La responsabilità civile del medico «ospedaliero» dopo l’entrata in vigore della «legge Balduzzi»: contrattuale o extracontrattuale?

Paolo Mariotti
Raffaella Caminiti
10 Giugno 2015

L'obbligazione dell'ospedale e del medico nei confronti del paziente, ancorché non fondate, talvolta l'una, talvolta l'altra, su una stipulazione negoziale di tipo ordinario, ma su un mero contatto sociale, hanno comunque natura contrattuale
Massima

L'obbligazione dell'ospedale e del medico nei confronti del paziente, ancorché non fondate, talvolta l'una, talvolta l'altra, su una stipulazione negoziale di tipo ordinario, ma su un mero contatto sociale, hanno comunque natura contrattuale, atteso che a detto contatto si ricollegano specifici obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi (nella fattispecie quello preso in considerazione dall'art. 32 Cost.) che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso.

Il caso

Tizio, accusando forti dolori all'occhio sinistro e disturbi visivi, si recava al pronto soccorso di un ospedale, dichiarando di far uso di lenti a contatto. Sottoposto a visita specialistica, l'oculista dimetteva il paziente con diagnosi di infiltrato corneale centrale, prescrivendo applicazioni di collirio e pomata oftalmica, oltre a visita di controllo dopo 4 giorni.

Persistendo l'intensa sintomatologia dolorosa e i disturbi visivi, il giorno successivo Tizio si recava nuovamente al medesimo pronto soccorso ove era visitato dal medico di turno che, preso atto della visita specialistica già effettuata, nonostante il dolore lamentato dal paziente e l'obiettività clinica dimetteva quest'ultimo, invitandolo a seguire i consigli dell'oculista.

Aggravatasi la sintomatologia nonostante l'assunzione di antidolorifici, il medesimo giorno Tizio si recava presso altro ospedale ove ne veniva disposto il ricovero d'urgenza, con diagnosi di ampio ascesso corneale all'occhio sinistro.

Tizio conveniva in giudizio il nosocomio cui si era inizialmente rivolto, l'oculista e il medico di turno che lo aveva visitato quando si presentò per la seconda volta al pronto soccorso, chiedendo il risarcimento dei danni subiti a causa dell'asserito ritardo nella diagnosi e nella cura con conseguente evoluzione della patologia iniziale e gravi lesioni permanenti alla cornea, nonostante i trattamenti appropriati praticati presso il secondo ospedale.

I sanitari convenuti contestavano la responsabilità per i danni da inadempimento contrattuale e la sussistenza dei pregiudizi allegati da Tizio.

In corso di causa era effettuata una consulenza tecnica d'ufficio affidata a un collegio composto da un medico-legale e da un oftalmologo, che escludeva la sussistenza di elementi di colpa nella condotta del medico oculista essendo stata la prescrizione corretta in relazione al quadro clinico riscontrato. Poiché, tuttavia, i consulenti tecnici d'ufficio affermavano che il quadro clinico delle cheratiti microbiche associate all'uso di lenti a contatto è a rapida progressione, rappresentando dunque un'urgenza-emergenza oculistica, il giudice ha ritenuto che la prescrizione della visita di controllo dopo 4 giorni abbia costituito un comportamento imprudente dello specialista che, ciò nondimeno, non poteva dar luogo a risarcimento poiché, sul piano causale, non aveva spiegato alcun effetto, essendosi il paziente, contrariamente all'indicazione ricevuta, rivolto tempestivamente al pronto soccorso di altro ospedale

L'attore doveva, invece, essere risarcito del danno cagionatogli dal comportamento colposo del medico di turno che lo aveva visitato quando si presentò per la seconda volta al pronto soccorso, il quale è stato condannato in solido con l'ente ospedaliero ex art. 1228 c.c..

Il giudice della Sezione V Civile del Tribunale di Milano non condivide l'orientamento espresso da altra Sezione (I Civile) con sentenza 17 luglio 2014 in tema di qualificazione della responsabilità civile del medico dipendente o collaboratore della struttura sanitaria dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del «decreto Balduzzi» (l. n. 189/2012), citando anche le sentenze del Tribunale di Varese, 26 novembre 2012, n. 1406 e del Tribunale di Torino del 26 febbraio 2013, secondo cui la novella legislativa avrebbe «gettato alle ortiche» la costruzione giurisprudenziale del contatto sociale come fonte di obblighi e responsabilità di natura contrattuale.

