Il danno da occupazione abusiva di immobile: an e quantum del risarcimento
13 Febbraio 2017
Massima
Il danno da occupazione abusiva di immobile (nella specie, terreno privato) non può ritenersi sussistente in re ipsa e coincidente con l'evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicché il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto ad esempio locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo peraltro pur sempre avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti. Il caso
Due coniugi, Tizio a Caia, proprietari di un immobile sito in Sorrento, lo concedono in comodato precario al figlio Mevio e a sua moglie Mevia per destinarlo a casa coniugale. A seguito della separazione di questi ultimi, Tizio e Caia agiscono per la restituzione dell'immobile da parte di Mevia e per il risarcimento dei relativi danni. Il Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, accoglie la domanda e condanna Mevia alla restituzione, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede. Con successivo ricorso, quindi, i coniugi chiedono l'accertamento del valore locativo dell'immobile e la condanna di Mevia al risarcimento del danno. Il giudice di prime cure, tuttavia, rigetta la domanda di risarcimento, con compensazione delle spese. Avverso quest'ultima decisione i predetti coniugi propongono appello deducendo l'illegittimità e l'erroneità della stessa per aver escluso il cosiddetto danno figurativo, ovvero il danno in re ipsa, in caso di occupazione abusiva di immobile. Invero, anche il giudice di seconde cure, confermando la sentenza di prima grado, rigetta in toto l'appello. I coniugi Tizio e Caia propongono pertanto ricorso per Cassazione facendo valere un unico motivo di censura. In particolare, i ricorrenti lamentano l'erroneità della sentenza della Corte d'appello di Napoli nella parte in cui aveva rigettato la loro domanda di risarcimento del danno da ritardata restituzione dell'immobile concesso in comodato precario al figlio ed alla di lui moglie Mevia. Gli Ermellini, ritenuto il motivo fondato, precisano che la Corte d'appello avrebbe dovuto riconoscere come esistente l'utilità patrimoniale dell'appartamento dei ricorrenti, occupato senza titolo da Mevia, e, quindi provvedere alla aestimatio del relativo danno, se del caso facendo applicazione di criteri equitativi di liquidazione, mediante l'individuazione del corrispettivo della locazione dell'immobile da parte del proprietario a terzi con permanenza del suo godimento diretto nell'immobile congiuntamente a quello del conduttore. La Suprema Corte, perciò, accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, che dovrà pronunciarsi anche sulle spese del giudizio di cassazione.
La questione
La questione in esame è la seguente: nel caso di occupazione sine titulo di immobile da parte di un comodatario, il proprietario dello stesso ha o meno diritto al risarcimento del danno figurativo? Le soluzioni giuridiche
Secondo un primo orientamento, in caso di occupazione senza titolo di un immobile altrui, il danno patito dal proprietario sarebbe in re ipsa. Questo orientamento si fonda sull'assunto che il diritto di proprietà ha insite in sé le facoltà di godimento di disponibilità del bene che ne forma oggetto: sicché, una volta soppresse tali facoltà per effetto dell'occupazione, l'esistenza d'un danno risarcibile può ritenersi sussistente sulla base di una praesumptio hominis, superabile solo con la dimostrazione concreta che il proprietario, anche se non fosse stato spogliato, si sarebbe comunque disinteressato del suo immobile e non l'avrebbe in alcun modo utilizzato. Per quanto attiene, poi, alla concreta stima del danno, l'orientamento in esame ritiene che questa possa avvenire anche facendo riferimento al cosiddetto danno figurativo, vale a dire al valore locativo dell'immobile occupato. In questo senso si è pronunciata Cass. civ., sez. III, sent., 7 agosto 2012 n. 14222. La ratio di tale indirizzo giurisprudenziale risiede nella circostanza secondo cui, sostanziandosi il contenuto del diritto di proprietà nelle facoltà di godimento e di disposizione del bene, tale situazione giuridica viene ad essere automaticamente pregiudicata per effetto della compressione che dette facoltà subiscono a causa dell'altrui dolosa o colposa occupazione abusiva, ingiusta in quanto tale perché priva di titolo. Secondo un diverso filone giurisprudenziale (ex multis, Cass. civ., sez. III, sent., 11 gennaio 2005 n. 378) invece, il danno da occupazione abusiva di immobile non può ritenersi sussistente in re ipsa, né coincidente col mero fatto dell'occupazione. Secondo questo orientamento, infatti, l'occupazione non è il danno, ma la condotta produttiva del danno. Pertanto il danneggiato che chieda il risarcimento del pregiudizio causato dall'occupazione sine titulo è tenuto a provare di aver subito un'effettiva