La S.C., in tema di Legge Pinto, torna a occuparsi di quale sia il dies a quo del termine perentorio di trenta per la notifica del ricorso di equa riparazione e del decreto monocratico di accoglimento della domanda.
Massima
In tema di equa riparazione il termine di trenta giorni per la notifica del ricorso e del decreto monocratico di accoglimento della domanda deve intendersi che decorra dalla data di comunicazione dello stesso alla parte istante nonostante il riferimento, contenuto nell'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001, alla data del deposito.
Il caso
Una parte privata con ricorso ex art. 3 l. n. 89/2001 depositato innanzi alla Corte di Appello di Catania:
lamenta la violazione, in proprio danno, del diritto riconosciuto a un processo civile celebrato in tempi ragionevoli;
chiede la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore dell'equa riparazione oltre interessi legali.
La Corte di Appello di Catania con decreto monocratico depositato in cancelleria oltre centocinquanta giorni dalla proposizione del ricorso per equa riparazione:
accoglie il ricorso;
ingiunge al Ministero di pagare in favore del ricorrente l'indennizzo per equa riparazione oltre interessi legali.
La cancelleria non comunica al ricorrente il decreto monocratico.
Il ricorrente, avuta conoscenza in ritardo del decreto monocratico a seguito di accesso al fascicolo telematico, notifica il ricorso ex art. 3, l n. 89/2001 e il pedissequo decreto monocratico al Ministero della Giustizia oltre il termine perentorio di trenta giorni dal deposito di quest'ultimo, previsto dall'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001.
Il Ministero propone ricorso in opposizione ex art. 5-ter, l .n 89/2001 avverso detto decreto monocratico affidato a un solo motivo con cui lamenta l'inefficacia del decreto monocratico in quanto notificato oltre il termine perentorio di trenta giorni dal deposito di cui all'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001.
La Corte di Appello di Catania con decreto collegiale:
accoglie il ricorso in opposizione;
dichiara inefficace il decreto monocratico in quanto notificato oltre il termine perentorio di trenta giorni dal deposito di cui all'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001.
La parte privata propone ricorso per Cassazione avverso detto decreto collegiale affidato a un solo motivo con cui lamenta - sotto il profilo del vizio di violazione di legge - l'erronea interpretazione dell'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001, in relazione all'art. 24 Cost., per avere il giudice dell'opposizione ritenuto che il termine di trenta giorni possa decorrere pur in difetto, come accaduto nella specie, della comunicazione del decreto monocratico.
La Suprema Corte con la decisione in commento (Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 2024, n. 26815):
accoglie il ricorso;
cassa il decreto collegiale impugnato;
rinvia la causa alla Corte di Appello di Catania in diversa composizione, cui rimette di provvedere anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
La questione
La questione giuridica affrontata dal giudice di legittimità, in tema di equa riparazione, è quale sia il dies a quo del termine perentorio di trenta giorni per la notifica del ricorso di equa riparazione e del decreto monocratico di accoglimento della domanda.
Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso.
La Suprema Corte, allo specifico riguardo, rileva che:
il decreto monocratico è stato depositato in cancelleria oltre centocinquanta giorni dalla proposizione del ricorso di equa riparazione e, quindi, oltre il termine di trenta giorni indicato dall'art. 3, comma 4, l. n. 89/2001;
il decreto monocratico non è stato comunicato dalla cancelleria al ricorrente che ha provveduto alla sua notifica quando ne ha avuto diretta conoscenza mediante accesso al fascicolo telematico.
La Suprema Corte, pertanto:
richiama il suo orientamento in base al quale «ha già stabilito che il termine di trenta giorni per la notifica del decreto di accoglimento della domanda deve intendersi decorra dalla data di comunicazione dello stesso alla parte istante, nonostante il riferimento, contenuto nel comma 2 dell'art. 5 della l. n. 89 del 2001, alla data del deposito; il comma 4 della medesima norma, infatti, ne prevede la comunicazione "altresì" al Procuratore Generale della Corte dei conti ed ai titolari dell'azione disciplinare e l'utilizzo dell'avverbio con valore aggiuntivo intanto si giustifica in quanto la comunicazione sia prevista anche per la parte istante in equa riparazione, come peraltro era stabilito dall'art. 5 nella sua formulazione originaria, precedente la modifica del 2012; questa interpretazione è necessitata dalla circostanza che, a differenza di quanto avviene nell'ipotesi di inefficacia ex art. 644 c.p.c., nel caso di tardività della notifica del decreto ex l. n. 89/2001, la domanda non è riproponibile ex art. 5, comma 2, l. n. 89/2001»;
indica a sostegno del suo orientamento due precedenti specifici (Cass. civ., sez. VI, 21 marzo 2017, n. 7185 e Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 2023, n. 1).
