La liquidazione equitativa del danno derivante da lesioni micropermanenti e il rischio della pluralità dei parametri risarcitori

11 Settembre 2015

Il danno non patrimoniale correlato a lesioni di lieve entità, non derivanti dalla circolazione stradale, deve essere liquidato, in via equitativa, facendo riferimento ai criteri indicati dal legislatore per le invalidità micropermanenti di cui all'art. 139 D. lgs. n. 209/2005, cui rinvia ora anche la L. n. 189/2012 in tema di responsabilità sanitaria, non potendo ritenersi ammissibile, alla luce del principio costituzionale di uguaglianza, una quantificazione del danno differenziata a seconda del fatto generatore del pregiudizio all'integrità psicofisica.
Massima

Il danno non patrimoniale correlato a lesioni di lieve entità, non derivanti dalla circolazione stradale, deve essere liquidato, in via equitativa, facendo riferimento ai criteri indicati dal legislatore per le invalidità micropermanenti di cui all'art. 139 D. lgs.n.209/2005, cui rinvia ora anche la L. n. 189/2012 in tema di responsabilità sanitaria, non potendo ritenersi ammissibile, alla luce del principio costituzionale di uguaglianza, una quantificazione del danno differenziata a seconda del fatto generatore del pregiudizio all'integrità psicofisica.

Il caso

L'attore chiedeva la condanna del proprio avversario al risarcimento dei danni subiti a causa della condotta anomala assunta da un cane di sua proprietà. Accertata, alla luce dell'istruttoria espletata, la titolarità del diritto di proprietà dell'animale in capo al convenuto, quest'ultimo veniva ritenuto responsabile dei pregiudizi patiti dall'attore ai sensi dell'art. 2052 c.c..

Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale subito dal danneggiato, riconducibile ad una lesione di lieve entità, il tribunale faceva ricorso ai parametri di liquidazione previsti dall'art. 139 Cod. Ass., ritenendo applicabile tale previsione normativa anche in ipotesi di pregiudizi non derivanti dalla circolazione stradale.

Per la sofferenza derivata dal sinistro, il Tribunale, inoltre, riconosceva in favore dell'attore l'aumento, nella misura massima di un quinto, previsto dal terzo comma dell'art. 139 Cod. Ass..

La questione

La sentenza in commento affronta il problema della quantificazione del danno alla salute riconducibile a lesioni c.d. micropermanenti e, in particolare, della idoneità dei parametri previsti dall'art. 139 Cod. Ass. ad assurgere a principale riferimento della liquidazione equitativa del danno all'integrità psicofisica.

Le soluzioni giuridiche

L'esame del panorama degli orientamenti interpretativi sviluppati intorno al tema affrontato nella sentenza in esame deve prendere avvio dall'analisi della sentenza della Suprema Corte n. 12408/2011.

Questa pronuncia, con specifico riferimento alla liquidazione del danno alla salute di lieve entità, ha affermato che, nel settore della responsabilità civile derivante da sinistro stradale, il danno va liquidato nei soli termini previsti dall'art. 139 Cod. Ass., con possibilità di aumento «in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato».

Ribaltando il proprio precedente orientamento ( cfr. Cass., sent. n. 19816/2010 che, con riferimento ai valori monetari previsti dalla L. n. 57/2001, ha chiarito che «l'art. 5 della suddetta legge si è limitato a dettare i criteri di liquidazione del danno biologico – cioè di quell'aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all'integrità fisica - senza per questo escludere che, nella complessiva valutazione equitativa circa l'entità della somma spettante in risarcimento, il giudice debba tenere conto anche delle sofferenze morali subite dal danneggiato»), la Corte ha, di conseguenza, escluso la possibilità di ammettere la liquidazione del danno da sofferenza, anche con aumento dell'importo base in misura superiore al quinto, al fine di dare rilevanza autonoma al c.d. danno morale.

La Suprema Corte, per altro verso, nell'ipotesi di responsabilità civile non connessa alla circolazione stradale, ha individuato, quale parametro di riferimento della liquidazione equitativa del danno, le Tabelle di Milano, escludendo l'applicazione analogica dell'art.139 Cod.Ass.., in ragione della settorialità di tale previsione normativa, destinata a fronteggiare i problemi specifici del settore della r.c. auto, al fine del contenimento dei premi assicurativi.

