Legittimazione passiva dell’amministratore di condominio nella actio negatoria e confessoria servitutis
20 Dicembre 2024
Massima Il comma 2 dell'art. 1131 c.c., nel prevedere la legittimazione passiva dell'amministratore di condominio in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini (senza distinguere tra azioni di accertamento ed azioni costitutive o di condanna), deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo, così, all'esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini, per cui, riguardo ad azioni negatorie e confessorie di servitù, la suddetta legittimazione passiva sussiste anche nel caso in cui l'azione sia diretta ad ottenere la rimozione di opere comuni. Il caso La causa - giunta all'esame del Supremo Collegio - traeva le mosse da un'azione promossa dai condomini del Condominio X, in persona dell'amministratore pro tempore, nei confronti del Condominio Y, invocando l'accertamento dell'esistenza di un diritto di servitù di passaggio (pedonale e carrabile) e la condanna del convenuto a rimuovere le opere limitative dell'esercizio del transito. Nella resistenza del Condominio Y, e con l'intervento di numerosi condomini facenti parte del Condomino X, i quali aderivano alla domanda, il Tribunale accoglieva quest'ultima. La Corte d'Appello, adita in sede di gravame, riformava la decisione di prime cure, rigettando la domanda formulata dal Condominio originario attore, condannandolo al pagamento alle spese del doppio grado del giudizio di merito. Il Condominio X, unitamente ai partecipanti intervenuti in giudizio, proponeva quindi ricorso per cassazione, cui resisteva con controricorso il Condominio Y, spiegando ricorso incidentale condizionato e subordinato. La questione Al fine di vagliare l'ammissibilità, prima, e la fondatezza, poi, dei rispettivi ricorsi (principale e incidentale), si trattava di perimetrare correttamente la legittimazione, attiva e passiva, dell'amministratore di condominio nell'ipotesi di azioni a difesa del diritto di servitù (nella specie, di passaggio). Le soluzioni giuridiche In via preliminare, i giudici di Piazza Cavour hanno smentito l'assunto per cui l'amministratore di condominio non potesse agire a tutela di un diritto reale, costituito a favore del condominio, se non sulla base di un mandato conferitogli, all'unanimità, da tutti i partecipanti all'ente di gestione. Invero, va esclusa la necessità di integrazione del contraddittorio in un giudizio per la costituzione della servitù di passaggio coattivo, instaurato da un comproprietario del fondo dominante, sia perché ogni partecipante alla comunione può chiedere la costituzione di detta servitù a favore del fondo intercluso, sia per il principio dell'indivisibilità della servitù, atteso che, una volta riconosciute le condizioni per l'imposizione della servitù stessa, questa deve intendersi costituita attivamente e passivamente a favore ed a carico dei rispettivi fondi, con effetti che, concretandosi in una qualitas fundi, non possono essere circoscritti al solo condomino che richiese di ottenere il passaggio (Cass. civ., sez. VI/II, 20 marzo 2012, n. 4399; Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1969, n. 247). Nelle specie, il vizio lamentato non sussisteva, posto che l'amministratore del condominio ha pieno diritto - e, anzi, è espressamente obbligato dalla legge (artt. 1130 e 1131 c.c.) - a compiere tutti gli atti conservativi dei beni e dei diritti comuni. Con specifico riferimento alle azioni a difesa dei diritti spettanti all'intera compagine condominiale, i giudici di legittimità hanno ribadito che, poiché il diritto di ciascun condomino investe la cosa comune nella sua interezza, sia pure con il limite del concorrente diritto degli altri condomini, anche un solo condomino può promuovere le azioni reali a difesa della proprietà comune, senza che sia necessario integrare il contradditorio nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione. Pertanto, tali azioni possono essere deliberate anche a maggioranza dall'assemblea dei condomini, la quale può conferire all'amministratore o ad altri il potere di agire nel comune interesse (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6119; Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1975, n. 3751) Viene, inoltre, confutato l'ulteriore assunto difensivo, in base al quale la Corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito rilievo all'intervento spiegato dai partecipanti al Condominio attore, poiché esso avrebbe dovuto essere qualificato come intervento adesivo dipendente e, quindi, dunque inidoneo a superare l'eccezione di carenza di legittimazione ad agire in capo all'amministratore del Condomini attore. Infatti - richiamando le considerazioni prima esplicitate - viene affermata la sussistenza ab origine della legittimazione ad agire in capo all'amministratore del Condominio attore, i quali, nell'àmbito del potere-dovere attribuitogli dagli artt. 1130 e 1131 c.c., ha promosso la actio confessoria servitutis a protezione di un diritto di servitù di passaggio costituito a favore del Condominio da lui amministrato, sulla base della delibera autorizzativa debitamente approvata a maggioranza dei presenti. Il successivo intervento