lesione del proprio patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene, ovvero per aver perso l'occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva. Se una lettura tradizionale dell'art. 832 c.c. dà risalto all'inciso ivi contenuto sul diritto del proprietario di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, una lettura più aggiornata e costituzionalmente orientata della medesima norma pone invece in evidenza l'inciso relativo ai limiti e all'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico, in cui pure si sostanzia il contenuto del diritto di proprietà. Ne deriva che, secondo la lettura tradizionale fatta propria dall'unanime giurisprudenza fino a tempi recenti, è indifferente che il proprietario eserciti o non eserciti il suo diritto, godendo o non godendo del bene, disponendone o non disponendone. Perciò, in caso di occupazione sine titulo, egli ha comunque diritto al risarcimento del danno, essendo il danno in re ipsa in quanto detta occupazione pone il proprietario nell'impossibilità di conseguire l'utilità ricavabile dal bene medesimo anche solo potenzialmente e, cioè, indipendentemente dal fatto che egli poi in concreto l'avrebbe o meno conseguita nel caso in cui il bene non fosse stato abusivamente occupato. Quest'ultima circostanza, infatti è indifferente per l'ordinamento giuridico, essendo il proprietario pienamente libero di esercitare o non esercitare il suo diritto. Per cui, non solo egli non deve fornire al riguardo nessuna prova sull'an, ma non è nemmeno ammesso che l'occupante possa utilmente fornire una prova contraria, in relazione al disinteresse e al mancato esercizio in concreto da parte del proprietario del suo diritto. Da ultimo, non rileva neppure né che detta circostanza risulti eventualmente ex actis. Una lettura invece più aggiornata e costituzionalmente orientata dell'art. 832 c.c., fatta propria in materia dalla predetta pronuncia (Cass. civ., sez. III, sent., 7 agosto 2012 n. 14222), sebbene continui ad affermare il principio secondo cui il proprietario non deve dare la prova nell'an del danno subito a seguito di occupazione abusiva, aggiunge però che si è qui in presenza di una presunzione di danno solo relativa iuris tantum, per cui l'occupante può fornire la prova contraria nell'an, oppure la stessa può risultare anche ex actis. Sicché, qualora risulti ex actis oppure l'occupante dimostri il disinteresse e comunque il mancato esercizio in concreto da parte del proprietario del suo diritto, nessun risarcimento sarà dovuto. Ovviamente in simili ipotesi, il proprietario, al fine di contrastare la prova fornita dall'occupante o emergente ex actis, avrà l'onere di fornire a sua volta l'eventuale prova contraria, ossia di dimostrare il proprio interesse e dell'effettivo esercizio in concreto del suo diritto. La Suprema Corte, ai fini dell'accoglimento di una domanda risarcitoria, pur in presenza di una prova nell'an circa la sussistenza del danno, ne richiede necessariamente la dimostrazione anche nel quantum, salvo il caso in cui tale prova risulti nel caso di specie «impervia o impossibile» o comunque presenti una «difficoltà di un certo rilievo», alla luce della peculiare natura del pregiudizio lamentato dall'attore. Solo in quest'ultimo caso, pertanto, il ricorso ad un'autonoma valutazione equitativa del danno risulta legittimo e doveroso, dovendosi altrimenti rigettare la domanda risarcitoria per mancata prova sul quantum. Tornando alla domanda risarcitoria per occupazione sine titulo, qualora non risulti ex actis, oppure nel caso in cui l'occupante non dimostri né disinteresse né il mancato esercizio in concreto da parte del proprietario del suo diritto, incombe comunque su quest'ultimo l'onere di provare il quantum della sua pretesa. Prova, quest'ultima, che egli dovrà fornire con riferimento ove possibile al cosiddetto danno figurativo, ossia al valore locativo del cespite usurpato, magari anche facendo riferimento al valore locativo di immobili similari ubicati nella medesima zona. Nel caso in cui egli non fornisca detta prova, invero se la stessa non risulti già altrimenti dagli atti processuali, il giudice dovrà dunque rigettare la domanda risarcitoria per mancanza di prova sul quantum, non risultando, nel caso di specie, tale prova «impervia o impossibile» né presentando la stessa una difficoltà di un certo rilievo. Invece, qualora non sia possibile fare ricorso al criterio del danno figurativo, nel caso in cui la prova sia effettivamente valutabile come «impervia o impossibile» o presenti una difficoltà di un certo rilievo, il giudice di merito potrà fare ricorso anche d'ufficio alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., a patto che ricorrano elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione. Circa la valutazione equitativa del danno, è bene ricordare che il giudice di