Onere della prova in materia di responsabilità contrattuale sul danno patrimoniale da mancato guadagno

02 Maggio 2016

In tema di responsabilità contrattuale ai fini del risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all'inadempimento del contratto non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera del danneggiato, in termini sia di danno emergente sia di lucro cessante, e la sua entità.
Massima

In tema di responsabilità contrattuale ai fini del risarcimento dei danni patrimoniali conseguenti all'inadempimento del contratto non è sufficiente la prova dell'inadempimento del debitore, ma deve altresì essere provato il pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera del danneggiato, in termini sia di danno emergente sia di lucro cessante, e la sua entità. Il danno patrimoniale da mancato guadagno, in particolare, presuppone la prova, anche presuntiva, dell'utilità patrimoniale che secondo un giudizio di probabilità il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta, dovendosi escludere i mancati guadagni meramente ipotetici (nella specie, non è risarcibile, in quanto non concretamente provato, il danno patrimoniale da mancato guadagno sofferto dall'imprenditore per inadempimento dell'obbligo di iscrizione sugli elenchi telefonici della corretta denominazione e dei recapiti di un'Agenzia di assicurazione).

Il caso

La Ditta Alfa aveva convenuto in giudizio la società Beta chiedendo la risoluzione per l'inesatto adempimento del contratto stipulato con quest'ultima, avente ad oggetto l'incarico di inserzione sull'elenco telefonico dei dati dell'Agenzia di assicurazione Gamma a fini pubblicitari, e il conseguente risarcimento del danno patrimoniale subito per lo sviamento della clientela. In primo grado il Tribunale, in accoglimento delle domande attoree, aveva dichiarato con pronuncia costitutiva la risoluzione per inadempimento del contratto tra le parti e, conseguentemente, aveva condannato la società Beta a risarcire i danni provocati. La sentenza veniva appellata dalla società Beta.

La Corte d'Appello, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava le domande attoree, ritenendo non provato il danno.

Avverso la sentenza di secondo grado la Ditta Alfa proponeva ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi.

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di responsabilità da inadempimento o da inesatto adempimento del contratto, ai fini del risarcimento del danno patrimoniale da mancato guadagno per sviamento di clientela è sufficiente la prova dell'inadempimento, potendosi da ciò inferire, all'esito della consulenza tecnica d'ufficio e in base ad un giudizio presuntivo, il danno subito o è necessario fornire la prova concreta del pregiudizio effettivamente e realmente subito?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione risolve la controversia in oggetto ritenendo che, ai fini del risarcimento del danno nell'ambito della responsabilità contrattuale, è necessario che l'attore/creditore fornisca non soltanto la prova dell'inadempimento dell'obbligazione contrattuale da parte del debitore ma anche la prova concreta del pregiudizio effettivo e reale incidente sulla sfera patrimoniale del contraente danneggiato (an del danno), nonché la sua entità, e cioè il quantum (v. Cass. civ., 5 marzo 1973, n. 608).

A tale esito la giurisprudenza perviene sulla base dell'interpretazione delle disposizioni di cui al combinato disposto degli articoli 1218 e 2697 c.c. L'art. 1218 c.c. sancisce il principio di presunzione della colpa dell'inadempimento, ponendo a carico del debitore, in caso di inadempimento o di inesatto adempimento dell'obbligazione, la prova liberatoria della impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. L'art. 2697 c.c. invece, grava l'attore della prova dei fatti costitutivi del diritto.

Dal combinato disposto delle norme citate si evince che nelle ipotesi di responsabilità contrattuale da inadempimento o da inesatto adempimento dell'obbligazione, l'attore, che si assume titolare del diritto di credito al risarcimento del danno conseguente all'inadempimento, deve allegare l'inadempimento del debitore (che si presume colpevole in virtù dell'art. 1218 c.c.) e fornire la prova puntuale dei fatti costitutivi del credito risarcitorio ed, in particolare, del pregiudizio patrimoniale (o non patrimoniale) conseguente all'inadempimento, nonché del rapporto di causalità giuridica tra l'evento di danno e le conseguenze dannose subite, ai sensi dell'art. 1223, c.c., spettando invece al debitore la prova dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi, ai sensi dell'art. 2697, commas 2, c.c., in virtù del principio di vicinanza o di riferibilità della prova e della presunzione di persistenza del credito. In tal senso, Cass., Sez. Un., 13533/2001 (in Foro it., 2002, I, 769, con nota di P. Laghezza, Inadempimenti ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo).

Il mero accertamento dell'inadempimento della prestazione che costituisce oggetto dell'obbligazione contrattuale non determina automaticamente la sussistenza di un danno risarcibile. Pur non essendo escluso il ricorso alle presunzioni di cui all'art. 2729 c.c., infatti, l'attore/creditore è tenuto ai fini del risarcimento del danno ex art. 1218 c.c. a fornire la prova concreta e reale del pregiudizio effettivamente subito, in termini di perdita subita (danno emergente) e/o di mancato guadagno (lucro cessante), ai sensi dell'art. 1223 c.c..

