Condominio e locazione

Molestie “di diritto” nel godimento della cosa locata e obbligo di garanzia in capo al locatore

06 Febbraio 2025

Con l'ordinanza in commento, la Cassazione, esaminando una fattispecie particolare, ha escluso che l'esercizio del diritto posto in essere dal terzo, avente causa del locatore, di riaprire una porta di comunicazione tra l'immobile acquistato e quello concesso in locazione, precedentemente murata dal conduttore ai fini della concessione del certificato di prevenzione incendi, costituisse molestia di diritto, non essendo sorto un conflitto con il diritto accordato al conduttore mediante l'originario contratto di locazione.

Massima

La molestia di diritto, per la quale è stabilito l'obbligo di garanzia del locatore, si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compie atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata, ma riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore (non giustificate dalla specifica detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione), si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dall'art. 1585 c.c.

Il caso

La causa, giunta all'esame del Supremo Collegio, originava da un'azione, promossa da un conduttore, titolare di un albergo, nei confronti del locatore, deducendo - per quel che qui rileva - che, nel 1982, in funzione della concessione del Certificato Prevenzione Incendi (CPI), necessario per il nulla osta alla continuazione dell'attività alberghiera, il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco aveva chiesto che fosse chiusa con opera muraria la porta di comunicazione tra la scala dell'albergo e l'adiacente appartamento soprastante un magazzino di capi di abbigliamento, di proprietà dello stesso locatore, cui si accedeva dal contiguo civico, e che, nel 2011, un terzo, nuovo proprietario del magazzino e del soprastante appartamento adiacente all'albergo, aveva riaperto la porta precedentemente murata, destinando l'immobile non più a magazzino di abbigliamento, ma a civile abitazione, con attività di bed and breakfast (peraltro, il vecchio proprietario, suo locatore, aveva agito giudizialmente in possessorio contro il nuovo proprietario del suddetto appartamento, ma tale azione era stata rigettata, anche, in via definitiva, in sede di merito).

Orbene, la circostanza dell'avvenuta riapertura della porta, facendo venir meno il presupposto del prescritto CPI, aveva determinato, quale conseguenza necessaria, la cessazione, da parte sua, dell'attività alberghiera e il licenziamento dei dipendenti.

Sulla base di queste deduzioni, ed assumendo che, nella fattispecie, sussistesse l'inadempimento del locatore rispetto alle obbligazioni di cui all'art. 1575, nn. 2 e 3, c.c., non avendo quest'ultimo mantenuto la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto e non avendone garantito al conduttore il pacifico godimento, il conduttore chiedeva, dunque, la declaratoria di risoluzione della locazione per inadempimento del locatore, con condanna di quest'ultimo a risarcire i pregiudizi derivanti dall'interruzione dell'attività di impresa dal 2011.

Il convenuto, costituitisi in giudizio, resisteva alle domande, deducendo, in particolare, riguardo a quella risolutoria e risarcitoria, che l'interruzione dell'attività alberghiera non era stata causata dal venir meno delle condizioni “giuridiche” a seguito della riapertura della porta murata, ma da scelte “economiche” compiute dall'imprenditore in ragione della crisi del settore.

Il Tribunale, espletate due CTU - una sulla configurabilità della decadenza del CPI quale conseguenza della riapertura dell'uscio murato e l'altra sul valore delle migliorie apportate dal locatore all'immobile - aveva accolto parzialmente le domande principali.

Ribaltando il verdetto del primo grado di giudizio, la Corte d'Appello, in accoglimento dell'impugnazione proposta dal locatore e in integrale riforma della sentenza di primo grado, aveva rigettato le domande formulate dal conduttore, sul fondante assunto per cui, dall'esame degli atti risultava che, nel 1982, la “muratura” della porta di comunicazione tra l'albergo e l'adiacente locale sovrastante la bottega-magazzino, a cui si accedeva dal civico contiguo all'albergo medesimo, era stata resa necessaria, in funzione della concessione del CPI, dalla circostanza che, in quel magazzino-bottega, si svolgeva in quell'epoca attività di deposito e vendita di tessuti e capi di abbigliamento, ossia di materiale “infiammabile”; d'altra parte, sullo stesso piano vi era un altro appartamento, pure comunicante con l'albergo, ma destinato a civile abitazione, per il quale nel 1999 era stato richiesto (e debitamente concesso dai Vigili del Fuoco), il nulla osta in deroga, con mantenimento della porta di comunicazione aperta; risultava, inoltre, che anche il locale in relazione al quale, nel 2011, era stata praticata la “riapertura” della porta chiusa nel 1982, non era più destinato alla vendita di capi di abbigliamento ma a civile abitazione, avendovi il nuovo proprietario iniziato un'attività di bed and breakfast.

