Infiltrazioni da cosa in custodia: ripartizione dell’onere della prova tra custode e danneggiato

11 Novembre 2024

Il proprietario di un bene immobile, sia esso soggetto privato oppure condominio, è custode della res ed è obbligato al rispetto degli oneri che conseguono a tale posizione. Il rapporto di custodia, peraltro, richiede la sussistenza di un ulteriore elemento, da individuarsi nella disponibilità della cosa. Custode e danneggiato devono, su fronti opposti, provare il fondamento delle rispettive domande e la giurisprudenza di merito esprime tante decisioni quanti sono i casi concreti alla stessa sottoposti.

Massima

Alla luce del disposto di cui all'art. 2051 c.c. e della conforme giurisprudenza pronunciatasi sul punto, ai fini dell'affermazione di responsabilità del “custode”, occorre prospettare e provare - onere, questo, incombente su chi agisce per ottenere il ristoro del pregiudizio patito, secondo gli ordinari criteri di riparto di cui all'art. 2697 c.c. - il nesso di causalità tra la “cosa” ed il danno.

Il caso

Il conduttore di un immobile ad uso abitativo si rivolgeva al Tribunale competente e chiedeva la condanna del condominio al pagamento di una somma a titolo di risarcimento, patrimoniale e non patrimoniale, subìto a causa di infiltrazioni di acqua piovana verificatesi nell'appartamento in questione e provenienti dalla sovrastante terrazza condominiale, priva di copertura. A corredo della domanda, l'attore produceva documentazione fotografica e perizie di parte con la quantificazione del danno.

Il Condominio si costituiva in giudizio, eccependo che la domanda azionata era priva di prova sia in ordine all'evento lesivo, sia al nesso di causalità tra questo e i pregiudizi lamentati. Peraltro, parte attrice, sempre secondo il convenuto, aveva posto in essere un comportamento colposo assorbente o quantomeno concorrente nella causazione del danno.

Nel giudizio così incardinato, trovavano ingresso, prima, l'assicurazione del Condominio da questi chiamata in manleva in caso di condanna e, quindi, alcuni condomini nei cui confronti il contraddittorio era stato integrato.

La causa, decisa sulla base delle risultanze istruttorie, si concludeva con il rigetto della domanda attrice.

La questione

La sentenza in esame offre l'occasione per riflettere su alcune questioni concrete: l'identificazione del “caso fortuito” e la ripartizione dell'onere della prova tra le parti interessate al giudizio.

Le soluzioni giuridiche

L'esito della consulenza tecnica d'ufficio, determinante per la decisione della controversia, ha presentato due profili degni di nota. Da un lato, il consulente, sulla base dei sopralluoghi e della documentazione fotografica fornita dallo stesso attore, aveva dedotto che pur nella sussistenza delle macchie di umidità le stesse non potevano riprodurre infiltrazioni tali da causare i danni lamentatati. Trattandosi, tra l'altro, di macchie limitate alla sommità del locale e non interessanti le pareti dello stesso. Per altro verso l'ausiliario del giudice individuava le cause delle infiltrazioni nell'appartamento dell'attore in una non perfetta tenuta dell'impermeabilizzazione della terrazza di copertura di pertinenza esclusiva dell'appartamento di due dei litisconsorti e che fungeva da copertura dell'intero stabile.  

Queste due considerazioni, inscindibili tra loro, hanno portato il Tribunale etneo a condividere la conclusione del CTU, il quale aveva escluso il nesso eziologico tra le infiltrazioni verificatesi nell'immobile condotto in locazione dall'attore e i danni ai beni mobili prospettati nell'atto di citazione. In questo contesto aveva assunto ulteriore rilievo il comportamento processuale dell'attore, il quale aveva perseverato nella propria certezza della responsabilità del condominio nell'evento dannoso senza avere nulla da obiettare sui risultati degli accertamenti del consulente stesso. In pratica - come si legge nel provvedimento - l'attore non aveva fornito alcun elemento volto a corroborare la prospettazione formulata nell'atto introduttivo del giudizio, dando per scontata e presupposta l'esistenza di tale collegamento causale.

Osservazioni

La sentenza del Tribunale di Catania si inserisce nel solco di una giurisprudenza che si è consolidata nel tempo, sia per quanto concerne il carattere oggettivo della responsabilità connessa ad eventi che abbiano prodotti danni, sia per l'individuazione del terreno sul quale custode e danneggiato si devono muovere per liberarsi di quella che potrebbe essere una propria responsabilità che, una volta accertata, costituirebbe la base per il risarcimento danni.