Con riferimento al danno patrimoniale da mancato guadagno per sviamento della clientela, in specie, la giurisprudenza di legittimità pone a carico dell'attore/creditore l'onere di provare, sia pure in modo indiziario, secondo un giudizio di probabilità e non di mera possibilità, l'utilità patrimoniale che sarebbe spettata al creditore della prestazione in assenza dell'inadempimento. Pur potendo il giudice ricorrere ad una valutazione del danno in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. e provare i fatti mediante presunzioni ex art. 2729 c.c. tuttavia, occorre che l'attore/creditore fornisca la prova concreta del danno subito o, quantomeno, offra elementi certi dai quali il giudice possa inferire la prova della sussistenza e dell'entità del danno sulla base di un giudizio probabilistico (v. Cass. civ., 20 maggio 2011, n. 11254; Cass. civ., 11 maggio 2010, n. 11353, in Foro it., 2011, I, 534, con nota di R. Pardolesi; Cass. civ., 19 dicembre 2006, n. 27149).

La sentenza in commento, in particolare, nega il risarcimento del danno invocato, ai sensi dell'art. 1218 c.c., dalla Ditta Alfa per l'inadempimento da parte della Società Beta dell'incarico di iscrizione sull'elenco telefonico dei dati dell'Agenzia di assicurazioni Gamma. I giudici di legittimità ritengono infatti che non sia stato provato, secondo un giudizio di probabilità, il pregiudizio patrimoniale da mancato guadagno (lucro cessante) sofferto dalla parte attrice per lo sviamento di clientela; che non sono stati allegati elementi certi dai quali si possa desumere l'effettivo pregiudizio da lucro cessante a causa dell'inadempimento dell'obbligazione, non essendo a tal fine sufficiente la mera allegazione del minor numero di polizze assicurative stipulate.

Osservazioni

La sentenza in epigrafe si pone nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità sul tema dell'onere probatorio nell'ambito della responsabilità contrattuale, rectius, da inadempimento di una precedente obbligazione, ex art. 1218 c.c.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, a partire dalla citata pronuncia della Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, ha distinto sei capitoli probatori:

  1. la fonte del credito;
  2. l'inadempimento oggettivo;
  3. l'inadempimento soggettivo (l'imputabilità dell'inadempimento);
  4. il danno;
  5. la causalità materiale tra inadempimento e danno;
  6. la causalità giuridica tra l'evento di danno e le conseguenze pregiudizievoli subite (G. Chiné, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Neldiritto, 2013, 1882 ss.).

Il creditore è tenuto a fornire la prova: della fonte del credito, del danno e della causalità giuridica tra evento di danno e conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'inadempimento (danno-conseguenza), ai sensi dell'art. 1223 c.c., dovendo solamente allegare l'inadempimento oggettivo. Si presume, invece, l'imputabilità dell'inadempimento, e cioè, il carattere colposo dell'inadempimento stesso (F. Caringella, L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2010, 514. Sulla distinzione tra causalità materiale e giuridica, si vedano in giurisprudenza: Cass., 21619/2007, in Resp. civ. e prev., 2008, 323 ss., con nota di L. Locatelli, Causalità omissiva e responsabilità civile del medico: credibilità razionale o regola del «più probabile che non»? e in Corr. giur., 2008, 35 ss., con nota di M. Bona, Causalità civile: il decalogo della Cassazione a due “dimensioni di analisi”; Cass. 975/2009 e Cass n. 15991/2011).

Quanto al nesso di causalità materiale tra inadempimento ed evento di danno, in primo luogo occorre rilevare che il codice civile non contempla una disposizione che disciplini il nesso eziologico, ma l'opinione prevalente in letteratura ed in giurisprudenza ritiene applicabili anche nel diritto civile le disposizioni di cui agli artt. 40 e 41, c.p., con l'importante precisazione, tuttavia, che in ambito civile è differente il criterio probatorio richiesto affinché il comportamento umano possa dirsi causa dell'evento e possa quindi, sussistere la responsabilità civile. Mentre ai fini del giudizio di responsabilità penale la sussistenza del nesso di causalità materiale va valutata secondo il parametro della “probabilità assoluta o prossima alla certezza” o dell' “elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica” (Cass., Sez. Un., n. 30328/2002), il nesso di causalità materiale in ambito civile deve essere vagliato sulla base della diversa e meno rigorosa regola probatoria della “probabilità relativa” o del “più probabile che non”, attesa la diversità di funzioni tra i due giudizi (si v. in giurisprudenza: Cass., 21619/2007, cit., Cass. 975/2009, cit., Cass., 15991/2011, cit.).

