Per provare la mala gestio dell’amministratore, il condominio deve dimostrare la sua responsabilità negli ammanchi di cassa
14 Giugno 2024
Massima Al fine di condannare un amministratore di condominio per una presunta mala gestio della cassa dello stabile, non è sufficiente dare atto della mancanza di fondi nella stessa. Occorre, infatti, fornire puntuale prova della loro malversazione. Il caso Un condominio agiva in giudizio convenendo il proprio amministratore e lamentando un ammanco di cassa per una ingente somma. Questo amministratore si costituiva in giudizio, negando ogni addebito e lamentando l'assenza di prova sulla propria responsabilità. A suo dire, infatti, il condominio non avrebbe potuto contestare una responsabilità diretta solo indicando una situazione contabile problematica e affermando la mancanza di fondi dai conti correnti condominiali, avendo, in quanto attore, l'onere probatorio di dimostrare che tale ammanco sarebbe stato causato proprio dal convenuto. Si costituiva parimenti in giudizio l'assicurazione contestando la domanda attorea e rilevando come, in caso di condanna, l'eventuale ammanco sarebbe stato cagionato da una sottrazione o diversione volontaria dei fondi dello stabile da parte dell'amministratore. Per contratto, quindi, tale responsabilità di tipo doloso non sarebbe stata coperta dalla compagnia assicurativa, che avrebbe negato qualsiasi tipo di indennizzo diretto o indiretto. Il procedimento si svolgeva davanti al Tribunale, con il giudice che negava l'esperimento di prove quali la realizzazione di una CTU (considerata esplorativa e priva di una solida base probatoria) e l'escussione di testimoni, che poco avrebbe potuto apportare al quadro processuale. La questione Aldilà del dato contabile - che è peraltro poco analizzato nella sentenza in commento - la questione giuridica appare invece riguardare i principi del diritto. Occorre, come rilevato dal giudice, partire dal rapporto tra condominio e amministratore e comprenderne le sfumature per capire i confini della responsabilità professionale e da fatto illecito dello stesso e, soprattutto, ove risieda l'onere probatorio in caso di allegati ammanchi di cassa nel condominio. Ci si chiede, infatti, se il condominio possa anche solo rilevare gli stessi e lasciare che l'amministratore si discolpi per eventuali diversioni finanziarie o se, al contrario, abbia un più stretto onere probatorio relativamente non solo all'esistenza dell'ammanco, ma anche all'effettiva sottrazione dei fondi da parte del professionista. Le soluzioni giuridiche Nella sentenza in commento, il Tribunale di Genova, in modo condivisibile, principiava la sua dissertazione inquadrando la disciplina contrattuale vigente tra il condominio e il suo amministratore. Statuiva correttamente che, stante la sussunzione del rapporto condominio/amministratore nel novero del mandato con rappresentanza, l'adempimento o inadempimento dei suoi doveri “deve essere vagliato alla luce delle regole sulla responsabilità contrattuale e, in particolare, alla luce delle disposizioni che regolano la diligenza nell'adempimento (art. 1176 c.c.) e di quelle che disciplinano la ripartizione dell'onere della prova (art. 1218 c.c.)”. Citava i colleghi del Foro di Torino che affermavano sul punto che: “L'ufficio dell'amministratore di condominio è riconducibile a quello del mandatario con rappresentanza, inquadramento recepito dalla novella del 2012 che, all'art. 1129, comma 15, c.c., stabilisce espressamente che si applicano le disposizioni del codice sul mandato per quanto ivi non espressamente previsto. Dunque, l'adempimento della società convenuta deve essere vagliato alla luce delle regole sulla responsabilità contrattuale e, in particolare, alla luce delle disposizioni che regolano la diligenza nell'adempimento (art 1176 c.c.) e di quelle che disciplinano la ripartizione dell'onere della prova (art. 1218 c.c.)” (v. Trib. Torino 10 febbraio 2022, n. 525). Stante questo inquadramento, sarebbe comunque spettato al creditore dare prova del danno subito, ai sensi dell'art. 1223 c.c. Tale norma afferma che: “Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. Nel caso in questione il condominio non aveva dato dimostrazione della responsabilità diretta dell'amministratore nell'ammanco di cassa. La condotta processuale della parte attrice, invero, era consistita nella allegazione e dimostrazione che la situazione contabile condominiale al momento dell'inizio del processo dimostrava un ammanco nei fondi del palazzo, ma non era stata né prodotta in giudizio la situazione contabile della gestione precedente all'amministratore convenuto, né alcuna prova ulteriore delle presunte malversazioni del professionista, presumibilmente confidando nell'esperimento di una perizia contabile per sopperire a tali lacune istruttorie. Secondo il giudice la domanda attorea non poteva trovare alcun accoglimento. Il condominio aveva provato unicamente un ammanco nei suoi conti, ma non aveva in alcun modo dimostrato una condotta dolosa o colposa dell'amministratore. Non poteva, quindi, la domanda attorea fondarsi unicamente sull'allegazione di un buco contabile, senza dimostrazione di un suo intervento dannoso, non essendo ammissibile una responsabilità oggettiva di sorta che leghi