Ciò posto in fatto, secondo il giudice territoriale, doveva escludersi, in diritto, la sussistenza della responsabilità del locatore in relazione all'evento dannoso della cessazione dell'attività alberghiera del conduttore, atteso che:

 a) tale responsabilità non sussisteva ai sensi dell'art. 1585 c.c., poiché l'integrazione della “molestia di diritto”, da cui il locatore deve garantire il conduttore, avrebbe richiesto il conflitto della pretesa del terzo - il cui esercizio implichi la perdita o la menomazione del godimento del conduttore - con i diritti accordati a quest'ultimo con il contratto di locazione (circostanza non integrantesi nella fattispecie, in cui il locatore non aveva rinunciato alla facoltà - già sua spettante quale proprietario dell'appartamento adiacente prima della cessione a terzi - di apertura della porta di comunicazione tra questo appartamento e l'albergo);

b) non vi era prova che la modifica dello stato dei luoghi con la “riapertura” della porta praticata nel 2011, avesse fatto decadere il CPI rilasciata a seguito della “chiusura” del 1982, stante il cambiamento di destinazione d'uso del locale adiacente, non più ordinariamente occupato da materiale infiammabile;

c) il locatore aveva cessato autonomamente l'attività senza neppure chiedere il rinnovo del CPI o un nulla-osta al prosieguo della stessa del tipo di quello già ottenuto nel 1999.

Per la cassazione della sentenza della Corte territoriale, ricorreva in cassazione il conduttore, soccombente nel giudizio di gravame.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso di specie (abbastanza particolare), potesse integrarsi la fattispecie della molestia di diritto ai sensi dell'art. 1585 c.c. e, quindi, potesse configurarsi una garanzia del locatore nei confronti del conduttore e una responsabilità del primo in caso di inadempimento.

Le soluzioni giuridiche

Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale, per un verso, avrebbe reputato indebitamente di valorizzare la mancata rinuncia alla riapertura della porta murata da parte del locatore, che era stato proprietario dell'appartamento cui detta porta introduceva, così violando le disposizioni codicistiche concernenti gli obblighi del locatore, e, per altro verso, non avrebbe tenuto conto che l'uscio aperto e preesistente era stato espressamente considerato nel contratto di locazione, ove sarebbe stato previsto anche l'impegno del locatore di concedere in locazione l'appartamento interessato da tale uscio (quando l'attuale conduttore lo avesse rilasciato) e si sarebbe dato atto che la sua sussistenza non aveva in alcun modo impedito il rilascio e il mantenimento della certificazione antincendio, poiché l'accesso era stato provvisto di appositi accorgimenti, realizzati con la collaborazione del locatore.

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto, invece, che il rilievo della facoltà proprietaria di realizzare la riapertura dell'uscio - già spettante al locatore ex proprietario dell'appartamento adiacente e trasferitasi al nuovo proprietario, che aveva iniziato l'attività di bed and breakfast - è stato correttamente formulato dalla Corte di merito in funzione della ricostruzione della nozione di molestia ai sensi dell'art. 1585 c.c., la quale si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compia atti di esercizio della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata, ma riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore, non giustificate dalla specifica detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione, si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dalla norma di cui all'art. 1585 c.c. (v., ex aliis, Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2006, n. 2531).

La circostanza, poi, che l'uscio aperto sul diverso appartamento collocato sul medesimo piano fosse stato considerato nel contratto per prevedere l'impegno dei proprietario di locarlo al conduttore quando fosse stato rilasciato dal detentore attuale, è - secondo gli ermellini - irrilevante; anzi, la circostanza che, nel contratto, si desse espressamente atto che tale apertura, diversamente da quella sull'altro appartamento (che aveva dovuto essere chiusa nel 1982) non era ostativa al certificato di prevenzione antincendio, conforta l'accertamento di merito, secondo cui tale “ostatività” trovava causa, per l'altro locale, nella sua destinazione a deposito e vendita di capi di abbigliamento e tessuti, talché essa sarebbe cessata (con conseguente possibilità di riapertura della porta) con il mutamento d'uso di esso.

