La negoziazione assistita supera il vaglio di legittimità costituzionale
13 Luglio 2016
Massima
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, questione sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost.. La negoziazione assistita non è infatti un inutile doppione della messa in mora di cui agli artt. 145, 148 e 149, d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, atteso che la negoziazione presuppone che l'offerta risarcitoria non sia stata ritenuta satisfattiva dal danneggiato, ovvero che non sia stata neppure formulata dall'assicuratore: pertanto, la tutela garantita dall'art. 24 Cost., che non comporta l'assoluta immediatezza dell'esperibilità del diritto di azione, non è compromessa dal meccanismo della negoziazione assistita, stante la sua complementarità rispetto al previo procedimento di messa in mora dell'assicuratore, agli effetti dell'auspicata realizzazione anticipata, in via stragiudiziale, dell'interesse risarcitorio del danneggiato. Né è sostenibile che la compresenza dei due istituti sia idonea a protrarre sine die l'esercizio del diritto di azione, attesa la brevità del termine entro il quale deve essere comunque conclusa la negoziazione. Quanto ai costi di tale procedura, deve parimenti escludersi che questi, certamente inferiori a quelli del giudizio che l'interessato ha la possibilità di risparmiare, siano tali da limitare o rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale. Discende che il meccanismo della negoziazione assistita obbligatoria riflette un ragionevole bilanciamento tra l'esigenza di tutela del danneggiato e quella, di interesse generale che il differimento dell'accesso alla giurisdizione intende perseguire, di contenimento del contenzioso finalizzato a garantire la ragionevole durata delle liti, oggettivamente pregiudicata dal volume eccessivo delle stesse. Il caso
Promuovendo un giudizio civile davanti al Giudice di pace di Vietri di Potenza, l'attore ha domandato il risarcimento dei danni causati da circolazione stradale, convenendo in giudizio la propria impresa assicuratrice ai sensi dell'art. 149 D.Lgs. n. 209/2005, cd. Codice delle assicurazioni private. Poiché l'azione era stata introdotta senza che l'attore avesse esperito il procedimento di negoziazione assistita prescritto quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale dall'art. 3, comma 1, D.L. n. 132/2014 convertito con modificazioni dalla L. n. 162/2014, l'adito Giudice ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 3, comma 1, nella parte in cui sottopone la procedibilità della domanda giudiziale di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, all'esperimento del procedimento di negoziazione assistita. La questione
Oggetto del giudizio portato davanti alla Corte Costituzionale è lo scrutinio di legittimità in ordine alla condizione di procedibilità integrata dalla negoziazione assistita, in relazione alla quale vengono sostanzialmente svolte quattro censure, tutte formulate sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza dell'art. 3 Cost. e del diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti dell'art. 24 Cost.. In particolare, si sostiene che la negoziazione ha lo scopo di «rinviare sine die l'inizio del contenzioso»; che rappresenta un costo significativo e per la parte attrice; che riguarda irragionevolmente solo le pretese risarcitorie da sinistri stradali non eccedenti l'importo di € 50.000,00, e non anche quelle di valore superiore; che infine, sempre per quanto concerne la materia dei sinistri stradali, si pone come «inutile doppione»della condizione di proponibilità già prevista dagli artt. 145, 148 e 149 Cod. Ass.. Le soluzioni giuridiche
La Corte Costituzionale ha ritenuto infondate tutte le questioni di legittimità costituzionale proposte. In rito, la Corte ha innanzitutto disatteso l'eccezione, oggettivamente molto debole, della difesa statale, secondo la quale la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza, atteso che il mancato esperimento della negoziazione non porta direttamente all'improcedibilità, ma può essere sanato dalla celebrazione della stessa in un termine successivamente concesso dal giudice. È infatti di tutta evidenza che è proprio la necessità di concedere tale termine che implica l'attualità e la rilevanza della questione, poiché il remittente si propone di rimuovere in radice la necessità di esperire la condizione di procedibilità, e non già di sindacare le modalità del suo recupero successivo. Nel merito, la Corte ha però disatteso tutti i quattro dubbi sollevati dal giudice a quo. Infatti, da una prima angolazione e con generale riferimento all'apposizione di una condizione di procedibilità, si è argomentato che essa non lede il diritto di agire in giudizio, poiché la tutela garantita dall'art. 24 Cost. non comporta l'assoluta immediatezza dell'esperibilità del diritto di azione, così come già in precedenza più volte argomentato dalla Corte. Pertanto il termine per negoziare di 3 mesi, prorogabile una sola volta per 30 giorni, riflette un ragionevole bilanciamento tra l'esigenza di tutela del danneggiato e quella di interesse generale che il differimento dell'accesso alla giurisdizione intende perseguire, cioè di contenimento del contenzioso «in funzione degli obiettivi del giusto processo, per il profilo della ragionevole durata delle liti, oggettivamente pregiudicata