La responsabilità del radiologo per omessa diagnosi tumorale
02 Dicembre 2016
Massima
Deve essere affermata la responsabilità professionale della struttura di cura e del medico, quando l'indagine medico legale condotta in istruttoria abbia evidenziato che una omessa tempestiva diagnosi radiologica, circa la natura e l'esistenza di una patologia tumorale al seno, sia stata, con probabilità scientifica qualificata, la causa di una mastectomia radicale e massiva che poteva essere omessa altrimenti a favore di interventi meno demolitivi. La liquidazione relativa alla misura differenziale di un danno alla salute, intesa ad ascrivere all'autore della condotta l'obbligo risarcitorio riferibile al solo danno cd iatrogeno, deve essere rimodulata in considerazione della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della parte lesa, dovendosi tener conto di tutti i riflessi sull'integrità psicofisica, del condizionamento e del pregiudizio delle attività areddituali e di ogni altro aspetto che concorra a descrivere il danno non patrimoniale (sulla base delle risultanze e delle allegazioni offerte dalla parte).
Il caso
Il caso trae spunto da una vicenda di responsabilità per omessa diagnosi tumorale, imputabile alla struttura presso la quale l'attrice si rivolgeva abitualmente, nonché al radiologo che omise il tempestivo rilievo della patologia pur rilevabile strumentalmente. Riferiva l'attrice, a sostegno della domanda risarcitoria, che dal 2000 al 2007 aveva effettuato periodici controlli ecografici della mammella bilaterale, con riscontro di «quadro displasico con caratteristiche fibrocistiche a medi nodi»;
La questione
Un primo tema trattato è quello legato alla qualificazione della natura della responsabilità del medico e della struttura sanitaria, nell'ottica applicativa dell'art. 3 della l. n. 189/2012 (Legge Balduzzi) che, secondo un orientamento prevalente presso il Tribunale di Milano, dovrebbe essere legata – quanto alla posizione del sanitario strutturato – al principio della colpa aquiliana di cui all'art. 2043 c.c. e non, come per lo più si ritiene altrove, alla responsabilità contrattuale (per esempio Cass. civ., 19 febbraio 2013 n. 4030; per approfondimenti vedi anche F.PECCENINI, Dopo l'intervento dell'art. 3 della Legge Balduzzi la responsabilità del medico è ancora contrattuale? in RiDaRe). La materia centrale della decisione in commento attiene, invece, alla disciplina della responsabilità del medico (in questo caso un radiologo) per avere omesso una diagnosi di un procedimento patogeno tumorale in essere, con conseguente estensione della malattia ad uno stadio tale da richiedere cure ed interventi demolitivi massivi, che si sarebbero potuti evitare con un tempestivo accertamento diagnostico. Strettamente legato al tema dell'aggravamento dello stato psicofisico della paziente in ragione della maggior incidenza degli interventi chirurgici eseguiti tardivamente rispetto al tempo del possibile accertamento della malattia, è quello, assai complesso, della determinazione equitativa e quantitativa del danno così detto “iatrogeno” o “incrementativo”. Si pone infatti in questi casi per l'interprete la necessità di determinare la portata compensativa di un danno che ha radice patogena slegata alla colpa medica che invece ne costituisce, sul piano causale, un mero elemento di aggravamento materiale. Non soccorrono, in questo caso infatti, le tecniche liquidative nazionali e quindi il sistema tabellare elaborato presso il tribunale di Milano che fa proprio del danno interamente connesso alla colpa, l'elemento di conteggio e di variabile di calcolo.