In secondo luogo, si discute in giurisprudenza ed in dottrina sulla ripartizione degli oneri probatori con riguardo al nesso di causalità materiale nell'ambito della responsabilità contrattuale. L'orientamento tradizionale della giurisprudenza (Cass. 7997/2005, in Corr. Giur., 2006, 257 ss., con nota di F. Rolfi, Il nesso di causalità nell'illecito civile: la Cassazione alla ricerca di un modello unitario), seguito anche da talune pronunce recenti (Cass., 5990/2015, in Guida al dir., 2015, 22, 55 ss.), pone a carico del creditore-danneggiato l'onere della prova del nesso di causalità materiale anche nell'ambito della responsabilità contrattuale.

Le Sezioni Unite, con le sentenze nn. 576, 577, 581 e 584/2008, tuttavia, pronunciandosi in tema di responsabilità sanitaria per danno da emotrasfusione, dopo aver ricostruito la fattispecie oggetto di decisione in termini di responsabilità contrattuale, rectius, da inadempimento di una precedente obbligazione, ai sensi dell'art. 1218, c.c., hanno sancito il principio secondo cui al creditore (paziente) danneggiato spetta solamente l'onere di allegare, pur in modo specifico, il rapporto di causalità materiale tra inadempimento e danno (c.d. “inadempimento efficiente” ai fini della causazione del danno-evento), dovendo il debitore (medico) dimostrare di aver adempiuto o, comunque, che l'inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile. (si v. sul punto G. Chiné-M. Fratini-A. Zoppini, Manuale di diritto civile, Neldiritto, 2013, 1889; in giurisprudenza: Cass., S.U., nn. 577/2008, in Danno e resp., 2008, 788 ss., con note di G. Vinciguerra, Nuovi (ma provvisori?) assetti della responsabilità medica, e di A. Nicolussi, Sezioni sempre più unite contro la distinzione fra obbligazioni di risultato e obbligazioni di mezzi.

Tale ricostruzione ermeneutica, che sancisce un regime probatorio favorevole al creditore costituisce l'approdo interpretativo cui la giurisprudenza di legittimità perviene attraverso il superamento della distinzione tra obbligazioni “di mezzi” e “di risultato”, essendo il debitore obbligato ad un “facere cum effecto”, e cioè ad adempiere l'obbligazione in modo da conseguire il risultato di realizzare l'interesse del creditore dedotto in obbligazione. La tesi in esame costituisce lo sviluppo dell'impostazione sostenuta da Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, cit., che ha uniformato il regime probatorio in tema di azione di adempimento, risoluzione e risarcimento del danno, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1453-2697, c.c.

L'estensibilità di tale regime probatorio sul nesso di causalità materiale dettato in tema di inadempimento della prestazione sanitaria alle altre ipotesi di responsabilità contrattuale è oggetto di discussione in dottrina ed in giurisprudenza. Come rilevato, all'opzione ermeneutica secondo cui il creditore-danneggiato a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione deve provare (anche) il nesso di causalità materiale tra inadempimento e danno-evento (o evento di danno), si contrappone l'opinione secondo cui il danneggiato è tenuto solamente ad allegare tale rapporto di causalità, in quanto, una volta allegato l'inadempimento, si presume l'evento di danno.

Tale apparente aporia interpretativa, infatti, può essere superata sulla base della ricostruzione della nozione di danno in ambito contrattuale. Il danno contrattuale costituisce un pregiudizio derivante dall'inadempimento dell'obbligazione, ed identifica dunque, un danno antigiuridico che colpisce l'interesse del creditore alla corretta esecuzione della prestazione (cd. ”interesse positivo” o “interesse all'adempimento”), che si concretizza nella diminuzione economica che tale lesione ha prodotto nella sfera patrimoniale del creditore. Sull'argomento, in generale, si v. A. De Cupis, voce «Danno (dir. vig.)», in Enc. del dir., XI, Giuffrè, 1962, 630; C. M. Bianca, Dell'inadempimento delle obbligazioni, nel Commentario Scialoja, Branca, Zanichelli, Foro. it., 1979, sub art. 1223, 245 ss.; A. Di Majo, voce «Responsabilità contrattuale», nel Dig. IV ed., Disc. priv., sez. civ., IV, Utet, 1998, 52 ss.; G. Visintini, L'inadempimento delle obbligazioni, nel Trattato Rescigno, 9, Utet, 1984, 195 ss.; P. TRIMARCHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, Giuffrè, 2010, 110 s.; F. PIRAINO, Adempimento e responsabilità contrattuale, Jovene, 2011, 643 ss.