L' impianto interpretativo contenuto nella "sentenza Amatucci” non può, tuttavia, ritenersi univoco e consolidato nella giurisprudenza di legittimità.

Occorre, in primo luogo, considerare che la vocazione delle tabelle di Milano ad assurgere a parametro generale ed esclusivo di riferimento per la valutazione del pregiudizio all'integrità psico fisica della persona, risulta posta in dubbio, seppur con accenti diversi, da successivi arresti giurisprudenziali della Suprema Corte, volti a giustificare il ricorso a criteri di liquidazione diversi (cfr. Cass., sent. n. 16866/2011, citata anche dalla sentenza in commento, che ha affermato che «nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da infortunio sul lavoro appare maggiormente plausibile il richiamo delle tabelle in uso presso tribunali prossimi, giacché esse sono computate in via teorica e pratica sulla condizione generale dei rapporti socio-economici sottostanti all'evento infortunistico ed a tutte le conseguenze psico-fisiche di esso”; cfr. Cass., sent. n. 5243/2014 che, pur riconoscendo il preminente valore orientativo delle Tabelle di Milano, ha ritenuto ammissibile anche l'applicazione di altri valori tabellari, purchè “includano nel punto base la considerazione della componente già qualificata in termini di «danno morale, dando perciò per presunta ….l'esistenza di un tale tipo di pregiudizio, pur se non accertabile per via medico-legale, operando perciò non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente liquidazione»).

Risulta, altresì, disattesa l'esegesi sulla portata oggettiva dell'art. 139 Cod. Ass., fondata sulla natura onnicomprensiva del risarcimento previsto da tale disposizione(Interpretazione che, sul piano pratico, renderebbe applicabili i tetti stabiliti a livello normativo per la personalizzazione del risarcimento non già alla sola componente biologica del pregiudizio, ma a tutte le conseguenze non patrimoniali della lesione, comprese anche le sofferenze di carattere morale).

Con Cass., sent. n. 22585/2013, infatti, la Suprema Corte ha affermato che «le norme di cui agli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private (…) non consentivano (nè tuttora consentono), una lettura diversa da quella che predicava la separazione tra i criteri di liquidazione del danno biologico in esse codificati e quelli funzionali al riconoscimento del danno morale: in altri termini, la "non continenza", non soltanto ontologica, nel sintagma "danno biologico" anche del danno morale».

La Suprema Corte, in particolare, ha chiarito che nella liquidazione del danno biologico il legislatore del 2005 ha inteso solo «ricomprendere quella categoria di pregiudizio non patrimoniale - oggi circoscritta alla dimensione di mera voce descrittiva – che era stata riconosciuta e definita come danno esistenziale».

Il danno morale si configurerebbe, pertanto, quale posta di pregiudizio autonoma e diversa rispetto al danno alla salute, in quanto tale separatamente risarcibile, se e in quanto allegata e provata.

In linea con tale orientamento esegetico, volto a riconoscere il principio dell'integralità del risarcimento del danno, superando il tenore letterale del dettato normativo, si pone, poi, la sentenza della Corte di Cassazione sent. n. 1361/2014, che ha affermato l'illegittimità dell'apposizione di limiti massimi di contenimento alla quantificazione del ristoro dovuto e, per altro verso, la necessità di non sacrificare nessuno degli aspetti di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale.

Il sistema di quantificazione prospettato dalla Tabella unica nazionale per la liquidazione delle invalidità cd. micropermanenti, introdotta con D.Lgs. n. 209/2005 risulterebbe, di conseguenza, inidoneo «a consentire al giudice di pervenire ad una valutazione informata ad equità, sollevando dubbi in ordine alla sua legittimità, in quanto in contrasto con il principio in base al quale il ristoro del pregiudizio alla persona non tollera astratte limitazioni massime».

