Responsabilità solidale dell’intermediario per illecito del promotore: nesso di occasionalità necessaria, comportamenti anomali dell’investitore e prescrizione

Claudio Tatozzi
Daniele A. Cugini
09 Ottobre 2014

Sussiste la responsabilità solidale dell'intermediario nei confronti del terzo, ai sensi dell'art. 31 d.lgs. n. 58/1998, per il fatto illecito, ancorché costituente reato, commesso dal promotore finanziario, qualora sia ravvisabile un nesso di occasionalità necessaria tra incombenze affidate al promotore e fatto del medesimo, non valendo ad interrompere il nesso causale, in assenza di altri elementi, la mera consegna al promotore di somme di denaro (oggetto di successiva indebita appropriazione) con modalità difformi da quelle prescritte. La decorrenza del termine prescrizionale per l'esercizio dell'azione azione prescinde dalla data del fatto illecito, postulando invece la compiuta conoscenza/conoscibilità, da parte del danneggiato, degli elementi costituitivi del diritto azionato. Il conseguente debito risarcitorio costituisce debito di valore, da rivalutarsi, con calcolo degli interessi legali, sulla somma via via rivalutata, dal sorgere del credito sino alla data della pronuncia del giudice di prime cure (decorrendo invece dalla medesima i soli interessi legali sino al saldo effettivo).
Massima

App. Milano, sez. II, 30 aprile 2014, n. 1573

Sussiste la responsabilità solidale dell'intermediario nei confronti del terzo, ai sensi dell'art. 31 d.lgs. n. 58/1998, per il fatto illecito, ancorché costituente reato, commesso dal promotore finanziario, qualora sia ravvisabile un nesso di occasionalità necessaria tra incombenze affidate al promotore e fatto del medesimo, non valendo ad interrompere il nesso causale, in assenza di altri elementi, la mera consegna al promotore di somme di denaro (oggetto di successiva indebita appropriazione) con modalità difformi da quelle prescritte.

La decorrenza del termine prescrizionale per l'esercizio dell'azione prescinde dalla data del fatto illecito, postulando invece la compiuta conoscenza/conoscibilità, da parte del danneggiato, degli elementi costituitivi del diritto azionato.

Il conseguente debito risarcitorio costituisce debito di valore, da rivalutarsi, con calcolo degli interessi legali, sulla somma via via rivalutata, dal sorgere del credito sino alla data della pronuncia del giudice di prime cure (decorrendo invece dalla medesima i soli interessi legali sino al saldo effettivo).

Sintesi del fatto

La fattispecie al vaglio della Corte, succintamente riassunta nel testo della sentenza resa ex art. 281-sexies c.p.c., trae origine dalla richiesta di condanna - formulata da un terzo investitore - nei confronti dell'intermediario, al risarcimento del danno, cagionato dal fatto illecito, costituente reato, posto in essere dal proprio promotore finanziario, il quale si era appropriato delle somme che l'investitore gli aveva consegnato (nella specie due assegni), a fronte della stipula di presunti contratti (e di successivi rinnovi), su modulistica riconducibile alla banca. Avverso la decisione del tribunale, favorevole all'investitore, ha proposto appello la banca, lamentando

:

  • erroneo rigetto dell'eccezione di prescrizione;
  • insussistenza in capo alla banca della responsabilità, in assenza di prova dell'incasso degli assegni consegnati dall'investitore e, in ogni caso, in presenza un comportamento estremamente negligente dell'investitore, configurante colpa esclusiva o quantomeno concorrente);
  • erronea mancata detrazione delle cedole/interessi percepiti dall'investitore dalla somma risarcibile.

Ha resistito in giudizio l'investitore, il quale, in via di appello incidentale, ha chiesto il riconoscimento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali (non riconosciuti dal tribunale). La Corte, rigettando l'appello principale e accogliendo quello incidentale, ha confermato parzialmente la sentenza di primo grado.