La diversa formulazione del primo comma dell'art. 3 d.l. n. 158/2012 prima delle modifiche apportate dalla legge di conversione l. n. 189/2012 e l'opinione secondo cui il Legislatore agisce sempre in modo consapevole e razionale, hanno indotto la Sezione I Civile del Tribunale di Milano – osserva il giudice – a porsi in contrasto con l'indirizzo giurisprudenziale affermatosi da oltre 15 anni e ribadito dalla Corte nomofilattica anche dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del «decreto Balduzzi», secondo cui la responsabilità professionale del medico rientra nel genus della responsabilità contrattuale (Cass. civ., sez. VI, 17 aprile 2014, n. 8940, in Responsabilità Civile e Previdenza 2014, 3, 803; Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4029).

Per la sentenza tale orientamento esegetico attribuisce al Legislatore «altra, non meno grave, svista», consistente nell'aver omesso di «distinguere la disciplina applicabile ai casi in cui il paziente si sia rivolto direttamente e personalmente a un medico di sua fiducia, per i quali, (…), il regime della responsabilità per i danni causati nell'esercizio dell'attività professionale medica rimane quello dettato dall'art. 1218 c.c., dalla disciplina da applicarsi invece ai casi in cui il paziente si sia rivolto alla struttura sanitaria (…) e non al medico, per i quali, in conseguenza dell'entrata in vigore della norma in questione (l. n. 189/2012 cit.), «il criterio attributivo della responsabilità civile al medico (e agli altri esercenti una professione sanitaria) va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.» (Trib. Milano, sez. I, 17 luglio 2014 cit.).

Ritiene il giudice che l'interpretazione della Sezione I Civile del Tribunale di Milano, «risultando sostanzialmente manipolativa della norma in esame (…), pare contrastare anch'essa con la presunzione di consapevolezza di cui sopra e si presta, perciò, alla medesima critica che essa rivolge all'interpretazione fatta propria da Cass. n. 8940/2014 cit., che limita la portata della norma in parola alla riaffermazione del principio che, nel giudizio risarcitorio civile, diversamente che in quello penale, et levissima culpa venit».

La sentenza così argomenta: il Legislatore «ove avesse effettivamente inteso ricondurre una volta per tutte la responsabilità del medico ospedaliero (e figure affini) sotto il (solo) regime della responsabilità extracontrattuale, escludendo l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 1218 c.c. e così cancellando lustri di elaborazione giurisprudenziale, avrebbe certamente impiegato proposizione univoca (…) anziché il breve inciso in commento. Insomma, pur non essendo qui d'aiuto il noto brocardo ubi lex voluit dixit, poiché il Legislatore, effettivamente, aliquid dixit, non può comunque ritenersi (…) che la locuzione meramente «eccettuativa» (così Trib. Brindisi, sent., 18 luglio 2014, N.d.R.) di cui trattasi abbia inequivocabilmente reso manifesta la volontà del Legislatore stesso di negare la configurabilità di responsabilità contrattuale in capo al medico ospedaliero etc.. Inoltre, ritenere che l'esercente la professione sanitaria, ogni qual volta svolga la propria attività all'interno di una struttura, sia tenuto, nei confronti del paziente, a rispettare soltanto il precetto generale dell'art. 2043 c.c. (…), valido per la totalità dei soggetti, anche non esercenti la professione sanitaria, e non debba invece rispettare l'obbligo di diligenza professionale posto dall'art. 1176 comma 2 c.c., appare a questo giudice oltremodo riduttivo della funzione sociale dell'esercente la professione sanitaria».

La pronuncia in esame non reputa convincente neppure l'argomento della ratio legis in quanto «se è vero che dall'opzione interpretativa che esclude l'applicabilità della disciplina della responsabilità contrattuale all'attività dell'esercente la professione sanitaria in ambito ospedaliero discendono conseguenze sia in tema di riparto dell'onere di allegazione e prova (che diverrebbe assai più gravoso per il danneggiato), sia in ordine al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno (che risulterebbe dimezzato), e che tali conseguenze appaiono, al Giudice della Prima Sezione, coerenti con l'intento del Legislatore di contenere la spesa pubblica e di arginare il dilagante fenomeno della «medicina difensiva» (che su detta spesa incide), è altresì vero che quell'opzione comporterebbe l'inapplicabilità al sanitario del limite alla responsabilità del prestatore d'opera posto dall'art. 2236 c.c. (in materia contrattuale), ciò che (…) darebbe nuova linfa proprio a quell'atteggiamento «difensivo» che in realtà si vorrebbe debellare».

La questione

La natura della responsabilità del medico e degli altri esercenti la professione sanitaria, dopo l'entrata in vigore della legge di conversione del «decreto Balduzzi», è contrattuale o extracontrattuale?

Le soluzioni giuridiche

Sul significato e sulla portata del richiamo all'obbligo risarcitorio di cui all'art. 2043 c.c. contenuto nel primo comma dell'art. 3 d.l. n. 158/2012 convertito in l. n. 189/2012 si è acceso un dibattito dottrinario e giurisprudenziale tutt'altro che sopito, come dimostra la sentenza in commento.