Il danno-evento da inadempimento di un'obbligazione contrattuale si identifica con la lesione dell'interesse del creditore dedotto in obbligazione e, quindi, con la perdita di valore della prestazione. Tale peculiare carattere del pregiudizio segna la differenzatra il danno contrattuale e quello extracontrattuale: mentrequest'ultimo conserva una relativa autonomia sul piano probatorio rispettoall'illecito (anche sul piano della prova del nesso di causalità materiale tra illecito ed evento di danno), quello contrattuale, commisurato all'«id quod interest»(e cioè, l'interesse al corretto adempimento), si identifica con l'inadempimento stesso,concretizzandosi nel valore della prestazione convenuta.

In virtù del rapporto di “immedesimazione” tra inadempimento e danno-evento (lesione della situazione giuridica del creditore connessa all'interesse dedotto in obbligazione, derivante dall'inadempimento) in ambito contrattuale non si pongono quindi particolari problemi con riferimento alla prova del nesso di causalità materiale: una volta allegato l'inadempimento infatti, il creditore non ha bisogno di dimostrare in modo puntuale il rapporto tra l'inadempimento e la lesione della propria situazione giuridica soggettiva connessa all'interesse perseguito attraverso il rapporto obbligatorio, dovendo solo allegare la sussistenza del nesso di causalità materiale.

La giurisprudenza prevalente attribuisce alla norma di cui all'art. 1218 c.c. la natura di norma processuale, che contiene cioè, la disciplina dell'onere probatorio in caso di inadempimento di una precedente obbligazione, ponendo in capo al debitore una presunzione di colpa dell'inadempimento stesso.

Il creditore danneggiato è invece tenuto a provare in modo puntuale e concreto il danno-conseguenza, e cioè, le conseguenze pregiudizievoli (patrimoniali e non) che derivano dalla lesione della situazione giuridica connessa all'interesse perseguito dal creditore con l'obbligazione.

Per quanto concerne la posizione del debitore invece, alla luce del combinato disposto di cui agli artt. 1218 e 2697, comma 2, c.c., egli, per andare esente da responsabilità, deve eccepire i fatti modificativi, impeditivi ed estintivi del credito o è tenuto a dimostrare che l'impossibilità della prestazione deriva da causa a lui non imputabile.

Come è stato osservato, rilievo centrale ai fini del risarcimento del danno nell'ambito della responsabilità contrattuale assume la prova del danno, rectius, delle conseguenze dannose (danno-conseguenza), ai sensi dell'art 1223 c.c., il quale dispone che “il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. La giurisprudenza sul punto, a più riprese ha sancito il principio secondo cui l'attore/creditore deve fornire la prova concreta e puntuale del pregiudizio effettivamente subito; pur potendo il giudice fare ricorso all'accertamento presuntivo dei fatti, ai sensi dell'art. 2729 c.c..

In particolare, il danno da mancato guadagno si ravvisa nella perdita della possibilità di accrescimento del patrimonio del creditore della prestazione a seguito dell'inadempimento dell'obbligazione da parte del debitore.

La giurisprudenza ritiene che l'attore che domanda il risarcimento di tale voce di danno, annoverabile nell'ambito del lucro cessante, debba provare in giudizio, anche in via indiziaria, l'utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l'obbligazione fosse stata adempiuta. La valutazione in questione deve essere condotta sulla base di un giudizio probabilistico, svolto cioè in presenza di elementi certi dai quali si possa inferire l'entità del danno subito. Non possono dar luogo a risarcimento del danno invece, i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte (v. Cass. civ., 20 maggio 2011, n. 11254; Cass. civ., 19 dicembre 2006, n. 27149; Cass. civ., 3 settembre 1994, n. 7647).

La concreta determinazione del quantum del danno in materia di responsabilità contrattuale invece, è rimessa al combinato disposto degli artt. 1223, 1225, 1226 e 1227, comma 2, c.c.; alla stregua del combinato disposto delle norme citate, in ambito contrattuale possono essere risarciti solamente i danni che costituiscano una conseguenza “immediata e diretta” dell'inadempimento dell'obbligazione ex art. 1223 c.c. (la giurisprudenza maggioritaria, invero, ritiene pacificamente risarcibili anche i danni che, pur rappresentando conseguenze “mediate e indirette” dell'inadempimento, siano tuttavia, conseguenze “normali”, secondo un criterio di “regolarità causale”; in tal senso, Cass. civ., 9 dicembre 2015, n. 24850), che siano prevedibili al momento in cui è sorta l'obbligazione, ai sensi dell'art. 1225 c.c., (salvi i casi di dolo) e che costituiscano conseguenze inevitabili, ai sensi dell'art. 1227, co. 2, c.c. L'art. 1226, c.c., infine, consente il ricorso alla liquidazione equitativa del danno.

Guida all'approfondimento
  • S. Mazzamuto, Il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale, in Europa e diritto privato, 2010, 52.
  • F. Caringella, L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2010, 509 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario