Regolamento condominiale contrattuale: le clausole devono essere chiare e non suscettibili di incertezze
23 Dicembre 2024
Massima Le clausole contrattuali devono essere formulate in modo espresso o, comunque, non equivoco in modo tale da non lasciare alcun margine di incertezza nel contenuto e la portata delle relative disposizioni. Posto ciò, i divieti devono risultare da espressioni incontrovertibili rilevatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze e non possono, quindi, dar luogo ad interpretazioni estensive delle relative norme ai sensi dell'art. 1362 c.c. Il caso Alcuni condomini intentavano apposita azione contro un altro condomino che svolgeva attività di pasticceria, al piano terra e al piano cantinato, e lo convenivano innanzi al Tribunale affinché il giudice adito accertasse e dichiarasse la cessazione di tale attività in virtù della violazione di apposita clausola prevista nel regolamento condominiale di naturale contrattuale, che vietava l'esercizio di attività ad uso artigianale. Il giudice di prime cure (Tribunale Trani, ex sede distaccata di Barletta) accoglieva domanda degli attori dichiarando la cessazione dell'attività commerciale svolta da parte del convenuto, oltre tutta una serie di prescrizione per eliminare alcune opere create illegittimamente dal detto convenuto, funzionali all'attività. Avverso tale pronuncia di prime cure, veniva proposto gravame innanzi alla Corte d'Appello competente da parte dell'appellante, ove chiedeva la revisione in toto della pronuncia di prime cure. La Corte d'Appello di Bari si pronunciava respingendo l'appello, rigettando tutti motivi sollevati dall'appellante, ritenendo legittima la sentenza di primo grado, e che il condomino aveva violato la clausola prevista nel regolamento contrattuale circa il divieto di esercitare attività di natura artigianale. Avverso la decisione del giudice del gravame, l'appellante proponeva ricorso in cassazione adducendo sei motivi censura. L'appellato resisteva con controricorso. Gli ermellini accoglievano il quarto e sesto motivo del ricorso, respingevano i primi tre motivi ed assorbito il quinto, cassavano la sentenza impugnata, in relazioni ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Bari, che avrebbe dovuto provvedere anche in ordine alle spese del giudizio. Il ricorrente riassumeva il giudizio innanzi alla Corte territoriale che emetteva sentenza con le precisazioni ed i principi di diritto indicati dalla Cassazione, con accoglimento del gravame e riformando in toto la sentenza del Tribunale di prime cure, dichiarando legittimo l'esercizio dell'attività artigianale e che tutti manufatti ed opere erano da considerarsi funzionali allo svolgimento della predetta attività. La questione Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti i presupposti per dichiarare la cessazione dell'attività commerciale svolta da un condomino, alla luce della violazione del regolamento condominiale contrattuale, posto a vaglio della Corte di Appello competente, dopo che la Suprema Corte aveva cassato con rinvio una prima pronuncia della Corte territoriale pugliese, di conferma del giudizio di prime cure. I principi in diritto precisati dalla Cassazione sono stati adottati dal giudice di appello, il quale, con la nuova sentenza, ha accolto il gravame, riformando integralmente la pronuncia di primo grado. Le soluzioni giuridiche In linea di principio, è stata ritenuta corretta la pronuncia del Corte d'Appello pugliese, che ha recepito i principi in diritto pronunciati dalla Suprema Corte, in virtù del giudizio di rinvio, precisando che i divieti ed i limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro ed esplicito, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (Cass. civ. sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307). Infatti, gli ermellini hanno cassato la decisione impugnata perchè, dalla presenza di una clausola del regolamento di condominio espressamente limitativa della destinazione d'uso dei soli locali cantinati e terranei a specifiche attività non abitative, aveva tratto l'esistenza di un vincolo implicito di destinazione, a carattere esclusivamente abitativo, per gli appartamenti sovrastanti, uno dei quali era stato invece adibito ad attività di ristorazione, mediante scala di collegamento interna ad un vano ubicato al piano terra. Ne consegue, che le clausole dei regolamenti condominialipredisposti dall'originario proprietario dell'edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto ad altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l'uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Dunque, va sottolineato che: “Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una relatio perfecta attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all'interno dell'atto d'acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso” (così Cass. civ. sez. II, 9 agosto 2022, n. 24526). Seguendo sempre il principio in diritto, ex art. 384, comma 1, c.p.c.: “Le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il loro immobile a determinate destinazioni, costituiscono servitù reciproche a favore e contro ciascuna unità immobiliare di proprietà individuale, e sono soggette, pertanto, ai fini dell'opponibilità ultra partes, alla trascrizione in base agli artt. 2643, n. 4 e 2659, comma 1, n. 2 c.c.” (Cass. civ. sez. II, 9 agosto 2022, n. 24526). Si deduce che, nell'atto di acquisto del ricorrente, mancano del tutto la riproduzione delle clausole contenute nel Regolamento condominiale, limitative della proprietà individuale, non essendo sufficiente, come chiarito dalla Cassazione, il mero rinvio al detto regolamento, pur avente natura contrattuale. Le clausole contenute nei regolamenti di condominio, che contemplano limiti all'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, devono essere interpretate in senso restrittivo e non estensivo (Cass. civ., sez. III, 23 maggio 2024, n. 14377). Non meno importante è l'aspetto che tale accertamento è rimesso al giudice di merito, implicando una caratteristica valutazione di fatto. Erroneamente, nella fattispecie posta al proprio vaglio la Corte territoriale, con la prima pronuncia cassata, ha ritenuto che la previsione dell'art 20 del regolamento condominiale includesse tra le attività artigianali, anche quella di pasticceria. Però, le limitazioni all'uso delle parti di proprietà individuale non formano oggetto del potere regolamentare, come sancito nell'art. 1138, comma 1, c.c. Con la sentenza in disamina, alla luce del principio statuito dalla Suprema Corte, si dichiara la legittimità dell'esercizio dell'attività artigianale espletata dall'appellante, e, conseguentemente, anche le opere funzionali all'esercizio della predetta attività artigianale. Per completezza, deve aggiungersi che, proprio in riferimento a tali opere, che la cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso dal suo normale, uso se ciò non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari. Ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, nel rispetto della sua destinazione, per ricavarne maggiore vantaggio nel godimento di un'unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune (Cass. civ. II, 10 gennaio 2024, n. 980; Cass. civ. II, 22 novembre 2023, n. 32432). Osservazioni Il regolamento condominiale è l'insieme di norme che regolano la vita condominiale. Esso deve essere formato in ogni stabile con più di dieci condomini e contiene le regole per la gestione dei beni comuni del palazzo, quelle poste a tutela del decoro architettonico dell'edificio e quelle relative ai criteri di ripartizione delle spese (art. 1138 c.c.). Il regolamento contrattuale è da considerarsi quello predisposto dall'originario proprietario del palazzo o dal suo costruttore, viene allegato negli atti di vendita delle singole unità immobiliari e accettato dai proprietari mediante l'incorporazione dello stesso nei singoli atti di acquisto. Il regolamento contrattuale contiene due tipi di disposizioni: quelle di natura contrattuale e quelle di natura regolamentare La distinzione tra le due è che le prime hanno come oggetto la limitazione dei diritti dei condomini sulle parti private (es. costituendo divieti di destinazione d'uso per gli appartamenti) e comuni, e possono essere modificate unicamente con il voto unanime dei condomini, mentre le seconde riguardano le modalità di uso dei beni condominiali e possono essere modificate con le maggioranze di cui all'art. 1136 c.c. (ossia la maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno i 500 millesimi del condominio). Le modifiche di clausole contenute nel regolamento contrattuale sono valide e non possono essere poste nel nulla con una delibera adottata a maggioranza, in caso contrario sarebbero da considerarsi nulle (Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2011, n. 3705). In ogni caso la disposizione contenuta nell'art. 1138, ultimo comma, c.c., secondo la quale i regolamenti condominiali non possono in alcun modo menomare i diritti dei condomini, si riferisce ai regolamenti approvati a maggioranza, ma non a quelli approvati da tutti i condomini, i quali, rivestendo con detto valore contrattuale ben possono contenere limitazioni ai diritti dei condomini stessi sia sui beni comuni che su quelli individuali. Tuttavia, le norme di un regolamento di condominio aventi natura contrattuale possono derogare od integrare la disciplina legale (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121). Il regolamento assembleare può contenere solo norme che disciplinano l'uso e le modalità di godimento delle cose/servizi/impianti comuni, sulla destinazione di aree condominiali scoperte a sosta di autovetture dei singoli partecipanti al condominio. Il tutto, in modo il più possibile idoneo a soddisfare l'utilità del singolo contemperando con il diritto di pari natura degli altri partecipanti, mentre la misura e l'intensità del godimento stesso devono risultare unicamente dalla legge, dal titolo di acquisto o dalla volontà negoziale unanime dei partecipanti. Entro questi confini, il regolamento votato a maggioranza è idoneo a “regolamentare” (e non “limitare”) l'utilizzo delle parti comuni dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1999, n. 1057; Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268), e tale regolamentazione sarà operativa anche nei confronti di chiunque entrerà a far parte del condominio, senza bisogno di trascrizione, per l'evidenziata natura “normativa” delle disposizioni regolamentari, restando onere di ogni acquirente farsi parte diligente per conoscere le regole di vita di quella compagine condominiale. In buona sostanza, le clausole dei regolamenti che limitano i diritti di ciascun condomino devono essere esplicite, e i divieti ed i limiti di destinazione alla facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva devono risultare daespressioni incontrovertibilmente rilevatrici di un intento chiaro ed esplicito non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, necessita un'interpretazione di carattere estensivo, sia per quanto concerne l'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia quanto attiene ai beni alle stesse soggetti (Cass. civ., sez. II, 19 agosto 2021, n. 23128; Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n. 21307; Cass. civ., sez. VI/II, 11 settembre 2014, n. 19229; Cass. civ., sez. II, 1° ottobre 1997, n. 9564). Riferimenti Celeste, Regolamento di condominio: esclusa l'interpretazione estensiva delle disposizioni sui limiti di utilizzo delle proprietà individuali, in IUS Condominioelocazione, 2024; Celeste, Formulario condominio e locazione, Milano, 2024, 238; Frivoli, La vincolatività del regolamento contrattuale sulle proprietà esclusive dei condomini, in Condominioweb.com, 2022; Celeste, Regolamento contrattuale (opponibilità), in IUS Condominioelocazione, 2019; Ginesi, Limiti posti dal regolamento contrattuale alle proprietà individuali: natura, opponibilità e rilevabilità in giudizio, in Immob. & proprietà, 2018, 296; Della Corte, Regolamento contrattuale (interpretazione e modifica), in IUS Condominioelocazione, 2018; Tarantino, Conseguenze della mancata trascrizione delle clausole limitative dei diritti dei condomini sui beni, in IUS Condominioelocazione, 2018. |