recesso aveva comportato la risoluzione stragiudiziale” del contratto preliminare.
  • “Quindi, poiché è acquisita definitivamente in causa l'avvenuta risoluzione stragiudiziale del contratto, non rilevano le deduzioni” del ricorrente “né in ordine al fatto che” il promittente venditore aveva “eseguito diffida ad adempiere che avrebbe comportato la risoluzione del contratto con l'applicazione della relativa disciplina delle restituzioni, né in ordine al dato che i promittenti venditori non avevano mai esercitato il recesso”;
  • Inoltre, “[…] al fine di stabilire a chi spetti il diritto di recesso” nel merito si è ritenuto “[…] più grave l'inadempimento” del promissario acquirente e perciò è stata rigettata “non solo la domanda volta a ottenere il doppio della caparra confirmatoria” da questo in origine versata “ma anche la […] domanda di restituzione della caparra” stessa.
  • “Nel momento in cui” il giudice territoriale “ha accertato che il contratto si era risolto stragiudizialmente e che l'inadempimento che giustificava tale esito era quello” del promissario acquirente il quale aveva “versato la caparra, in via conseguenziale ha ritenuto che” il promissario acquirente non aveva “diritto né a ottenere la restituzione del doppio della caparra, ma neppure l'importo della caparra versata, a fronte del diritto di ritenzione della parte promittente venditrice non inadempiente”.
  • “Del resto”, chiude l'ordinanza, “la considerazione che la pronuncia sull'effetto risolutorio del contratto determinato dall'esercizio del recesso è passata in giudicato esclude che” il promittente venditore “in altro giudizio” possa “chiedere la dichiarazione di risoluzione dei contratti e il conseguente risarcimento del danno quantificato secondo i criteri ordinari”.

Il caso

La Suprema Corte decide una complessa questione in cui collidono due opposte dichiarazioni volte allo scioglimento del contratto preliminare per differente titolo di autotutela, una del promittente venditore (ex art. 1454 c.c.) e una del promittente acquirente (ex art. 1385 c. 2 c.c.), sul propedeutico accertamento dell'inadempimento prevalente tra quelli reciprocamente imputatisi dai litiganti.

In particolare, si è stabilito che il promissario acquirente non aveva diritto alla restituzione del doppio della caparra, ai sensi dell'art. 1385 cpv. c.c. in quanto, nel rapporto, parte recedente inadempiente.

Di contro, si è affermato nella decisione che il promittente venditore aveva diritto a “ritenere” la caparra ricevuta in quanto parte non inadempiente, nonostante non fosse stata introdotta richiesta alcuna di risarcimento forfettario del presunto danno.

A definizione della contesa, la cassazione rigetta la richiesta del promittente acquirente, sciolto il contratto (unica circostanza pacifica tra le parti), di ottenere la restituzione, in qualsiasi misura, della caparra originariamente corrisposta alla controparte, discorrendo, del tutto atecnicamente, di un supposto diritto di “ritenzione” dell'accipiens, nel tralasciare ogni considerazione in ordine alla disciplina di cui all'art. 1458 c.c.

La questione

La questione centrale della vicenda sopra prospettata è se l'utilizzazione, ad opera del contraente non inadempiente, dello strumento previsto dall'art. 1454 c.c. autorizzi a ritenere operante, accertata l'estinzione del rapporto giuridico tra le parti, l'art. 1385 c. 2 c.c. invocato dalla controparte inadempiente, così da potersi affermare che il primo paciscente possa trattenere la caparra ricevuta in origine dal secondo e non sia perciò obbligato a restituirla in ragione della retroattività operante inter partes, secondo quanto previsto dall'art. 1458 c.c.

Osservazioni

La pronuncia che si esamina sembra inserirsi nell'alveo di quel prevalente orientamento giurisprudenziale alla luce del quale, nel decidere sulla compatibilità delle tutele stragiudiziali di cui agli artt. 1385 c. 2 e 1454 c.c., viene assegnato rilievo al mero dato quantitativo senz'altro considerare (nei differenti casi in cui gli strumenti sono esperiti in successione temporale dallo stesso contraente), ritenendo, sulla base di un errore di diritto, che il recesso sia funzionalmente contenuto nella più ampia risoluzione di diritto, così che, chiesta stragiudizialmente quest'ultima, la medesima parte può sempre riesumare, anche direttamente in giudizio, il primo rimedio ai fini della liquidazione del danno risarcibile.