Le questioni

In via preliminare, la Corte si è trovata ad affrontare il noto tema del decorso del termine di prescrizione per l'esercizio dell'azione risarcitoria (art. 2947 c.c.), sul quale si fronteggiano una posizione (ormai largamente minoritaria), che fissa il medesimo dalla data di verificazione del fatto illecito, e una posizione (largamente maggioritaria), che fissa il dies a quo nel momento in cui l'evento dannoso è stato conosciuto (ovvero sarebbe stato conoscibile con l'ordinaria diligenza) da parte del danneggiato. Inoltre l'appello proposto dalla banca ha fornito alla Corte ambrosiana l'occasione di ritornare sul tema dell'idoneità del comportamento (imperito e/o negligente e/o non conforme alle regole dettate dalla normativa di settore), posto in essere dall'investitore, a interrompere (o ad attenuare) il nesso di occasionalità necessaria tra la condotta del promotore e le mansioni dal medesimo svolte per conto della banca, e quindi ad escludere (o ridurre) la responsabilità solidale dell'intermediario. Infine, esaminando l'appello incidentale, la Corte si è soffermata sulla natura del credito risarcitorio riveniente dall'accoglimento della domanda attorea e, quindi, sull'applicazione della rivalutazione monetaria e sulle modalità di calcolo degli interessi legali.

Le soluzioni giuridiche

La Corte disattende l'eccezione di prescrizione e, confermando la propria giurisprudenza, ribadisce che il termine di prescrizione ex art. 2947 c.c. non decorre già dal verificarsi del fatto storico (i.e. consegna degli assegni tra il 1999 e il 2001, con modalità non regolari), bensì dal momento in cui il danneggiato ha avuto effettiva conoscenza della violazione dei propri diritti (i.e. la comunicazione della banca del luglio 2010, che svelava di fatto l'avvenuta appropriazione indebita).

Nel merito, la Corte respinge le difese della banca (dichiarando peraltro inammissibile ex art. 345 c.p.c., l'eccezione di necessaria detrazione delle cedole/interessi dall'importo risarcibile- Eccezione che, se tempestiva, avrebbe potuto trovare accoglimento, cfr., ex multis, App. Torino, 3 aprile 2012, in ilcaso.it), ritenendo a) provato l'incasso degli assegni vista la prova in atti del versamento sul c/c del promotore e b) il comportamento imperito/imprudente del risparmiatore, il quale aveva consegnato somme di denaro con modalità difformi a quelle prescritte dalla legge, non idoneo, di per sé, ad interrompere (o ad attenuare ex art. 1227 c.c.) il nesso di occasionalità necessaria, così come affermato anche da Cass. n. 1741/2011 (qui integrato dalla stipula di contratti e dalla ricezione delle informative successive su carta intestata della banca).

Infine, la Corte afferma la natura di debito di valore del debito risarcitorio, con conseguente applicazione al medesimo la rivalutazione monetaria nonché gli interessi, i quali dovranno essere calcolati (in conformità ai criteri dettati da Cass., S.U., n. 1712/1995) non già sulla somma rivalutata al momento della liquidazione, bensì sulla somma di anno in anno rivalutata dal momento del sorgere del credito di restituzione (la data di scadenza del presunto investimento) «fino alla data della prima sentenza»; da tale momento fino al saldo effettivo, al contrario, saranno dovuti i soli interessi legali.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Sulla questione relativa al decorso del termine di prescrizione la Corte, oltre a confermare i propri recenti arresti (le sentenze Cass. n. 4137/2013 e Cass. n. 942/2014), ha altresì dato seguito ad un orientamento che ormai può dirsi largamente consolidato anche nella giurisprudenza della Suprema Corte (oltre che dei giudici di merito), orientamento che contempera adeguatamente le finalità sottese all'istituto della prescrizione e il diritto alla effettività della tutela giurisdizionale del soggetto danneggiato che non rimane colpevolmente inerte (cfr. Cass. n. 21255/2013; Cass. n. 12699/2010; Cass., S.U., n. 581/2008; Trib. Milano, 25 ottobre 2013 e Trib. Roma, 24 ottobre 2013, in Pluris e Trib. Milano, 3 ottobre 2009, in iusexplorer.it).