Nel contesto magmatico degli approdi interpretativi della giurisprudenza di legittimità, s'inserisce la sentenza del Tribunale di Milano che, superando non solo i principi affermati dalla sentenza c.d. Amatucci ma anche le tendenze "antropocentriche" incentrate sul principio dell'integralità del risarcimento, ritiene applicabile, quale parametro principale di quantificazione di tutte le ipotesi di c.d. danno da micropermanente, l'art. 139 Cod.Ass..

L'iter argomentativo seguito dalla sentenza in commento fa perno, per un verso, sul principio costituzionale di uguaglianza ( Alla luce del quale non sarebbe giustificabile un sistema risarcitorio basato su un doppio binario, in considerazione della causa generatrice del pregiudizio.), e, per altro verso, sull'inidoneità delle tabelle di Milano a costituire riferimento esclusivo e cogente della liquidazione del danno alla salute, specie a seguito dell'estensione alle ipotesi di illecito sanitario delle disposizioni previste dall'articolo 139 sopra menzionato.

il Tribunale, inoltre, ritiene incongruenti le argomentazioni poste a sostegno dell'illegittimità costituzionale della disposizione normativa in esame e, al riguardo, propone una lettura della sua ratio non funzionale alla tutela di interessi macroeconomici di tipo privato e, in particolare, al contenimento del mercato dei premi assicurativi, ma all'esigenza di individuare, a livello normativo, parametri uniformi per la liquidazione equitativa del danno, sottraendo tale attività alla mera discrezionalità del giudice.

Conferma di tale conclusione interpretativa andrebbe ravvisata nel fatto che i criteri di valutazione fissati nell'art. 139 Cod. Ass. sono applicabili non soltanto nei confronti delle società assicurative ma anche nei confronti dei soggetti responsabili del danno (Per una critica all'intervento del Legislatore, inteso quale operazione messa in atto per calmierare il mercato della r.c., cfr.; P. Ziviz, Danno non patrimoniale da lesione alla salute: la Cassazione impone una valutazione (in duplice senso) unitaria, in Resp. civ., 2011, 2018; che ritiene che la condizione deteriore riservata dal legislatore alle vittime della strada potrebbe, essere fronteggiata esclusivamente riconoscendo la possibilità — per il danneggiato — di agire per ottenere dal responsabile del sinistro il danno differenziale quantitativo, in analogia a quanto avviene in ambito infortunistico nei confronti del datore di lavoro).

Occorre, infine, sottolineare che non sussiste uniformità di vedute riguardo al tema in esame neanche nella giurisprudenza di merito.

Proprio sul presupposto dell'esistenza, nel diritto vivente, di un sistema binario, in cui le vittime di incidenti stradali risultano essere destinatarie di un trattamento risarcitorio peggiorativo rispetto alle vittime di sinistri determinati da altre cause, infatti, alcuni giudici di merito hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 139 Cod.Ass. (Come è noto, il Giudice di Pace di Torino, con ordinanza in data 26 novembre 2009 ha ritenuto -tra l'altro - l'impossibilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 139 in esame e ne ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 76 Cost., sul presupposto che non è consentito al giudice alcuna possibilità di adeguare la liquidazione del danno alla fattispecie concreta, essendo fissato un limite al risarcimento del danno alla persona, senza un adeguato contemperamento degli interessi in gioco ed in violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza e di tutela giurisdizionale del danneggiato.

La Corte costituzionale, con ord. n. 157/2011, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di Pace di Torino, per difetto di prova della rilevanza di tale questione.

Lo stesso Giudice di Pace, in data 21 ottobre 2011, ha riproposto la medesima questione di costituzionalità della norma. La questione di legittimità costituzionale della disposizione in questione è stata, inoltre, proposta dal tribunale di Brindisi con ordinanza del 3 aprile 2012 nonché dal tribunale di Tivoli con ordinanza del 21 marzo 2012).

Osservazioni

Sotto altro profilo di analisi, occorre osservare che la questione della compatibilità di un doppio binario risarcitorio con il diritto dell'Unione Europea è stata recentemente affrontata dalla Corte di Giustizia UE, sollecitata da una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal tribunale di Tivoli (cfr. CGUE, sent. 23 gennaio 2014, C-371/12).

