Omesso versamento dell’IVA dovuta a mancanza di provvista: la nuova esimente per crisi di liquidità approda in Cassazione

05 Settembre 2024

La Suprema Corte nella sentenza 15 luglio 2024, n. 30532 si è pronunciata sulla controversa questione della rilevanza o meno della situazione di illiquidità alla scadenza del termine fissato per il pagamento delle imposte ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento dell'IVA di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000.

Massima

In tema di reati tributari, l'omesso versamento dell'IVA dipeso da mancato incasso di crediti oppure da crisi delle commesse esclude la sussistenza del dolo richiesto dall'art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 qualora gli insoluti oltrepassino la percentuale da ritenersi fisiologica nell'ambito dell'ordinario rischio d'impresa. (Fattispecie in cui la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la sentenza di condanna pronunciata a carico del l.r. di una società che era stata travolta dalla crisi dell'Ilva, unica committente della società stessa, per l'ingente importo di 600.000 euro).

Il caso

Un imprenditore, l.r. di una società pugliese, dopo essere stato condannato per il reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 per omesso versamento dell'IVA degli anni di imposta 2014 e 2015, interponeva appello fondato sull'argomento che l'inadempimento dell'obbligazione tributaria non fosse dovuto alla propria volontà.

Deduceva, in particolare, che la società svolgeva esclusivamente lavori di gestione all'interno dello stabilimento siderurgico dell'ILVA di Taranto, agendo come monomandataria di quest'ultima. Le note vicende giudiziarie che avevano travolto l'ILVA, proprio negli anni in cui veniva contestato il mancato pagamento del tributo, avevano determinato una gravissima crisi delle commesse e il mancato pagamento dei crediti; la società aveva provato a tutelarsi con l'avvio di azioni legali per il loro recupero infrangendosi però con il fallimento del colosso dell'acciaio, tanto da aver fatto istanza di ammissione al passivo per l'ingente importo di euro 600.000.

La Corte d'appello di Lecce — Sezione distaccata di Taranto, confermava l'impugnata sentenza di condanna, rifacendosi all'indirizzo di legittimità che esclude qualsiasi possibilità di invocare la scriminante di cui all'art. 51 c.p., tanto più a fronte di “scelta precisa di privilegiare il pagamento delle retribuzioni anziché versare le ritenute”.

Avverso la decisione dei giudici di secondo grado interponeva ricorso per cassazione la difesa dell'imputato deducendo vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ignorato le cause, indipendenti dalla volontà del ricorrente, che avevano determinato l'inadempimento dell'obbligazione tributaria: l'imputato aveva infatti dato piena prova di essersi attivato nell'unico modo possibile, ossia proponendo azioni legali ed insinuandosi al passivo fallimentare e certamente non avrebbe potuto provvedere al pagamento delle ingenti somme a titolo d'IVA con il proprio patrimonio personale. Tale situazione — per la difesa — doveva condurre a escludere rilevanza penale alla condotta dell'imprenditore che aveva provveduto al pagamento degli stipendi dei dipendenti, ricorrendo allo sconto bancario delle fatture; pagamento resosi necessario anche per evitare ostacoli a futuri lavori all'interno dell'ILVA a causa delle irregolarità del Durc.

La Sezione terza della Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso dell'imputato e, per l'effetto, ha annullato con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce.

La questione

Con la sentenza in commento la Cassazione torna sulla questione, controversa, della rilevanza o meno della situazione di illiquidità alla scadenza del termine fissato per il pagamento delle imposte ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento dell'IVA di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000.

È possibile escludere la colpevolezza dell'imputato che deduca – e dimostri – che l'inadempimento dell'obbligazione tributaria sia dipeso dal mancato incasso dei propri crediti? Sussistono le condizioni per invocare una causa di forza maggiore?

Sul tema ha inciso, da ultimo, l'entrata in vigore del d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 che, con l'inedito comma 3-bis aggiunto all'art. 13 d.lgs. n. 74/2000, ha coniato una nuova causa di non punibilità «se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore, sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto».

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento la Cassazione supera l'indirizzo più restrittivo in tema di omesso versamento dell'Iva, per lo più improntato a particolare rigore nella valutazione della condotta omissiva e, conseguentemente, nella individuazione di possibili situazioni idonee ad escludere la colpevolezza dell'agente.

Ripetuti arresti di legittimità, anche a livello massimamente nomofilattico (v. già Cass. pen., sez. un., 28 marzo 2013, n. 37424), hanno per lo più escluso che possa essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità (ex multis Cass. pen., sez. III, 1 dicembre 2010, n. 10120; Cass. pen., sez. III, 11 novembre 2014, n. 52039; Cass. pen., sez. III, 6 novembre 2013, n. 2614; Cass. pen., sez. III, 18 giugno 2015, n. 37873; Cass. pen., sez. III, 24 giugno 2014, n. 8352; Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2016, n. 30397; cfr. altresì Cass. pen., sez. III, 12 giugno 2013, n. 37528, che con riferimento all'omologo delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, ha affermato che la situazione di difficoltà finanziaria dell'imprenditore non costituisce causa di forza maggiore che esclude la responsabilità; negli stessi termini, Cass. pen., sez. III, n. 10120/2011). È ricorrente l'affermazione secondo la quale l'obbligo di versamento dell'IVA prescinde dall'effettiva riscossione delle relative somme, poiché il mancato adempimento del debitore è riconducibile all'ordinario rischio d'impresa, evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi (così ad es. Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2018, n. 38594; Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2019, n. 6506). Ne consegue che:

a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta;

b) la mancanza di provvista necessaria all'adempimento dell'obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità;

c) non si può invocare la forza maggiore quando l'inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alle singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità;

d) l'inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.