La Suprema Corte, pertanto, alla luce di tali principi, accoglie il ricorso e cassa con rinvio il decreto collegiale.
Osservazioni
L'art. 5, l. n. 89/2001 nel testo originario pubblicato in Gazzetta Ufficiale disponeva in un solo comma che il decreto (all'epoca camerale) di accoglimento della domanda fosse comunicato a cura della cancelleria, oltre che alle parti, al procuratore generale della Corte dei conti, ai fini dell'eventuale avvio del procedimento di responsabilità, nonché ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.
L'art. 5, l. n. 89/2001 nel testo oggi vigente e, cioè, quello sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. e), d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134/2012:
ha abolito la comunicazione a cura della cancelleria alle parti del decreto di accoglimento della domanda;
al comma 1 dispone che il ricorso di equa riparazione e il decreto monocratico di accoglimento della domanda vanno notificati in copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è stata accolta;
al comma 2 prevede che:
il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento;
la domanda di equa riparazione non può essere più proposta;
al comma 4 dispone che il decreto monocratico di accoglimento della domanda «è altresì comunicato» al procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari dell'azione disciplinare dei dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento.
L'interpretazione letterale di tale norma dovrebbe portare a ritenere che il termine perentorio per la notifica sia del ricorso di equa riparazione che del decreto monocratico di accoglimento della domanda decorra dalla data di pubblicazione del decreto.
L'interpretazione sistematica di tale norma, in base al criterio storico, dovrebbe portare al medesimo risultato in quanto è stata abolita la comunicazione a cura della cancelleria alle parti del decreto di accoglimento della domanda.
Alla luce di tali interpretazioni a nulla dovrebbe rilevare, sul punto, che l'art. 5, comma 4, l. n. 89/2001 prevede che il decreto che accoglie la domanda «è altresì comunicato» al procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari dell'azione disciplinare - e ciò in perfetta continuità normativa rispetto al testo precedente della norma - atteso che l'avverbio «altresì» rimasto nel testo normativo oggi vigente sembra un mero refuso della modifica normativa e non certo una precisa scelta legislativa.
La giurisprudenza di legittimità, però, non è stata dello stesso avviso e ha fornito un'interpretazione diversa dell'art. 5, l. n. 89/2001 oggi vigente pervenendo a una conclusione diametralmente opposta rispetto a quella letterale e storica innanzi indicate.
La S.C., in particolare, ha affermato che «sebbene la L. n. 89 del 2001, art. 5, comma 2, preveda che il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento, deve ritenersi che tale termine decorra dalla comunicazione del decreto alla parte ricorrente» (Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 2023, n. 1; conf. Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2022, n. 12875; Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2019, n. 11361; Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2019, n. 10365; Cass. civ., sez. VI, 21 marzo 2017, n. 7185, che rappresenta il leading case).
La S.C., in un primo momento, è giunta a tale soluzione sulla scorta di due considerazioni:
la prima tratta dal testo dell'art. 5, comma 4, l. n. 89/2001 che prevede che il decreto che accoglie la domanda «è altresì comunicato» al procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari dell'azione disciplinare e ciò in perfetta continuità normativa rispetto al testo precedente della norma che, prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, disponeva espressamente che il decreto fosse comunicato, oltre che alle parti, alle suddette autorità (anche se per la verità l'avverbio «altresì» rimasto nel testo normativo oggi vigente, come innanzi esposto, sembra un mero refuso della modifica normativa);
la seconda rilevata dalla difformità delle conseguenze che derivano dall'inefficacia del decreto ingiuntivo (che costituisce il modello di riferimento del procedimento ex l. n. 89/2001) e del decreto monocratico ex l. n. 89/2001 conseguenti alla mancata tempestiva notifica: nel primo caso la domanda è riproponibile, nel secondo caso la domanda non è riproponibile per l'espresso divieto di cui all'art. 5, comma 2, l. n. 89/2001 (Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2022, n. 12875; Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2019, n. 11361; Cass. civ., sez. II, 12 aprile 2019, n. 10365; Cass. civ., sez. VI, 21 marzo 2017, n. 7185).