merito ha l'obbligo di indicare in motivazione i criteri di riferimento o quantomeno la giustificazione posta a base della valutazione medesima, pena un vizio motivazionale della sentenza censurabile in sede di legittimità, nonostante la Suprema Corte non sia sempre parimenti rigida nel valutare l'effettiva sussistenza di detto vizio motivazionale. Nel caso in esame di trattava di una mansarda illecitamente detenuta da parte di una comodataria; detto bene aveva natura fruttifera, tanto che la stessa occupante senza titolo aveva ammesso che sul mercato un immobile simile era reperibile ad un canone di circa ottocento/ milleduecento euro. È, quindi, di tutta evidenza l'utilità patrimoniale dell'appartamento dei comodanti proprietari: il giudice del merito avrebbe dovuto provvedere alla aestimatio del relativo danno, facendo applicazione di criteri equitativi di liquidazione. In conclusione, come invero emerge dal decisum in rassegna, il carattere abusivo dell'occupazione, qualora determini la privazione del godimento diretto in essere o di quello che è certo vi sarebbe stato ed è stato precluso, risolvendosi nella perdita di un'utilitas, è economicamente stimabile e può essere commisurata a quanto si sarebbe potuto lucrare attraverso la concessione a titolo oneroso del godimento del bene. Osservazioni
Nel caso in cui il comodante richieda la restituzione dell'immobile ed il risarcimento del danno da occupazione sine titulo, deve provare l'esistenza di uno specifico pregiudizio economico, poiché il danno non si considera automaticamente ricompreso nel mancato utilizzo del bene ai fini locativi in assenza di una prova della volontà del proprietario-comodante di porre il bene sul mercato. L'affermazione secondo cui il danno causato dall'indisponibilità di un immobile sia in re ipsa non può ritenersi corretta. Nel nostro ordinamento, infatti, non esistono danni in rebus ipsis, e nessun risarcimento è mai esigibile se dalla lesione del diritto o dell'interesse non sia derivato un concreto pregiudizio, ex multis, v. Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2014, n. 24474. Il danno risarcibile infatti non può dirsi esistente solo perché sia stato vulnerato un diritto. La lesione del diritto è il presupposto del danno, non il danno. Quest'ultimo vi sarà soltanto se dalla lesione del diritto sia altresì derivata una perdita, patrimoniale o non patrimoniale che sia. L'inconcepibilità di danni in re ipsa fa sì che non sia possibile pretendere il risarcimento, solo perché si sia provata la lesione del diritto. Tuttavia ciò non toglie che l'esistenza del danno possa essere dimostrata con ogni mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all'art. 2727 c.c. Non vi è dunque alcuna implicazione necessaria tra il negare l'ammissibilità del danno in re ipsa, e il negare il ricorso alla prova presuntiva. Una volta, infatti, stabilito che danno in senso giuridico è non la lesione d'un diritto in sé, ma le conseguenze che ne sono derivate, nulla vieta al giudice di risalire al fatto ignorato dall'esistenza di un danno muovendo dal fatto noto del tipo, quantità e qualità della lesione patita dalla vittima. Anche ai fini della prova del danno, pertanto, assume rilevanza la distinzione tra danno come elemento della fattispecie illecita e danno quale conseguenza del fatto lesivo. Pertanto, è proprio in relazione all'atteggiarsi del godimento al momento dell'occupazione altrui che, per il suo protrarsi, potrà emergere o meno un danno conseguenza in relazione all'esistenza o meno di una privazione della facoltà di godimento com'era in atto: a seconda dei casi si potrà dare l'esistenza di un danno emergente, come tale suscettibile di valutazione economica secondo le circostanze del caso. Ed il titolare dovrà allegarlo. Se invece non vi erano né un godimento diretto, né uno indiretto fonte di utilità, come nel caso in cui venga occupato un terreno sul quale il titolare del diritto si limitava a goderne a distanza, senza svolgervi alcuna attività e lasciandolo inutilizzato (ad esempio incolto), allora non si configurerà un danno conseguenza per effetto della privazione. G. ALPA, La responsabilità civile. Parte generale, Torino, 2010, 641; C.M. BIANCA, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 2003, 78; F. CARINGELLA, Contratti. Normativa e giurisprudenza ragionata, Giuffrè, Milano, 2008, 7; P. CENDON, Trattato dei nuovi danni, Volume IV, Padova, 2011, 252; A. CIRLA, M.G. MONEGAT, Condominio e locazioni, Normativa e giurisprudenza ragionata, Giuffrè, Milano, 2010, 448; M. DI MARZIO, M. DI MAURO, Il processo locatizio. Dalla formazione all'esecuzione del titolo, Milano, 2011, 1138 ss.; V. DI GIACOMO, Occupazione sine titulo e tutela risarcitoria, in www.consiglionazionaleforense.it; G. VISINTINI, Trattato della responsabilità contrattuale, Volume III, Milano, 2009, 54. |