Nella prospettiva di tale accertamento, non si giustificava il comportamento - evidentemente contrario a buona fede - del conduttore, il quale, senza subire provvedimenti decadenziali, aveva, d'emblée, cessato l'attività senza neppure chiedere una proroga del CPI (peraltro, non decaduta) o un nulla osta in deroga.

Il ricorrente aveva insistito nella violazione del citato art. 1585 c.c., censurando la gravata sentenza nella parte in cui aveva statuito che il conduttore avrebbe potuto presentare - o anche solo tentare, così come fatto in occasione dell'ottenimento di un nulla osta in deroga degli anni precedenti - un progetto di variante distributivo-funzionale interna del corpo scala (già sin dall'inizio “ad uso promiscuo”).

Secondo i magistrati del Palazzaccio, tali censure non si confrontano, però, con le rationes delle statuizioni impugnate, atteso la Corte d'Appello non aveva individuato oneri inesistenti, ma aveva tenuto conto del comportamento del conduttore - il quale non aveva subìto la decadenza del CPI, né aveva chiesto all'autorità amministrativa una nuova certificazione - traendone argomenti di prova circa la mancata dimostrazione della circostanza che la modifica dello stato dei luoghi avesse imposto la cessazione dell'attività alberghiera.

Parimenti, il giudice del merito aveva escluso l'integrazione della fattispecie della “molestia”, ex art. 1585 c.c., non per il fatto che l'attività dei terzi aveva comportato una mera diminuzione (e non il completo venir meno) del godimento del conduttore, bensì perché l'esercizio del diritto da parte del terzo non era venuto in conflitto con un diritto accordato con il contratto locativo al conduttore: quest'ultimo non aveva il diritto di opporsi all'apertura della porta, perché il locatore non aveva rinunciato a tale facoltà.

Osservazioni

E' noto che si configurano quali molestie di diritto, per le quali il locatore è tenuto a garantire il conduttore ex art. 1585, comma 1, c.c., quelle che si concretano in pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, o contestando il potere di disposizione del locatore oppure rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore; qualora, invece, il terzo non avanzi pretese di natura giuridica, ma arrechi, con il proprio comportamento illecito, pregiudizio al godimento materiale del conduttore, siamo in presenza di molestia di fatto, in cui il conduttore può agire direttamente contro il terzo ai sensi dell'art. 1585, comma 2, c.c.

Ponendo maggiormente l'attenzione sulle prime - oggetto dell'ordinanza in commento, sia pure escludendone la configurabilità nel caso di specie - affinando il concetto, si è individuata la molestia di diritto nel comportamento di un terzo che produca una modificazione dello stato di fatto esistente al momento della locazione, reclamando un diritto sulla cosa locata oppure opponendo un diritto contrastante con la posizione del conduttore, che possa privarlo in tutto o in parte del godimento della cosa locata.

Non dovrebbe integrare, invece, gli estremi della molestia giuridicamente rilevante, il comportamento del terzo di per sé considerato, se non attinge il godimento spettante al conduttore secondo la previsione contrattuale, sicchè dovrebbe escludersi dalla riconducibilità alla sfera di applicazione della norma de qua le c.d. molestie di mera iattanza, consistenti nella sola affermazione, da parte del terzo, di un diritto che, qualora esercitato, comprometterebbe il godimento del conduttore: occorre, dunque, che il diritto venga reclamato - ciò che generalmente avviene in sede giudiziale, tanto in via principale che riconvenzionale - da un terzo estraneo, mentre non rileva che tale pretesa sia fondata. 

I giudici di legittimità si sono preoccupati di tracciare una netta distinzione tra le categorie di elementi idonei ad incidere sul pacifico godimento del bene locato:

a) costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 c.c., quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone l'integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale o legale;

 b) si configurano, invece, come molestie di diritto, per le quali, ai sensi dell'art. 1585, comma 1, c.c., il locatore è tenuto a garantire il conduttore, quelle che si concretano in pretese di terzi che accampino diritti contrastanti con quelli del conduttore, sia contestando il potere di disposizione del locatore, sia rivendicando un diritto reale o personale che infirmi o menomi quello del conduttore;

c) nel caso, infine, in cui il terzo non avanzi pretese di natura giuridica ma arrechi, con il proprio comportamento illecito, pregiudizio al godimento del conduttore, la molestia è di fatto e il conduttore può agire direttamente contro il terzo ai sensi dell'art. 1585, comma 2, c.c. pur persistendo, al riguardo, autonoma e concorrente legittimazione ad agire in capo al locatore (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2015, n. 25219).