I principi richiamati in materia dal giudicante in via preliminare rappresentano un paradigma consolidato.

L'oggettività del criterio di imputazione della responsabilità, sancito dall'art. 2051 c.c., si riferisce alla ricerca di un rapporto di dipendenza tra il danno subito ed il bene in custodia, indipendentemente dalla pericolosità in sé del bene stesso. Il fatto che tale responsabilità non si fondi su di una presunzione di colpa, tuttavia, non libera il custode dal dover dimostrare, ai fini dell'esimente del caso fortuito, la propria estraneità al fatto da cui il danno è originato.

È importante, a tal fine, definire il concetto di “custode” per comprendere se tale qualificazione si identifichi in colui che ha il potere di fatto sul bene, oppure se interessi colui che ne ha la disponibilità giuridica. La questione, ad esempio, si è posta con particolare riferimento al rapporto proprietario/conduttore, ove il primo ha la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esso inglobati, sui quali l'inquilino non è titolare di alcun potere-dovere di intervenire. In questo caso, la responsabilità per eventuali danni non può che ricadere sul locatore in via esclusiva, mentre ove il danno sia stato provocato da altre parti o accessori del bene locato, che si vengono a trovare nell'area di disponibilità del conduttore, sarà questi a doversene fare carico (Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1996, n. 11321). Quindi, in questo ambito, nel quale la relazione tra i due soggetti è ben individuata, la custodia si ripartisce tra gli stessi in ragione dell'attività di conservazione del bene (Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2005, n. 26086). La stessa ratio si applica al caso in cui il danno che ha subito il condomino provenga da un bene di natura condominiale, pur nella consapevolezza che l'ente è integralmente custode di tali beni.

Chiarito questo primo elemento, occorre evidenziare che l'oggettività prevista dall'art. 2051 c.c. pone, in ogni caso, a carico di entrambi i soggetti un differente onere della prova: il custode deve dimostrare il caso fortuito, mentre il danneggiato la relazione causale tra la cosa in custodia e il danno.

Nella prima ipotesi il custode-convenuto si viene a trovare nella fattispecie normativa prevista dall'art. 2697, comma 2, c.c. poiché per liberarsi dalle responsabilità derivanti dall'evento non si può limitare a contestare i fatti dedotti dall'attore-danneggiato ma deve eccepire e dimostrare la sussistenza del “caso fortuito”, che si pone come un fattore non determinato dal comportamento del responsabile né riconducibile alla res, ma è rappresentato da un elemento esterno ed estraneo e, in quanto tale, imprevedibile ed inevitabile. Solo se sono accertati tali presupposti l'intervento della variabile rimuove il noto nesso causale.

La nozione della imponderabilità dell'evento è stata più volte chiarita dalla Corte di Cassazione che si è occupata dell'argomento con riferimento ai campi più disparati, ma sempre conferendo al termine di cui all'art. 2051 c.c. un significato uniforme e costante:  il caso fortuito è costituito da “ciò che è non prevedibile in termini oggettivi (senza che possa ascriversi alcuna rilevanza all'assenza o meno di colpa del custode) ovvero che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale e ha idoneità causale assorbente; l'imprevedibilità è suscettibile di esaurirsi col trascorrere del tempo, che determina la perdita del carattere di eccezionalità all'accadimento”.

Un esempio pratico di tale principio in materia condominiale lo si ritrova in un particolare precedente della stessa Corte allorché, ribadito tale orientamento, nell'ipotesi il vizio di costruzione della cosa in custodia  aveva esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l'evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice la quale, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice, quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2008, n. 26051).

Un ultimo cenno riguarda la posizione del danneggiato-attore al quale si chiede, ai sensi dell'art. 2697, comma 1, c.c.  di provare i fatti che costituiscono il fondamento del diritto reclamato, con l'accortezza di considerare che, come costruzione giurisprudenziale (infatti, l'art. 2051 c.c. pone esplicitamente solo a carico del custode l'onere di provare la propria estraneità all'evento), l'oggetto della prova è stato identificato e circoscritto ad un solo elemento: la prova del nesso causale tra evento dannoso e nocumento subìto.

Riferimenti

Laghezza, Responsabilità da cose in custodia, caso fortuito e nessi di causa in Cassazione, in Foro it., 2023, I, 1425;

Plagenza, Infiltrazioni e responsabilità del condominio: va provato il nesso causale tra cosa in custodia e danno, in NT-Condominio e Immobili, 8 settembre 2022;

Gallucci, Pioggia e infiltrazioni: riconosciuto il caso fortuito se i danni sono causati da un prolungato acquazzone, in Dir. e giust., 9 maggio 2013.

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