In particolare, la Corte Europea ha osservato come il diritto nazionale italiano non limiti il paradigma del danno risarcibile, nemmeno in caso di sinistri stradali, evidenziando che “esso prevede, da un lato, all'articolo 2059 del codice civile, il fondamento del diritto al risarcimento dei danni morali derivanti dai sinistri stradali e, dall'altro, all'art. 139 Cod. Ass. private, le modalità di determinazione della portata del diritto al risarcimento per quanto riguarda il danno biologico per lesioni di lieve entità causate, in particolare, da siffatti sinistri".

La Corte, inoltre, ha evidenziato che le direttive applicabili al caso di specie "non ostano, in linea di principio, né ad una legislazione nazionale che impone ai giudici nazionali criteri vincolanti per la determinazione dei danni morali da risarcire né a sistemi specifici, adeguati alle particolarità dei sinistri stradali, anche se tali sistemi comportano, per determinati danni morali, un metodo di determinazione della portata del diritto al risarcimento meno favorevole alla vittima rispetto a quello applicabile al diritto al risarcimento delle vittime di sinistri diversi da quelli stradali".

“Ciò a condizione che tale minor favore non si trasformi, in fatto, in una sostanziale esclusione del diritto risarcitorio od in una sua compressione del tutto sproporzionata. Elementi, tali ultimi, che - nel sinistro dedotto in giudizio - non sono emersi; tanto più che il metodo di calcolo più restrittivo previsto ai fini di tale risarcimento si applica solo ai danni risultanti da lesioni corporali di lieve entità; e, infine, che l'importo risultante da tale calcolo è proporzionato, in particolare, alla gravità delle lesioni subite e alla durata dell'invalidità provocata. Tale sistema consente inoltre al giudice di adeguare l'importo del risarcimento da accordare, corredandolo di una maggiorazione che può arrivare fino a un quinto dell'importo calcolato".

Non può, per altro verso, trascurarsi di rilevare che l'argomentazione, formulata nella sentenza in commento, fondata sull'estensione alle ipotesi di illecito sanitario dei parametri previsti dall'articolo 139 Cod. Assicur. non sembra assumere rilievo conclusivo.

La scelta del legislatore di rinviare, in forza dell'art. 3, comma 3, L. n.189/2012, alla disciplina dettata dall'art. 139 Cod. Ass., infatti, non solo ha suscitato numerose perplessità in dottrina (Per le perplessità relative alla opportunità di estendere la disciplina speciale della r.c. auto, caratterizzata da problemi e danni in gran parte diversi rispetto a quelli che caratterizzano la responsabilità sanitaria, a quest'ultimo ambito, cfr. G. Ponzanelli, L'applicazione degli articoli 138 e 139 Cod. Ass. alla responsabilità medica: problemi e prospettive, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 145 ss.; C. Treccani, Prime osservazioni sull'estensione degli artt. 138 e 139 c.a.p. all'esercente la professione sanitaria, in Danno e Resp., 2013, 447 ss.; V. Carbone, La responsabilità del medico pubblico dopo la legge Balduzzi, in Danno e Resp., 2013, 378 ss.) ma è stata considerata, da alcuni commentatori, ispirata, al pari dell'art. 139, all'esigenza di contenimento generale dei costi di un sistema presidiato - a tutela della collettività- da veri e propri obblighi di assicurazione ( cfr. M. Hazan, Osservatorio di diritto e pratica della assicurazione , danni in materia civile e penale in Danno e Resp., 2014, 4, 434).

Una simile esegesi dell'art. 3, L. n. 189/2012 imporrebbe di ritenere, del tutto in contrasto con quanto sostenuto dal tribunale di Milano, che, nell'ambito della responsabilità civile, il Legislatore abbia voluto creare un microsistema ispirato a logiche contenitive del risarcimento in funzione dell'efficienza di un sistema assicurativo obbligatorio e lato sensu previdenziale.

La varietà degli statuti risarcitori del danno alla persona e la molteplicità delle soluzioni esegetiche proposte dalla giurisprudenza dimostrano che il dibattito sulla natura e sulla quantificazione del danno non patrimoniale sia lontano dal raggiungimento di risultati conclusivi.

In questo contesto, dai contorni così incerti e magmatici, l'intervento della Corte Costituzionale sembra ormai avvertirsi come un' insuperabile necessità.

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