adesivo spiegato dai soggetti partecipanti al Condominio attore, aderendo alla posizione di quest'ultimo, corrobora, ove necessario, l'azione proposta dal rappresentante dell'ente di gestione, atteso che, evidentemente, gli intervenienti hanno fatta propria la domanda spiegata dal loro rappresentante. Né sussiste alcun profilo di dipendenza tra la domanda spiegata dal Condominio e quella proposta dagli intervenienti, poiché, non sussistendo una soggettività autonoma in capo all'ente di gestione, la domanda rimane la stessa, e consiste nella protezione di un diritto reale costituito a favore del Condominio attore e, dunque, di tutti i partecipanti ad esso, pro quota. Passando al merito del ricorso principale, il Condominio ricorrente rimproverava alla Corte d'appello di aver erroneamente ritenuto carente la prova dell'esistenza della servitù, sul presupposto che, agli atti del giudizio di merito, fossero stati allegati soltanto i titoli con i quali i singoli partecipanti al Condominio attore avevano acquistato le porzioni immobiliari di loro proprietà, senza considerare che la parte attrice aveva allegato, altresì, una convenzione di lottizzazione, trascritta nel 1962, intercorsa tra gli originari proprietari delle aree di cui è causa ed il Comune, con la quale era stata istituita la servitù di passaggio oggetto di contestazione. Tale censura è stata ritenuta fondata dai magistrati del Palazzaccio. Invero, la parte ricorrente ha indicato, nella censura in esame, di aver prodotto il documento erroneamente ritenuto assente dal giudice distrettuale, indicando specificamente il momento del giudizio di merito e lo strumento processuale con il quale esso era stato introdotto, nonché riportandone il passaggio fondamentale, ivi contenuto, con il quale veniva istituita la servitù di passaggio oggetto di causa, sicché la Corte di Appello ha errato nell'affermare che non risultava agli atti il titolo costitutivo del diritto reale di godimento anzidetto, il quale, peraltro, risultava richiamato - come afferma lo stesso giudice di secondo grado nella sentenza impugnata - in tutti gli atti di acquisto, con i quali i singoli condomini avevano acquistato le unità immobiliari di loro rispettiva proprietà. Del pari, risultava infondata l'eccezione, sollevata dal Condominio controricorrente, secondo cui non sussisterebbe il vizio di omesso esame denunciato dal ricorrente principale, poiché la Corte distrettuale avrebbe esaminato i titoli allegati a sostegno dell'esistenza del diritto di servitù oggetto di causa, atteso che, dall'esame degli atti, risultava, appunto, che l'esistenza della convenzione di lottizzazione del 1962, dalla quale il diritto in re aliena di cui è causa traeva origine, era stata dedotta dal ricorrente principale. La gravata sentenza è stata, dunque, cassata dagli ermellini al fine di rimediare a tale omesso esame. Osservazioni Interessa queste brevi note l'esame dell'eccezione in base alla quale la Corte d'Appello avrebbe erroneamente affermato che la domanda proposta nei confronti del Condominio Y non investiva dal lato passivo i suoi partecipanti, nei cui confronti, quindi, non aveva ravvisato l'esigenza di integrare il contraddittorio. Il Supremo Collegio ha considerato tale doglianza infondata. Sul punto, è stato ribadito il principio secondo cui il comma 2 dell'art. 1131 c.c., nel prevedere la legittimazione passiva dell'amministratore in ordine ad ogni lite avente ad oggetto interessi comuni dei condomini - senza distinguere tra azioni di accertamento ed azioni costitutive o di condanna - deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo, così, all'esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei condomini. Pertanto, riguardo ad azioni negatorie e confessorie di servitù, la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste anche nel caso in cui l'azione sia diretta ad ottenere la rimozione di opere comuni (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1996, n. 1485: nella specie, l'azione era volta alla rimozione della centrale termica condominiale dal luogo in cui era stata installata ed è è stato escluso il litisconsorzio necessario dei condomini). A tale orientamento, il giudice di ultima istanza intende assicurare continuità, “non potendosi confondere il caso in cui la actio confessoria servitutis implichi la rimozione degli ostacoli frapposti, da chi non ne aveva diritto, al legittimo esercizio del diritto reale, alla diversa ipotesi in cui la actio negatoria servitutis, proposta contro il condominio, implichi la rimozione delle opere comuni, attraverso le quali la servitù venga esercitata”. Quest'ultima affermazione non convince, perché, in entrambi i casi, pienamente speculari, l'accoglimento della domanda attorea comporta - come nel caso di specie - la “rimozione di parti di proprietà comune”, richiedendo, quindi, la necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini. Appare maggiormente persuasivo il (diverso, anche se non recente) insegnamento degli stessi giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1984, n. 6396; Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 594), ad avviso dei quali, in tema di azioni negatorie e confessorie