Tale opinione desta non poche perplessità in quanto pare trattare gli istituti civilistici con eccessiva disinvoltura e approssimazione, tanto più quando ciascuno dei citati strumenti è invece esperito dal contrapposto rispettivo paciscente.

Deve, innanzitutto, precisarsi che il rimedio previsto dall'art. 1385 c. 2 c.c. è uno speciale strumento di scioglimento di diritto del contratto (Cass. 31 gennaio 2019 n. 2969 e Cass. 6 settembre 2011 n. 18266) non assimilabile al differente mezzo rappresentato dalla diffida ad adempiere, essendo concettualmente insuperabile l'incompatibilità operativa tra i due meccanismi di autotutela privata, ciascuno munito di efficacia pressoché immediata.

In proposito, non è dato comprendere come i giudici di legittimità possano omettere di rilevare che, nel caso in esame, la dichiarazione di recesso del promissario compratore, che legittimerebbe l'applicazione della disciplina della caparra, è nulla per mancanza di oggetto in quanto essa trova il contratto già risolto per effetto della precedente, inattuata, diffida ad adempiere del promittente venditore.

Risulta, così, confermato che le discipline previste dagli artt. 1385 c. 2 e 1454 c.c. sono diverse al punto da non essere riducibili l'una all'altra in quanto regolamentano una differente scelta tecnica intrapresa strategicamente dalla parte non inadempiente che conduce, imboccata una strada in luogo dell'altra, a conseguenze tra loro inconciliabili (electa una via non datur recursus ad alteram).

Ne consegue che quando il promittente venditore esercita la diffida ad adempiere, ex adverso inascoltata, il contratto si scioglie ex lege alla scadenza dell'indicato termine e il diffidante non può più recedere da un rapporto oramai divenuto giuridicamente inesistente al fine di “ritenere” la caparra a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell'art. 1385 c. 2 c.c., essendo invece onerato di chiedere il risarcimento sulla base delle norme generali.

D'altronde, non si è in presenza di una mera auto-limitazione della pretesa operata dal recedente, prima intimante. La stessa scelta di partecipare una diffida ad adempiere è idonea, infatti, a far sorgere nella controparte, scaduto il termine di cui all'art. 1454 c.c., l'affidamento:

  1. di non doversi più considerare obbligata a restituite immediatamente il doppio di quanto ricevuto, come dovrebbe essere se il dichiarante avesse scelto sin dall'inizio lo strumento del recesso ai sensi dell'art. 1385 cpv. c.c., e
  2. di poter comunque far valere le proprie ragioni, anche in termini di quantum debeatur, in sede giudiziale, stante l'altrui onere di dimostrare il danno allegato come sofferto (del resto, la parte non inadempiente che sceglie di non recedere, sceglie di provare il danno patito nella sua integrità e rinunzia, perciò, a una sua liquidazione predeterminata in via forfettaria, quasi che venisse considerata alla stregua di un adempimento parziale ex art. 1181 c.c.: a fronte di ciò, le scelte a sorpresa e di ripiego, adottate magari in considerazione della malparata emersa nel corso del giudizio, rischiano di sfociare in abuso sanzionabile a vario titolo, sostanziale e processuale).

È proprio in tale ottica dell'efficacia esclusiva e assorbente della diffida ad adempiere che la retroattività inter partes prevista dall'art. 1458 c. 1 c.c. serve a risolvere il problema pratico della sorte delle prestazioni eseguite medio tempore dai contraenti e, quindi, del riequilibrio dei patrimoni coinvolti dal rapporto giuridico risolto: le restituzioni devono essere regolate secondo le norme sulla ripetizione dell'indebito, cui è tenuta, se del caso, anche la parte non inadempiente, in quanto esse trovano la loro oggettiva ragione giustificativa nel venir meno del titolo della prestazione ricevuta (che sarebbe perciò trattenuta, una volta venuto meno il rapporto giuridico, sine titolo) e non nella condotta imputabile dell'accipiens.