indissolubilmente l'eventuale assenza di fondi sul conto corrente condominiale con condotte scorrette o addirittura criminose dell'amministratore. Stante l'assenza di una vera e propria prova in merito ad eventuali distrazioni, la domanda veniva interamente respinta, con condanna alle spese giudiziali del condominio attoreo. Osservazioni La sentenza in commento, oltre che condivisibile dal punto di vista della decisione presa, appare interessante come analisi degli istituti coinvolti. Si parte da una analisi del rapporto contrattuale tra condominio e amministratore. Notoriamente l'amministratore è legato ai condomìni che rappresenta da un contratto di mandato con rappresentanza nell'adempimento del quale egli agisce in nome e per conto del condominio, rappresentando tale rapporto contrattuale ai terzi che vengono in contatto con lui e che quindi vengono a conoscenza del suo ruolo e delle sue mansioni per il mandante. Il rapporto di mandato, in generale, è codificato dall'art. 1703 c.c. che specifica “Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra”, mentre quello con rappresentanza è codificato dal successivo art. 1704 c.c. nel quale si legge “Se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante, si applicano anche le norme del capo VI del titolo II di questo libro”. Con riguardo alla figura dell'amministratore di condominio, tale legame è disciplinato dall'art. 1129 c.c., che al comma 15 afferma esplicitamente che “Per quanto non disciplinato dal presente articolo si applicano le disposizioni di cui alla sezione I del capo IX del titolo III del libro I [ossia l'art. 1703 c.c. nda]”. Trattandosi, quindi, di ordinario rapporto contrattuale, l'eventuale inadempimento e responsabilità della parte per il danno cagionato all'altra dovranno seguire le ordinarie norme codicistiche quali l'art. 1218 c.c. e l'art. 1176 c.c. La prima norma identifica la responsabilità per inadempimento (comunemente, e in parte erroneamente, definita “responsabilità contrattuale”) affermando che “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Su tale norma si potrebbero scrivere (e sono stati scritti, si veda nelle fonti) vari trattati e la sua analisi approfondita esula dallo scopo della presente trattazione. Basti tenere a mente che per esserci una responsabilità per inadempimento devono essere presenti e provati il fatto (ad esempio inadempimento di obblighi contrattuali), il danno (sia pure danno economico), e il nesso di causalità tra i due. L'art. 1176 c.c., invece, disciplina la responsabilità del professionista al suo comma 2, nel quale si legge che, “Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata”. In ragione dei principi giurisprudenziali vigenti, sarebbe stato sufficiente per la parte creditrice dimostrare il fatto costitutivo del proprio diritto e limitarsi ad allegare l'inadempimento del debitore, sul quale viceversa graverebbe l'onere di dimostrare l'avvenuto adempimento ovvero l'impossibilità dello stesso per causa a sé non imputabile (v. Cass. sez. un. n. 13533/2001). Tuttavia, appare di centrale importanza ricordare che grava in ogni caso sul creditore l'onere di fornire la prova del danno subìto (ai sensi del citato art. 1223 c.c.). Ecco che, nel caso in commento, il condominio, facendo affidamento sul principio di mera allegazione del danno sopra riportato, si limitava ad affermare in giudizio l'ammanco di cassa di ingenti fondi, lasciando onere all'amministratore di dare prova dell'assenza di responsabilità in merito a tali ammanchi. Tale operazione non è considerata sufficiente dal decidente. Pur vero quanto sin ora detto, e sottolineata l'importanza del controllo di fatto e diritto dell'amministratore di condominio sulle finanze dello stabile, spetta comunque all'attore nel processo dare prova dei fatti costitutivi il proprio diritto. Tale prova è apparsa insufficiente e, anche essendoci degli ammanchi sul conto corrente condominiale, non è stato possibile dare dimostrazione di alcuna condotta dolosa o colposa dell'amministratore che avrebbe cagionato il danno. In particolare, sarebbe parso ragionevole per il condominio produrre in giudizio una situazione contabile completa e con riferimenti alle precedenti gestioni, quanto meno dimostrando che il debito era stato realizzato nella contestata gestione del convenuto. L'assenza di tale prova, come scritto, ha portato ad un condivisibile rigetto della domanda. Pare calzante la citata sentenza del Trib. Roma, n. 4760/2022, che, trovandosi ad analizzare un caso simile a quello oggi in analisi, affermava che: “Come noto, l'amministratore deve esercitare il mandato ricevuto con la diligenza del buon padre di famiglia. Tale diligenza, stante la specificazione della figura dell'amministratore del condominio, va valutata alla luce del più rigido criterio previsto nello svolgimento del proprio incarico. Ne consegue che, in caso di inadempimento nello svolgimento del proprio incarico, l'amministratore sarà tenuto a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., che, nel caso di specie, il condominio ha allegato l'esistenza di alcune irregolarità gestorie, rappresentando la difficoltà per il nuovo amministratore di ricostruire la contabilità del condominio, non avendo peraltro il convenuto consegnato tutta la documentazione afferente il proprio periodo gestorio. L'attore, tuttavia, non chiede condannarsi l'ex amministratore alla consegna completa della documentazione né al risarcimento degli eventuali danni conseguenti, ma afferma solo di vantare un credito nei confronti del convenuto allegando, di fatto, l'esistenza di un ammanco di cassa”; e condivisibilmente concludeva che, “come noto, però, compete alla parte che agisce in giudizio apportare le prove su cui fonda la propria pretesa. Nel caso di specie, le circostanze dedotte dal condominio non costituiscono elementi sufficienti ai fini della prova del credito preteso dal condominio nei confronti del convenuto. L'affermazione di un credito di tal fatta presuppone, in particolare, la prova che l'ex amministratore, pur avendo ricevuto dai condomini la provvista per provvedere agli affari condominiali, si sia appropriato delle relative somme ponendo in essere condotte distrattive o depauperando i fondi condominiali. La mancata produzione di estratti conto riferiti alla precedente amministrazione alla quale era onerato il condominio e di cui poteva disporre, impedisce di valutare se le somme versate dai condomini siano state utilizzate dal convenuto per finalità personali rispetto a quelle a cui erano destinate (pagamento di utenze, lavori straordinari, ditta pulizie, ecc.), non bastando in tal senso la prova del mancato pagamento di fatture emesse dai terzi creditori del condominio, potendo essere state le relative provviste, se presenti, utilizzate, comunque, per attività ed esigenze del condominio. Una tale prova presupporrebbe, quindi, una preliminare verifica dello stato patrimoniale del condominio, partendo dall'ultimo saldo di gestione approvato dall'assemblea per poi analizzare le entrate e le uscite successive, gli eventuali debiti/crediti delle gestioni precedenti, gli eventuali fondi di riserva, il saldo del conto corrente e quello della eventuale “piccola cassa”. Laddove, alla fine, dovesse risultare un disavanzo di bilancio (ammanco di cassa), bisognerebbe capire da dove derivi tale passività. Né a tale onere probatorio avrebbe potuto supplire una CTU contabile che non costituisce un mezzo di prova: la ricostruzione delle poste di dare/avere (entrate/uscite) delle somme gestite dal convenuto doveva essere allegata dall'attore mediante idonea prova documentale ed un'eventuale CTU avrebbe, semmai, esaminato e riscontrato la correttezza della somma richiesta dall'attrice”. Si ricorda, peraltro, che l'amministratore ha precisi doveri di chiarezza nella contabilità condominiale. Tali doveri sono cristallizzati in giurisprudenza. Si veda, ad esempio, la decisione di merito di Trib. Monza 17 dicembre 2015, n. 3103, ove si legge: “Ricorre la responsabilità per mala gestio e per grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali dell'amministratore condominiale, in relazione agli artt. 1710 e 1713 c.c. ed all'art. 1129 c.c., per aver tenuto, nell'esercizio del mandato conferito, una contabilità non ordinata, non intellegibile ed in ogni caso non corrispondente alla reale situazione patrimoniale condominiale e per non aver consegnato la gran parte della documentazione amministrativa/contabile del condominio, rendendo impossibile una corretta ricostruzione dei rapporti dare-avere nei confronti dei fornitori, conseguendone la necessità di resistere nei procedimenti giudiziari, e quindi di sostenere le relative spese per la propria difesa e per la rifusione dei ricorrenti, che devono essere risarcite, nonché per il nocumento subito il ristoro liquidato in via equitativa”. Concludendo, quindi, appare ragionevole mitigare il principio dell'allegazione da parte del danneggiato, specificando che nel caso di danno cagionato dall'amministratore al condominio quest'ultimo nell'agire in giudizio debba dimostrare l'apporto causale dato dall'amministratore all'ammanco ed evidenziare il rapporto tra le precedenti gestioni e quella contestata, dando elementi al decidente per l'accoglimento della domanda e lasciando - in quel caso sì - l'onere al convenuto di dare dimostrazione della correttezza dell'adempimento alla luce di evidenti e incontestabili ammanchi dovuti a malversazioni. L'assenza di tale catena probatoria non può che portare ad un'assenza istruttoria che, processualmente, rende indistinguibile l'ammanco dovuto a mancata riscossione o mancato versamento di quote da parte dei condomini e sottrazione da parte del professionista. Riferimenti Bregoli, L'amministratore di condominio: un nuovo professionista al servizio (anche) della collettività?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, fasc. 1, 9; Cremonese, È sempre mala gestio dell'amministratore di condominio il non attivarsi per il recupero forzoso dei contributi condominiali insoluti, in IUS Condominioelocazione, 14 aprile 2023; Celeste - Scarpa, Le nuove norme in materia di assemblea e di amministratore nella riforma del condominio, in Giur. merito, 2013, fasc. 6, 124; Chiesi, Il contratto “tipico” di amministrazione di condominio, in Riv. giur. edil., 2021, fasc. 4, 1220; Mirabile, La responsabilità dell'amministratore di condominio dopo la legge n. 220/2012, in Resp. civ. e prev., 2014, fasc. 5, 148. D'Amico, Responsabilità per inadempimento, in Giust. civ., 1° aprile 2023, fasc. 4, 791. |