servitutis, la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste tutte le volte in cui sorga controversia sull'esistenza e sull'estensione di servitù prediali costituite a favore o a carico dello stabile condominiale nel suo complesso o di una parte di esso; le servitù a vantaggio dell'intero edificio in condominio, contraddistinte dal fatto che l'utilitas da esse procurate accede all'intero stabile e non ai singoli appartamenti individualmente considerati, vengono esercitate indistintamente da tutti i condomini nel loro comune interesse e, pertanto, pur appartenendo a costoro e non al condominio in quanto tale - posto che questo è privo di personalità giuridica - integrano un bene comune inerente alla sfera della rappresentanza processuale del suddetto amministratore, a norma del comma 2 dell'art. 1131 c.c. Allorquando l'azione negatoria sia diretta, invece, a conseguire anche la rimozione di opere comuni, attraverso le quali la servitù venga esercitata, è necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini in quanto, in tale ipotesi, gli effetti di detta azione sono destinati a riflettersi sulle situazioni giuridiche dei singoli condomini considerati come espressioni di interessi individuali. In proposito, si è correttamente sottolineato (Cass. civ., Sez. II, 25 febbraio 1987, n. 2010) che la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio, ex art. 1131, comma 2, c.c., in ordine alle controversie che concernono l'esistenza o l'estensione di servitù prediali costituite (a favore o) a carico della cosa comune o di sue parti, non esclude la necessaria partecipazione al giudizio di tutti i condomini, ove il titolare del fondo dominante, oltre a (o invece di) proporre soltanto una confessoria servitutis, agisca, ai sensi dell'art. 1067, comma 2, c.c., per l'eliminazione di opere eseguite nell'edificio (servente) in regime di condominio, che siano tali da impedire o restringere l'esercizio della servitù, trattandosi, appunto, di azione che incide, restringendole, sulle facoltà dei contitolari del diritto domenicale di usare della cosa propria iure dominii. Del resto, quando viene esercitata l'actio negatoria servitutis e venga anche richiesta la rimozione delle opere mediante le quali è esercitato il diritto di servitù, la cui inesistenza si vuol far accertare, il contenuto della relativa domanda destinato a riflettersi, altresì, sulle situazioni giuridiche dei singoli condomini e non può, quindi, essere disposta o attuata pro quota la modifica della cosa comune in assenza dal giudizio di tutti i contitolari del diritto dominicale in oggetto (Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1989, n. 4901). Con specifico riguardo all'actio negatoria servitutis, sia che abbia ad oggetto la sola dichiarazione di inesistenza di diritti reali altrui sulla cosa di proprietà dell'attore, sia che si indirizzi ad ottenere la cessazione dell'attività antigiuridica della controparte, si precisa che la stessa può essere esercitata da uno solo dei comproprietari, in quanto la legittimazione attiva non può non appartenere a ciascuno dei condomini, essendo la quota ideale di interesse di ognuno compenetrata nell'intera consistenza del bene che forma oggetto della comunione (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1985, n. 3835, in ordine alla legittimazione del singolo a proporre tale domanda a tutela della libertà della cosa comune senza la necessità dell'intervento in giudizio degli altri partecipanti). Viceversa, può essere proposta contro un solo proprietario del fondo che appare dominante unicamente quando abbia ad oggetto il mero accertamento dell'inesistenza della servitù, giacché risolvendosi quest'ultimo, nel suo lato passivo, in un obbligo negativo del proprietario del fondo servente, l'inesistenza di tale obbligo può essere esercitata nei confronti di uno solo dei proprietari del fondo dominante (Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1996, n. 8565; Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1995, n. 5612). Riferimenti Triola, La legittimazione passiva dell'amministratore, in Amministr. immobili, 2017, fasc. 214, 7; Monegat, La legittimazione passiva dell'amministratore non ha limiti, in Immob. & proprietà, 2015, 53; Tortorici, La rappresentanza processuale passiva dell'amministratore, in Immob. & proprietà, 2011, 355; Scarongella, La legittimazione processuale passiva dell'amministratore di condominio, in Contratti, 2011, 552; Celeste, Le Sezioni Unite ridimensionano la legittimazione passiva dell'amministrazione del condominio bilanciandola con il potere decisionale dell'assemblea, in Foro it., 2010, I, 3361; Izzo, Esclusa la legittimazione passiva “generale” dell'amministratore di condominio, in Dirittoegiustizia.it, 2010; Gravina Di Ramacca, La legittimazione processuale passiva dell'amministratore del condominio, in Gazzetta forense, 2010, fasc. 5, 12; De Tilla, Sulla legittimazione passiva dell'amministratore di condominio, in Arch. loc. e cond., 2000, 266; De Michel, Servitù e condominio, in Giur. it., 1994, I, 1, 1815; Trocker, Litisconsorzio necessario e ordine di integrazione del contraddittorio nell'actio negatoria servitutis in materia condominiale, in Giur. it., 1985, I, 1, 942. |