Si è precisato ulteriormente che la molestia di diritto, dalla quale il conduttore ha diritto di essere garantito dal locatore ai sensi dell'art. 1585 c.c., può essere anche realizzata dal comportamento del terzo volto a contraddire il diritto del conduttore al pieno godimento della cosa attraverso una menomazione materiale del bene che ne limiti il godimento e dimostri, al contempo, la volontà di contestare il diritto del locatore contrapponendovi un diritto proprio.

Una volta perimetrato l'ambito di operatività della garanzia, occorre verificare in cosa la stessa consista: in proposito, la garanzia in questione implica che il locatore sia tenuto a gestire la lite nei confronti del terzo, nel senso che è il locatore a dovere sostenere la condotta processuale necessaria a contrastare la pretesa del terzo, conseguendone che la garanzia ex art. 1585 c.c. ha, quindi, un contenuto ed una funzione esclusivamente processuale.

In buona sostanza, avvalendosi della garanzia in questione, il conduttore deve dare avviso al locatore affinché lo stesso agisca verso il terzo “molestatore”, mentre non ha azione diretta verso quest'ultimo, per far accertare l'insussistenza della pretesa che contrasti con il diritto personale di godimento; pertanto, nel caso di molestia di diritto, è lo stesso locatore che deve prendere l'iniziativa di agire contro l'autore della turbativa giacché, ove si rifiuti, si rende inadempiente agli obblighi per lui nascenti dal contratto di locazione.

L'operatività della garanzia presuppone - come sopra rilevato - che il conduttore avvisi il locatore dell'esistenza delle molestie: in tal senso, anzi, si osserva come il successivo art. 1586, comma 1, c.c. pone a carico del conduttore un vero e proprio obbligo di avviso (svincolato da requisiti di forma), come si evince dalla previsione per cui, in caso di inadempimento, il conduttore stesso non è sanzionato con la perdita della garanzia, ma con il risarcimento dei danni nei confronti del locatore.

L'obbligo di avviso deve essere “pronto”, nel senso che esso va dato non appena il conduttore sia venuto conoscenza della molestia o, comunque, entro un lasso spazio-temporale sufficientemente ristretto al fine di evitare pregiudizio locatore.

Quanto precede non toglie, però, che il conduttore possa comunque agire, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti del terzo autore della turbativa, senza che ciò implichi alcuna rinuncia alla garanzia ex art. 1585 c.c. verso il locatore: le due azioni, infatti, ben possono essere proposte cumulativamente nello stesso giudizio, traendo origine da due titoli diversi ma tra loro concorrenti e compatibili.

Ove la molestia di diritto sia, invece, esercitata direttamente tramite di un'azione giudiziaria da parte del terzo, tanto in via principale, quanto in via riconvenzionale, la garanzia si manifesta nel senso che locatore è tenuto a assumere la lite, qualora sia chiamato nel processo, mentre il conduttore deve esserne estromesso con la semplice indicazione del locatore, se non ha interesse a rimanervi (art. 1586, comma 2, c.c.).  

La sussistenza della garanzia non è condizionata alla chiamata in causa da parte del conduttore, potendo il locatore essere convenuto direttamente da parte del terzo, oppure chiamato in causa dallo stesso dopo la laudatio auctoris del conduttore, o per ordine del giudice.

Riferimenti

Chiesi, Codice commentato delle locazioni, a cura di Celeste, Milano, 2020, 113;

Gigliotti, Molestie di fatto e tutela del conduttore: considerazioni sulla rilevanza sistematica dell'art. 1585, cpv, c.c., in Rass. dir. civ., 2017, 57;

Di Marzio - Falabella, La locazione, Torino, 2010, 980;

Bordolli, Le molestie nel rapporto di locazione, in Immob. & proprietà, 2010, 448;

Utzeri, Molestie al conduttore, garanzia del locatore e tutela giudiziaria, in Ventiquattrore avvocato, 2006, fasc. 2, 41;

De Tilla, Il locatore non è tenuto a garantire dalle molestie di fatto dei terzi, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 7, 72;

Caputo, Molestie di fatto al conduttore e responsabilità del terzo nei confronti del locatore, in Immob. & proprietà, 2006, 778;

De Berardinis, La tutela del locatario dalle molestie di terzi, in Resp. civ., 1996, 1192.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.