Si discute, in particolare, se tale richiamo costituisca un lapsus calami del Legislatore o, piuttosto, corrisponda ad una scelta consapevole di quest'ultimo, volta a riqualificare ex lege la responsabilità del medico (e degli altri esercenti la professione sanitaria) come extracontrattuale, superando l'orientamento tradizionale secondo cui detta responsabilità deve qualificarsi come contrattuale non già per l'esistenza di un pregresso rapporto obbligatorio insorto tra medico e paziente, ma in virtù del rapporto originato dal «contatto sociale» (cfr. ex pluribus Trib. Perugia, sez. II, 16 aprile 2014; Trib. Bari, sez. II, 23 aprile 2014, n. 2040), caratterizzato dall'affidamento che il paziente pone nella professionalità del medico, fonte per quest'ultimo di obblighi di protezione (Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589) ed equiparata, per lo meno quoad effectum, alla responsabilità contrattuale (cfr. Trib. Latina, sez. II, 26 ottobre 2013) .

Secondo la giurisprudenza di legittimità e gran parte della giurisprudenza di merito, tra cui la sentenza n. 13574/2014 della Sezione V Civile del Tribunale di Milano, ratio della novella legislativa del 2012 è quella di escludere la responsabilità penale del sanitario (che si sia attenuto alle linee guida e alle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica) in caso di colpa lieve, mantenendo comunque la possibilità per il danneggiato, anche in caso di assoluzione penale per levità della colpa, di ottenere un risarcimento civilistico.

Tuttavia, parte della giurisprudenza di merito si è espressa a favore di una portata innovatrice della norma in questione, richiamandone il tenore letterale e dando rilievo alle finalità perseguite dal Legislatore, che avrebbe inteso fornire una precisa indicazione sui criteri di imputazione della responsabilità civile degli esercenti la professione sanitaria.

Per la Sezione I Civile del Tribunale di Milano (Trib. Milano, sent., 17 luglio 2014) «l'art. 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'art. 1218 c.c.». Si deve, invece, ritenere che «la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c.» .

Osservazioni

Posto che secondo l'orientamento tradizionale seguito dalla sentenza in commento, la responsabilità del medico per le lesioni cagionate al paziente nell'esercizio della sua attività professionale ha sempre natura contrattuale, il termine prescrizionale applicabile è quello decennale, entro il quale il paziente/danneggiato può agire in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria. Per quanto attiene all'onere probatorio, egli deve dimostrare il contratto o «contatto sociale» e allegare l'inadempimento del professionista, mentre spetta a quest'ultimo e alla struttura sanitaria provare l'esatto adempimento. Allorché, in corso di causa sia accertato il nesso eziologico tra l'evento dannoso e la prestazione sanitaria, poiché il danneggiato fa valere la responsabilità contrattuale sia dell'ente ospedaliero sia del medico, l'aggravamento della patologia del paziente o l'insorgenza di nuove patologie eziologicamente connesse all'operato del sanitario comportano, ai sensi dell'art. 1218 c.c., una presunzione in ordine all'inadeguata o negligente prestazione, la quale può essere vinta allorché l'obbligato (medico, ospedale) fornisca la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo idoneo e che tale aggravamento sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile (anche in dipendenza di una particolare condizione fisica del paziente), non accertabile e non evitabile con l'ordinaria diligenza professionale (cfr. Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2002, n. 3492; Trib. L'Aquila, 31 ottobre 2014, n. 883).

Poiché, invece, secondo il diverso orientamento espresso anche dalla Sezione I Civile del Tribunale di Milano, dopo l'entrata in vigore della l. n. 189/2012 la responsabilità del medico e degli altri esercenti le professioni sanitarie in rapporto di dipendenza/collaborazione presso strutture pubbliche è qualificabile come extracontrattuale, se il paziente/danneggiato «agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in «contatto» presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex art. 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare; se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex art. 2043 c.c. per il medico e quella ex art. 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il «fatto dannoso» (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'art. 2055 c.c.» (Trib. Milano, sez. I, 17 luglio 2014).

È tuttora oggetto di contrasto giurisprudenziale, oltre che dottrinario, la qualificazione della natura della responsabilità del medico e degli altri esercenti la professione sanitaria dopo l'entrata in vigore della «Legge Balduzzi» che, secondo la giurisprudenza di legittimità e parte della giurisprudenza di merito, resta contrattuale, mentre secondo l'orientamento espresso da altra giurisprudenza di merito, è extracontrattuale, con tutto quel che ne consegue in ordine al riparto dell'onere di allegazione e prova e al termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

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