In linea con l'orientamento ormai assolutamente prevalente è poi la decisione assunta sul tema della responsabilità solidale dell'intermediario. Ed invero, come noto, l'art. 31 d.lgs. n. 58/1998 prevede che «il soggetto abilitato che conferisce l'incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal promotore finanziario» (ancorché derivanti da reato) (sul tema, si vedano, da ultimo: Fratini-Gasparri, Art. 31, in Il testo unico della finanza, Torino 2012, pp. 499 ss.; F. Greco, La responsabilità del soggetto abilitato nell'illecito del promotore finanziario, in Resp. Civ. 2013, p. 25; A. Fiorillo, Risponde in solido anche l'intermediario per il fatto illecito del promotore finanziario, in Obbl. Contr., 2012, pp. 254 ss.; S. D'Oro, Fatto illecito del promotore e responsabilità dell'intermediario, in Giur. It., 2011, pp. 1815 ss.; F. Bartolini, L'occasionalità necessaria non tramonta mai, in Danno e Resp., 2011, pp. 727 ss.; M. D'Auria, Ancora sul nesso di “occasionalità necessaria” negli illeciti dei promotori finanziari: profili problematici, in Giur. It., 2011, pp. 2575 ss.).

Secondo il costante orientamento della corte di Cassazione, affinché sussista tale responsabilità è necessario (e sufficiente) che vi sia un rapporto di “necessaria occasionalità” tra incombenze affidate e fatto del promotore (ossia allorché «il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all'esercizio delle incombenze di cui è investito», vale a dire ove esso «sia stato agevolato e reso possibile dall'inserimento del promotore […] nell'attività della società […]» (cfr. Cass.,n. 6289/2011; in senso conforme: Cass. n. 5020/2014; Cass. n. 12448/2012; Cass. n. 1741/2011; Cass. n. 20588/2004; Cass. n. 10580/2002). Per contro, altrettanto costante giurisprudenza ritiene che non valgono ad interrompere tale rapporto (e quindi il nesso di causalità), né a ridurre il medesimo (ex art. 1227 c.c.), i soli comportamenti imperiti/negligenti/inosservanti delle prescrizioni posti in essere dall'investitore (in quanto le norme di comportamento sono rivolte ai soli operatori qualificati a tutela dell'investitore e non possono essere strumentalizzate a discapito del medesimo); il tutto, salva la prova (che deve essere fornita dall'intermediario evincibile dal numero o dalla ripetizione delle operazioni irregolari, dal valore complessivo delle stesse, dall'esperienza del cliente, dalla conoscenza dell'iter procedurali e dalle complessive condizioni socio-economico-culturali - cfr. Cass. n. 27925/2013; Cass. n. 6708/2010; Cass. n. 17393/2009; Cass. n. 29773/2008; Cass. n. 8229/2006), che il cliente fosse in mala fede, colluso, ovvero consapevole e fattivamente acquiescente.

Infine, anche con riguardo al tema della qualificazione del debito in questione quale debito di valore, la sentenza si inserisce nel solco della giurisprudenza della Cassazione, applicando i criteri enunciati dalla risalente Cass., S.U., n. 1712/1995, confermati peraltro - anche in ipotesi di danno da perdita di somma di denaro - da arresti successivi (cfr. Cass. n. 4587/2009; contra Cass. n. 1161/1994).

La sentenza annotata, probabilmente non innovativa per le soluzioni proposte, fornisce tuttavia un'autorevole conferma, su tutte le questioni affrontate, agli orientamenti già espressi dalla giurisprudenza. In particolare, chiarifica i contorni della responsabilità gravante sull'intermediario - sempre più vicina ad una responsabilità di tipo oggettivo - che pare idonea a tutelare compiutamente l'investitore danneggiato, con la precisazione, tuttavia, che tale responsabilità non è assoluta e che, certamente, non è volta a tutelare l'investitore in mala fede. Sarà quindi compito degli intermediari (al fine di evitare soccombenze ormai prevedibili - con le inevitabili conseguenze in tema di condanna alle spese di lite e, in caso di impugnazione, anche del pagamento del doppio del contributo unificato, “sanzione” che, secondo i recenti arresti della Cassazione, costituisce un atto dovuto, da comminare finanche allorché le spese vengano compensate, cfr. Cass. n. 12936/2014) allegare e provare, di volta in volta, quegli «ulteriori elementi» (adombrati dalla sentenza in commento e esemplificati nella giurisprudenza sopra citata) che sono idonei a configurare il comportamento contrario a buona fede dell'investitore (interruttivo del nesso causale) e, quindi, di tenere indenne la banca da qualsivoglia pretesa risarcitoria per il fatto del proprio promotore.

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