Si consideri, altresì, che la risoluzione di diritto costituisce un effetto irrinunciabile dopo che è divenuto operante per iniziativa dell'interessato, trattandosi di un effetto legale estraneo alla disponibilità della parte una volta prodottosi.

Vero è, pertanto, che, se il promittente venditore avesse inteso trattenere la caparra, quale parte non inadempiente, ex art. 1385 c. 2 c.c., avrebbe dovuto agire non ex art. 1454 c.c. ma insistere per l'adempimento del promittente acquirente assegnandogli tout court un dato termine (senza dichiarare che, decorso esso inutilmente, il contratto si sarebbe inteso risolto) e poi comunicare il recesso secondo le regole speciali che disciplinano l'istituto della caparra confirmatoria.

Per altro verso, la cassazione in commento ricollega, nel caso di specie, all'esercizio della facoltà di recesso ex art. 1385 c. 2 c.c. lo scioglimento del rapporto giuridico preliminare anche se la dichiarazione unilaterale proviene dalla parte inadempiente e a questo fallace passaggio fa conseguire quello ulteriore secondo cui la caparra dev'essere perciò “ritenuta” (recte: trattenuta) dalla controparte non inadempiente.

È d'uopo, di contro, osservare che la dichiarazione di recesso, per essere quella ex art. 1385 c. 2 c.c. (diversa dalla fattispecie convenzionale di cui all'art. 1373 c. 1 c.c.), presuppone, ai fini della sua stessa efficacia, che provenga dalla parte non inadempiente, risolvendosi essa, altrimenti, in un tamquam non esset. Ciò perché il recesso in materia di caparra confirmatoria è causalmente giustificato solo dall'altrui inadempimento: difatti, la dichiarazione di recesso manifestata dalla parte poi rivelatasi inadempiente non può esplicare alcun effetto propagativo in danno della parte non inadempiente.

Sulla scorta di quest'ulteriore considerazione, il giudice, nel provvedimento che si critica, ha oltretutto violato la basilare regola processuale consegnata all'art. 112 c.p.c. (“Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa”) in quanto ha concesso un risarcimento al promittente venditore, limitandone la portata ai sensi dell'art. 1385 cpv. c.c., senza che questi abbia tuttavia mai esercitato il recesso né mai abbia avanzato alcuna richiesta risarcitoria in giudizio.

In tal modo, in definitiva, si è consentito alla parte inadempiente (promittente acquirente) di limitare il risarcimento spettante alla controparte la quale, invece, avrebbe dovuto essere lasciata in facoltà di agire, a fronte dell'inefficacia dell'altrui recesso, per il ristoro dell'intero danno ex art. 1385 c. 3 c.c.

Guida all'approfondimento

1) In giurisprudenza:

- per la recedibilità, ad opera della parte adempiente, ai sensi dell'art. 1385 c. 2 c.c. pur dopo la comunicazione della diffida ad adempiere di cui all'art. 1454 c.c.:

  • Cass. 3 novembre 2017 n. 26206
  • Cass. 6 giugno 2017 n. 14014
  • Cass. 28 febbraio 2012 n. 2999
  • Cass. 12 gennaio 2005 n. 387
  • Cass. 10 febbraio 2003 n. 1952
  • Cass. 18 novembre 2002 n. 16221
  • Cass. 11 gennaio 2001 n. 319
  • Cass. 5 marzo 1986 n. 1391

- per la non recedibilità postuma, le pronunce più recenti:

  • Cass. 8 giugno 2022 n. 18392
  • Cass. 12 dicembre 2020 n. 21971
  • Cass. 26 maggio 1989 n. 2557
  • Trib. Cagliari 13 marzo 1997

2) In dottrina:

  • S. Mazzarese, I. Tardia, Caparra, Comm. Schlesinger, sub. artt. 1385-1386, 2016, pag. 243;
  • G. Bavetta, La caparra, Milano, 1963, pag. 137 e 138.

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