Le soluzioni giuridiche
La sentenza esaminata affronta dunque i temi cardine di un excursus motivazionale tipico della fattispecie in argomento: l'accertamento della colpa, del nesso causale e del danno risarcibile in caso di omessa tempestiva diagnosi tumorale e si segnala per l'ampiezza degli argomenti affrontati e risolti con coerenza giuridica rispetto a quelle che sono, anche nei profili più controversi in dottrina, gli approdi condivisibili alla luce della disciplina normativa vigente in materia di responsabilità da colpa medica e della più corretta giurisprudenza interpretativa. La prima questione affrontata attiene alla qualificazione del natura della responsabilità del medico, rispetto a quella della struttura, atteso il fatto che, nel caso specifico, la parte attrice aveva agito nei confronti di entrambe, senza allegare e documentare di aver concluso con il singolo operatore un contratto d'opera professionale. In regime quindi non libero prestazionale del sanitario (inquadrato invece in organico nella struttura pure convenuta), il tribunale richiama il proprio precedente pronunciamento, condiviso da Trib. Milano 23 luglio 2014 n.9693, (per approfondimenti vedi anche F. MARTINI, Se non c'è contratto con il paziente, la responsabilità civile del medico ex L. Balduzzi si individua nella responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. in RiDaRe), che opta, sulla scorta della interpretazione analitica dell'art. 3 comma 1 della l. n. 189/2012, verso una migrazione alla disciplina extracontrattuale della responsabilità (contra Trib. Napoli, 13 maggio 2015 n. 7182, per approfondimenti vedi anche CAMINITI, MARIOTTI, La natura della responsabilità civile del medico ospedaliero dopo la legge Balduzzi: contrattuale, in adesione all'orientamento tradizionale in RiDaRe). Così il tribunale ritiene che la disposizione normativa appena richiamata – interpretata alla luce del chiaro intento del legislatore di restringere e di limitare la responsabilità (anche) risarcitoria derivante dall'esercizio delle professioni sanitarie per contenere la spesa sanitaria – sia da leggere nel senso di ricondurre la responsabilità risarcitoria del medico (al pari di quella degli altri esercenti professioni sanitarie) nell'alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. (con tutto ciò che ne consegue, principalmente in tema di riparto dell'onere della prova, di termine di prescrizione e del diritto al risarcimento del danno). Complessa ed articolata è, invece, la disamina dei profili di attribuzione della colpa al radiologo che colpevolmente omise un tempestivo accertamento diagnostico tumorale, inducendo il ragionamento dell'estensore a considerazioni di profilo giuridico condividibili in tema di causalità. Il tema attiene non solo al contesto dell'indagine prognostica, secondo i canoni tipici della causalità e del “principio controfattuale” (quale stadio la malattia avrebbe potuto avere in una condizione di immediata attivazione delle cure), ma anche al profilo proprio del così detto “danno da perdita di chance” di sopravvivenza futura della paziente, ad oggi in condizione di regressione della malattia oltre il termine di recidiva. L'analisi delle risultanze istruttorie, in particolare, aveva portato ad evidenziare una diagnosi deficitaria in due momenti della vicenda medica, l'uno a distanza di quattro mesi dall'altro, con il conseguente onere per il giudice di interpretare sotto l'aspetto causale la diversa incidenza dei due momenti (distinti per stadio della malattia e sua evidenza strumentale) sulla evoluzione patogena in essere e sulle conseguenze di danno in tema di maggior incisività delle cure necessarie ad aggredire il male. Posti i due momenti di indagine omissiva riferibili all'operatore (l'uno del 9 marzo 2009 e l'altro del 20 luglio 2009) il tribunale accoglie le censure (sostenute dai consulenti d'ufficio) solo con riferimento al secondo delle conclamate omissioni, tanto per quel che concerne l'omesso obbligo di dare evidenza al volume ed alla velocità di crescita della neoplasia, quanto per l'omessa attivazione di un immediato approccio chirurgico. Degno di rilievo, a nostro giudizio, è soprattutto la motivazione con la quale il giudice, nell'esercizio del proprio potere di governo sulla consulenza pur espletata dai propri specialisti nominati, abbia disatteso in parte le risultanze degli esperti non ritenendole logicamente compatibili con la documentazione in atti e con le linee guida del settore. Si legge così in motivazione (con riguardo alla supposta responsabilità del radiologo per l'omesso accertamento del marzo 2009) che «le coerenti e ben argomentate considerazioni degli ausiliari del giudice non possono essere condivise nella sola parte in cui ravvisano un comportamento colpevole del convenuto già in occasione della prima ecografia mammaria». Difatti, «la sola comparsa di un nuovo FAD, in un seno come quello dell'attrice (caratterizzato dalla presenza di ben 3 FAD), in assenza di ulteriori elementi significativi non può portare a ritenere che, già alla data del 9 marzo 2009, vi fossero elementi tali da giustificare la