dal volume eccessivo delle stesse». Da un secondo punto di vista, si è evidenziato che nessun profilo di irragionevolezza si pone con riferimento ai costi, essendo gli stessi non tali da limitare o rendere eccessivamente difficoltosa la tutela giurisdizionale, certamente inferiori a quelli di un contenzioso giurisdizionale e comunque ripetibili all'esito dell'eventuale giudizio. Da una terza angolazione, si è osservato che, diversamente da quanto dedotto dal giudice remittente, non vi è alcuna disparità di trattamento tra i danneggiati, posto che la negoziazione è prescritta per tutte le controversie derivanti da circolazione di veicoli, oltre che per le diverse controversie, non soggette a mediazione, relative ad importi inferiori a 50 mila euro. Da una quarta ed ultima prospettiva, e sempre con specifico riferimento alla materia della circolazione stradale, si è spiegato che la negoziazione assistita non è una inutile duplicazione della condizione di proponibilità data dalla messa in mora dell'assicurazione: quest'ultima integra una procedura stragiudiziale gestita direttamente dalle parti e finalizzata ad una tutela anticipata e satisfattiva del danneggiato; mentre la negoziazione presuppone il fallimento della precedente procedura, e, con l'intervento degli avvocati, mira a scongiurare l'accesso al giudice. Osservazioni
La decisione in ordine alla non fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale appare persuasiva. Infatti, la normativa sulla negoziazione assistita è rispettosa dei tradizionali parametri di scrutinio della giurisdizione condizionata, poiché non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale (art. 3 comma 4); non si applica ai procedimenti di ingiunzione inclusa l'opposizione, agli ATP a fini conciliativi ex art. 696-bis c.p.c., ai procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata, ai procedimenti in camera di consiglio, all'azione civile esercitata in sede penale (art. 3 comma 3); ha durata non superiore a 3 mesi prorogabili di uno (art. 2 lettera a); non prevede indennità ad opera della parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, quando è condizione di procedibilità (articolo 3 comma 6), e comunque prevede benefici fiscali ex art. 21-bis in caso di esito positivo. Inoltre, anche in passato la Corte aveva rigettato le analoghe questioni di legittimità costituzionale relativamente all'introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia agraria (C. Cost. n. 73/1988), di licenziamenti (C. Cost. n. 82/1992), lavoristica (C. Cost. nn. 436/2006, 276/2000, 144/2000), delle TLC (C. Cost. n. 403/2007), sul presupposto che si trattasse di opzione oggettivamente giustificata da interessi generali o finalità di giustizia, di strumento congruo rispetto allo scopo, di scelta non impediente in via definitiva l'accesso alla giustizia. La stessa C. Cost. n. 98/2014, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 17-bis,comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, relativo ad una condizione di proponibilità del processo tributario, costituisce anch'essa un precedente sintonico con la decisione qui in commento, poiché la norma dichiarata incostituzionale poneva una condizione di proponibilità e non di procedibilità, e poiché l'inammissibilità della domanda era rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, così portando la Corte a ritenere non congruo il bilanciamento tra le esigenze di assicurare l'accesso alla giurisdizione e le esigenze deflattive, ribadendo peraltro in parte motiva l'astratta legittimità della giurisdizione condizionata. Ciò è coerente anche con la giurisprudenza comunitaria, poiché la CGUE, sent. 18 marzo 2010, nelle cause riunite C-317-20/2008, ha statuito che non contrasta con la normativa comunitaria il D.Lgs. n. 259/2003, che prevede il tentativo obbligatorio di conciliazione pregiudiziale nelle controversie relative a comunicazioni elettroniche; e le condizioni generali poste dalla pronuncia (ritardo non sostanziale per la proposizione dell'azione, sospensione della prescrizione, costi non ingenti, accesso anche con modalità diversa da quella elettronica, possibilità per il Giudice di emettere provvedimenti provvisori in casi di urgenza) sono tutte rispettate anche dalla normativa sulla negoziazione. Infine, non può essere negata l'esistenza di un sostanziale favor giurisprudenziale per le ADR ed i sistemi stragiudiziali di risoluzione delle controversie, sul presupposto che il processo è merce rara e limitata, non suscettibile quindi di essere dispersa, ma che invece va resa operativa quale extrema ratio, proprio perché un'efficiente allocazione dei mezzi giudiziari offre la massima espansione ai diritti di difesa di tutti i membri della collettività. Significativamente, la C. Cost. n. 272/2012 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della normativa sulla mediazione solo per eccesso di delega, e non già per violazione dell'articolo 24. Un'ultima annotazione: colpiscono positivamente lo stile molto asciutto e la chiarezza argomentativa della sentenza in esame, affidata alla raffinata penna del Giudice Morelli. L'efficace sinteticità della motivazione è forse essa stessa indice della già citata ambizione di garantire la ragionevole durata del processo; e d'altronde, come diceva Galileo Galilei, «parlare oscuramente lo sa fare ognuno, ma parlare chiaro pochissimi». |