La S.C., in un secondo momento, ha confermato detta soluzione ma, alle considerazioni già svolte, ne ha aggiunte altre due:
la prima c.d. finalistica secondo cui la soluzione accolta risponde al doppio intento di porre la parte al riparo da conseguenze pregiudizievoli in dipendenza del mancato compimento di un attività per la quale è previsto un termine perentorio breve e di non onerare la parte stessa di un attività potenzialmente defatigante (ossia di verificare costantemente il deposito del provvedimento) o che, comunque, mal si concilia con la previsione dell'obbligo di comunicazione a opera della cancelleria, adempimento che sarebbe inutilmente contemplato ove l'interessato fosse tenuto ad autonomamente attivarsi per non incorrere in decadenza;
la seconda di ampio respiro costituzionale e tratta dagli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale in base ai quali deve ritenersi che ai fini di tutelare i diritti dell'interessato è necessario che i termini processuali di decadenza decorrano dalla comunicazione dei provvedimenti e non dal deposito nell'ipotesi in cui sia imposto un termine oggettivamente esiguo, situazione nella quale non può esigersi un onere eccedente la normale diligenza o comunque ingiustificato (Cass. civ., sez. II, 26 luglio 2023, n. 22551; Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 2023, n. 1, che rappresenta il leading case).
Tali ultimi principi, senz'altro corretti in quanto tutelano il diritto di difesa delle parti, sono stati più volte affermati:
dalla Consulta che:
in materia fallimentare li ha posti alla base delle declaratorie di illegittimità costituzionale di norme relative alla decorrenza di termini processuali per l'impugnazione di un atto da un determinato evento (Corte Cost., 23 luglio 2010, n. 279; Corte Cost., 29 aprile 1993, n. 201; Corte Cost., 26 luglio 1988, n. 881; Corte Cost., 27 giugno 1986, n. 156; Corte Cost., 22 aprile 1986, n. 102; Corte Cost., 22 novembre 1985, n. 303) o dall'affissione (Corte Cost., 15 luglio 2004, n. 224; Corte Cost., 2 luglio 2001, n. 211; Corte Cost., 27 novembre 1980, n. 152; Corte Cost., 27 novembre 1980, n. 151);
in materia processual-civilistica li ha posti alla base della declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale prima dell'art. 327, comma 1, c.p.c. (Corte Cost., 25 luglio 2008, n. 297) e poi degli artt. 133, commi 1 e 2 e 327, comma 1, c.p.c. (Corte Cost., 22 gennaio 2015, n. 3);
dalla stessa S.C. che li ha posti alla base del rigetto dell'istanza di rimessione in termini per l'impugnazione (Cass. civ., sez. trib., 8 novembre 2022, n. 32777).
A sostegno della corretta interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell'art. 5, comma 1, l. n. 89/2001 fornita dalla S.C. con le indicate decisioni si potrebbe aggiungere un'ulteriore considerazione tratta dal testo dell'art. 5-ter, comma 1, l. n. 89/2001 (articolo inserito dall'art. 55, comma 1, lett. f), d.l. n. 83/2012, convertito con modificazioni dalla l. n. 134/2012 e, quindi, coevo con l'art. 5 l. n. 89/2001 nel testo oggi vigente).
Tale norma, infatti, prevede che contro il decreto monocratico possa essere proposta opposizione nel termine perentorio di trenta giorni decorrente (non dalla pubblicazione, bensì) dalla comunicazione del provvedimento ovvero dalla sua notificazione.