prescrizione di un'agoaspirazione». Tale rilievo porta dunque il tribunale a dissociarsi, sul piano della logicità e della riferibilità alle emergenze istruttorie, dall'assunto dei propri consulenti, affermando che «deve, pertanto, ritenersi che, in occasione del controllo eseguito il 9 marzo 2009, l'Aquilini, il quale ha prescritto di ripetere gli esami a distanza di soli 4 mesi, abbia agito in modo diligente e conforme alle leges artis». La dissociazione del giudice dalla analisi argomentativa dei consulenti d'ufficio è pratica assai poco frequente, al punto da meritare, a nostro giudizio, questa evidenza nell'analisi del provvedimento. Tuttavia il giudice che, per ragioni di congruenza logica e documentale, disattende (in tutto o in parte) le risultanze del proprio consulente, rende esemplare l'esercizio del potere di governo sulla prova e sulla giurisdizione, dal quale troppo spesso nella prassi il decidente si astiene, finendo per appiattirsi sul risultato apparente dell'elaborato peritale. Il tribunale nella decisione in commento, dissociandosi in parte sotto uno dei profili attributivi della colpa al medico indagato, ha fatto, in verità, corretto uso dei principi fatti propri anche di recente dalla suprema Corte di Cassazione (si veda, ad esempio, la sentenza Cass. civ., 12 marzo 2013n. 6093, confr. Cass. civ., 2 dicembre 2011 n. 25862; Cass. civ., 24 aprile 2008 n. 10688; Cass. civ., 1 marzo 2007 n. 4797). Quanto alla portata del danno risarcibile ed alla sua quantificazione, il tribunale pone in evidenza come l'attrice, a causa del ritardo di alcuni mesi nella diagnosi tumorale, abbia «sofferto di un iter patologico rappresentato da un approccio chirurgico maggiormente demolitivo e più invalidante anche sotto un profilo estetico. Tale maggior danno è rappresentato da un periodo di malattia biologico con invalidità temporanea parziale al 50% per 6 mesi e un danno biologico permanente del 10%, da collocarsi economicamente nella fascia dal 10 al 20%». Quanto alla liquidazione del danno “incrementativo” legato (sul piano della causalità materiale) a tale maggior portata demolitiva dell'approccio chirurgico, il giudice, nel valutare l'entità iatrogena dell'errore medico, fa applicazione dei principi tanto di efficienza eziologica, quanto di compensazione equitativa, disattendendo una valutazione che attenga alla mera differenza matematica dell'indice accertato del danno biologico iatrogeno (10%). Ciò sul presupposto che «la liquidazione relativa alla misura differenziale di un danno alla salute deve essere rimodulato in considerazione della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della parte lesa» e che «tale rimodulazione può consentire - partendo dall'individuazione di un risarcimento pari alla percentuale di danno che, in ossequio ai principi sopra richiamati, può ritenersi ascrivibile al professionista inadempiente – di giungere ad un risarcimento che ben potrebbe essere anche superiore a quello risultante dalla differenza trai i due diversi gradi di invalidità». Un danno aggravato solo, e non generato dunque, dalla condotta del sanitario si pone a margine del sistema tabellare milanese e rende libera la mano del giudice chiamato a valutare l'impatto soggettivo ed obbiettivo di tale aggravamento, rendendo merito alla dimensione puramente equitativa riposta dalla legge nelle mani del magistrato.
Osservazioni
Nella liquidazione personalizzata del danno “incrementativo” in argomento, dunque, il tribunale, nell'esercizio di un potere equitativo che si indirizza verso una personalizzazione del quantum risarcibile in ragione delle condizioni soggettive della vittima, giunge ad una liquidazione del danno in misura sensibilmente maggiore a quella ottenuta con la mera differenza matematica. Tale pronuncia si pone in adesione dichiarata alla struttura giuridica della importante sentenza resa dallo stesso tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. I, 2 dicembre 2014 n. 14320) che ha tracciato le linee guida sulla imputabilità risarcitoria del danno iatrogeno incrementativo, sottolineando che tale liquidazione deve rispondere alla sintesi di due principi da coordinare fra loro: a) non può farsi gravare sul medico, in via automatica, una misura del danno da risarcirsi incrementata da fattori estranei alla sua condotta, così come verrebbe a determinarsi attraverso una automatica applicazione di tabelle con punto progressivo, computato a partire, in ogni caso, dal livello di invalidità preesistente; b) la liquidazione va necessariamente rapportata ad una concreta verifica, secondo le allegazione delle parti, delle conseguenze negative “incrementative” subite dalla parte lesa. Per un maggior appronfondimento sulla natura della responsabilità professionale dell'esercente la professione sanitaria vedi anche: D.ZORZIT, Il problema del concorso tra cause umane e naturali e il danno cd. incrementativo in RiDaRe Per un maggior approfondimento sul concorso tra cause umane e naturali e danno cd. “incrementativo” vedi anche: L.MINNITI, La natura della responsabilità civile del medico che cura all'interno di strutture pubbliche in RiDaRe |