Questo rigore giurisprudenziale è stato temperato da quelle pronunce di legittimità che, sia pure con varietà di accenti, hanno talora riconosciuto – a determinate condizioni, sempre molto stringenti – della valenza esimente della crisi di liquidità (v. Cass. pen., sez. III, 1 dicembre 2017, n. 29873; Cass. pen., sez. III, 23 giugno 2015, n. 31930): come nell'ipotesi “patologica” in cui gli insoluti hanno superato una percentuale “da ritenersi fisiologica” (così Cass. pen., sez. III, 5 maggio 2021, n. 31352, che ha annullato con rinvio la sentenza di condanna riguardante insoluti per circa il 43% del fatturato, cui era seguita una gravissima crisi di liquidità) o, in termini più generali, quando l'inadempimento dell'obbligazione tributaria derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Cass. pen., sez. III, 6 ottobre 2015, n. 45690; Cass. pen., sez. III, 18 giugno 2015, n. 37873). In questa prospettiva più “aperturista” la Corte regolatrice ha posto l'accento sulla necessità di tenere adeguato conto delle deduzioni difensive volte a comprovare una concreta impossibilità di far fronte agli obblighi di versamento, per la situazione di crisi dell'impresa determinata da ingenti inadempimenti dei clienti, le modalità e le tempistiche del ricorso al credito da parte del soggetto agente: così Cass. pen., sez. III, 24 febbraio 2022, n. 19651), facendo in ogni caso gravare sull'imputato l'onere di dimostrare di avere vanamente esplorato ogni tentativo di risanamento della situazione finanziaria dell'impresa, finanche ricorrendo ad un indebitamento persona.

Rifacendosi proprio a tali approdi più garantisti la Cassazione, con la decisione annotata, ha annullato con rinvio la gravata decisione di condanna dando particolare rilievo a quanto nella specie la difesa aveva tempestivamente dedotto circa l'impossibilità per la società di cui l'imputato era legale rappresentante di far fronte agli obblighi di versamento dell'IVA per cause indipendenti dalla propria volontà. Per i Supremi giudici, la Corte territoriale non ha considerato con la dovuta attenzione la specifica e del tutto peculiare situazione in cui versava la società de qua, alla luce dell'ingentissima entità degli inadempimenti dell'ILVA, unica sua committente, come pure ha ignorato la ragionevolezza della scelta imprenditoriale di continuare a pagare gli stipendi anche alla luce della spiegazione data dall'imprenditore. Una diversa linea di condotta “avrebbe rappresentato – come aveva esattamente dedotto nel ricorso per cassazione – un ostacolo proprio ai lavori in corso all'interno dell'ILVA, in quanto avrebbe comportato un'irregolarità del Durc che sarebbe gravato sulla società rendendola incompatibile con qualunque lavoro da effettuarsi all'interno dell'indotto ILVA”.

Osservazioni

La Cassazione, con la sentenza 15 luglio 2024, n. 30532, per la prima volta prende in considerazione il nuovo quadro normativo rappresentato dall'entrata in vigore della riforma penale tributaria, attuata col d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 – entrato in vigore il 29 giugno 2024 – che, per quel che qui rileva, oltre a riformulare, tra l'altro, proprio la fattispecie di omesso versamento IVA ex art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, è intervenuto sull'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 inserendo il nuovo comma 3-bis, col il quale ha introdotto una nuova causa di non punibilità «se il fatto dipende da cause non imputabili all'autore, sopravvenute, rispettivamente, all'effettuazione delle ritenute o all'incasso dell'imposta sul valore aggiunto. Ai fini di cui al primo periodo, il giudice tiene conto della crisi non transitoria di liquidità dell'autore, dovuta all'inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte amministrazioni pubbliche o della non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi».

L'esimente sembra (dichiaratamente) muoversi sul piano dell'inesigibilità della condotta, quale ipotesi speciale riconducibile al genus delle cause di forza maggiore.

La Suprema Corte, in quest'occasione, ha solo accennato allo ius superveniens, limitandosi ad enunciarne l'esistenza (“…è appena il caso di osservare, in linea generale…”: § 3.4 motiv.) senza affrontare il tema della sua natura giuridica e della sua applicabilità retroattiva – in quanto norma di favore – anche ai fatti pregressi, come quelli al vaglio. Non v'è dubbio, tuttavia, che la stessa “presa d'atto” dell'esistenza del nuovo comma 3-bis dell'art. 13 d.lgs. n. 74/2000 sembra aver rappresentato la ragione profonda che ha indotto la Suprema corte a superare il proprio indirizzo più rigoroso e quelle stesse aperture giurisprudenziali che finora avevano riconosciuto valenza esimente alla crisi di liquidità solo a fronte di condizioni del tutto eccezionali ed, in pratica, pressoché virtuali.

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