L'interpretazione dell'art. 5, comma 1, l. n. 89/2001 oggi vigente fornita dalla S.C., pertanto, pone rimedio a tale discrasia e riallinea coerentemente il dies a quo del termine perentorio per la notifica del ricorso di equa riparazione e del decreto monocratico di accoglimento della domanda con quello del termine perentorio per la sua impugnazione mediante opposizione che non avrebbe alcun senso, né logico né giuridico, siano differenti.
Se così non fosse, infatti, dovrebbe ritenersi che le parti - che siano già incappate nell'inefficacia del decreto monocratico e nel divieto di riproposizione della domanda per non aver notificato il ricorso di equa riparazione e il decreto monocratico nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento - possano impugnare il decreto monocratico:
in caso di sua mancata comunicazione o notificazione, senza limiti di tempo;
in caso di sua comunicazione o notificazione perfezionata in data successiva al deposito, nel diverso termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione o notificazione.
Le parti, pertanto, in tali casi sarebbero certamente invogliate a proporre opposizione avverso il decreto monocratico per un qualsiasi motivo al solo fine di rimediare all'inefficacia del provvedimento e al divieto di riproposizione della domanda.
È ius receptum, infatti, che:
in caso di accoglimento dell'opposizione, il decreto collegiale si sostituisce al decreto monocratico che, pertanto, va necessariamente revocato;
in caso di rigetto dell'opposizione, il decreto monocratico sopravvive (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 2023, n. 7597; Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2022, n. 28476; Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2022, n. 28475; Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2022, n. 18573; Cass. civ., sez. II, 13 aprile 2022, n. 12027).
L'interpretazione meramente letterale o storica dell'art. 5, comma 1, l. n. 89/2001 oggi vigente, pertanto, nei casi innanzi evidenziati, del tutto irragionevolmente:
incentiverebbe le impugnazioni delle decisioni per conseguire l'indennizzo di cui alla l. n. 89/2001;
vanificherebbe le eventuali misure legislative e organizzative poste dallo Stato per consentire ai propri organi di pervenire alla decisione delle cause nel rispetto di un termine ragionevole;
causerebbe l'ulteriore allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi per l'aumentato numero di impugnazioni;
peggiorerebbe certamente e ulteriormente:
la «già abnorme mole del contenzioso…innegabilmente aggravata dal flusso indiscriminato dei procedimenti per equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001» (Corte Cost., 23 giugno 2020, n. 121; conf. Corte Cost., 26 giugno 2018, n. 135; Corte Cost., 4 giugno 2014, n. 157);
«la inappagante funzionalità della giustizia civile (la quale dipende soprattutto dai lunghi tempi di definizione, a sua volta correlati alla variabile niente affatto indipendente del numero delle cause promosse) fra le ragioni di uno sviluppo economico inferiore a quello possibile, segnatamente sotto il profilo dell'abbassamento della propensione agli investimenti» (Cass. civ., sez. un., 16 luglio 2008, n. 19499).
Ma tutto ciò sarebbe in palese contrasto:
con la ratio dell'intera normativa (l. n. 89/2001 che disciplina la ragionevole durata del processo e l'equa riparazione in caso di violazione);
con il principio costituzionale ed eurounitario del giusto processo che deve avere una durata ragionevole (artt. 111, commi 1 e 2, Cost., art. 6, par. 1, Convenzione EDU e art, 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea);
con il principio costituzionale della ragionevolezza delle norme e delle varie parti dell'ordinamento che nasce come corollario del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) ma si è da esso emancipato (M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, Conferenza trilaterale delle Corte costituzionali italiana, portoghese e spagnola, 12 novembre 2013).
Deve ritenersi, pertanto, che la Suprema Corte - in base a una corretta interpretazione logica (secondo il criterio sistematico), coerente con il testo organico in cui è inserita (l. n. 89/2001) e costituzionalmente orientata dell'art. 5, l. n. 89/2001 - ha correttamente e condivisibilmente confermato il suo costante orientamento secondo cui il dies a quo del termine perentorio di trenta giorni per la notifica del ricorso di equa riparazione e del decreto monocratico di accoglimento della domanda decorre dalla comunicazione del provvedimento e non dalla sua pubblicazione.