I limiti del sindacato giurisdizionale sulle decisioni dell'organo amministrativo: dalla Cassazione un'ulteriore conferma della “business judgment rule”

Claudio Tatozzi
Riccardo Perini
02 Maggio 2014

All'amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, e quindi, l'eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.
Massima

Cass. civ., sez. I, 12 febbraio 2013, n. 3409

All'amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, e quindi, l'eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.

Sintesi del fatto

La fattispecie concreta portata al vaglio della Suprema Corte - riferita a fatti avvenuti in data antecedente alla riforma del diritto societario del 2003 – riguarda un'azione di responsabilità promossa da una s.p.a. nei confronti di propri amministratori per avere costoro proceduto all'acquisto un costoso macchinario industriale (poi dismesso dal nuovo organo amministrativo) attraverso un investimento rivelatosi finanziariamente insostenibile per l'impresa, la quale, per effetto di tale operazione, ha subito ingenti danni. Dalle motivazioni della sentenza si evince che la condotta degli amministratori è stata censurata dalla società attrice per non avere i primi adottato "le dovute cautele ed i preventivi necessari accertamenti" prodromici all'acquisizione del macchinario. Tali censure, all'esito dell'istruttoria del giudizio di primo grado, sono state ritenute infondate, avendo il giudice del merito accertato che gli amministratori avevano agito sulla base di incontestate e indifferibili "esigenze di ammodernamento del macchinario aziendale", e previa acquisizione di "apposite relazioni tecniche e di mercato, talune delle quali affidate ad esperti esterni alla società".

La questione

Il ricorso della società attrice fornisce alla Suprema Corte l'occasione per tornare sul delicato tema inerente i confini entro i quali, a fronte di una scelta gestionale foriera di una perdita o comunque di detrimento per l'attività d'impresa, è consentito alla società - e dunque, di riflesso, all'autorità giudiziaria - sindacare la liceità della condotta dell'organo amministrativo, censurando il merito dell'operazione imprenditoriale deliberata. La questione investe l'esegesi dell'art. 2392 c.c. e in particolare il "riempimento" - ad opera del diritto pretorio, stimolato dal dibattito dottrinale - di quel contenitore normativo costituito dal dovere di diligenza che l'ordinamento impone ai soggetti preposti alla gestione del capitale di rischio altrui. La delimitazione del sindacato giurisdizionale sul merito delle scelte gestionali degli amministratori discende dalla configurazione che si intende dare al dovere di diligenza di cui all'art. 2392 c.c., contemperando due esigenze parzialmente divergenti: quella di non scoraggiare l'assunzione di rischi imprenditoriali e il perseguimento della massimizzazione del profitto sociale, con quella di salvaguardare l'interesse collettivo dei titolari del capitale soggetto allo stesso rischio imprenditoriale (nonché degli altri stakeholders), ai quali, evidentemente, non può non essere riconosciuta una qualche forma di affidamento sul fatto che le risorse economiche da essi conferite in società non vengano impiegate in modo sconsiderato, improvvisato o irrazionale (cfr. sul punto C. Angelici, Diligentia quam in suis e business judgement rule, in Riv. dir. comm., 2006, 675).

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia annotata concilia le due esigenze divergenti cui si è fatto cenno anzitutto ribadendo un principio tralatizio e consolidato nella giurisprudenza di legittimità, approfondito soprattutto dal foro ambrosiano (cfr. Trib. Milano, 24 agosto 2011, in Società, 2012, 5, 493, con nota di S. Cassani, Responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c. e onere della prova, ove ampli riferimenti giurisprudenziali e dottrinali (nt. 23); Trib. Milano, 3 giugno 2008; Trib. Milano, 10 giugno 2004, in Dir. e prat. soc., 2005, 6, 80; Trib. Milano, 29 maggio 2004, in Giur. it, 2004, 2333; Trib. Milano, 14 aprile 2004, in Giur. it., 2004, 1897; Trib. Milano, 20 febbraio 2003, in Giur. milanese, 2003, 221), e sintetizzato dalla denominazione, mutuata dal diritto nordamericano, di business judgment rule. Di tale regola di giudizio si tenterà di fornire un breve quadro schematico nei paragrafi che seguono.

L'ordinamento societario contempla una serie di doveri a contenuto specifico in capo all'amministratore, derivanti dallo statuto ovvero dalla legge (ad esempio quello, assai spesso invocato in giudizio, di cui all'art. 2485 c.c.), nonché altri doveri a connotazione aperta, tra cui quello di gestire la società con la diligenza che il vigente art. 2392 c.c. parametra alla natura dell'incarico e alle specifiche competenze dell'amministratore (dovere che si sostanzia "nell'adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali (...) affidati" all'amministratore. In questi termini Trib. Milano, 24 agosto 2011, cit.). La business judgment rule viene in rilievo soprattutto in presenza di operazioni gestionali produttive di danno all'impresa rispetto alle quali, non ponendosi un problema di violazione di doveri a contenuto specifico, si deve verificare se sussista un inadempimento da parte dell'amministratore al dovere di diligenza nella gestione.

Al fine di compiere tale valutazione, occorre muovere dall'affermazione condivisa secondo cui la diligenza richiesta agli amministratori non impone agli stessi di garantire agli azionisti l'esenzione da perdite, né di non commettere errori, né di effettuare la miglior scelta imprenditoriale possibile in una data situazione di mercato. La business judgment rule è il corollario di quanto precede: all'autorità giudiziaria non è consentito ritornare ex post sulle valutazioni imprenditoriali dell'amministratore, stabilendo che cosa sarebbe stato più opportuno fare od omettere. L'opportunità economica ed imprenditoriale delle scelte degli amministratori, nonché il grado di rischiosità delle stesse, sono, secondo la consolidata opinione della maggioranza degli interpreti, scevre di conseguenze responsabilizzanti per i componenti dell'organo gestorio (Cfr., per tutti, F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 183).

Osservazioni

La massima annotata, oltre a ribadire che cosa il giudice non può sindacare quando valuta il rispetto del dovere di diligenza da parte dell'amministratore, delimita i confini di quei profili della condotta gestionale economicamente dannosa che invece possono essere censurati con l'azione di responsabilità (andando così a soddisfare la seconda delle esigenze divergenti che vanno contemperate nell'esegesi dell'art. 2392 c.c.). Sul punto gli interpreti affermano che il giudizio di responsabilità deve investire non la decisione in sé, ma il processo decisionale che la ha preceduta, il cui svolgimento deve essere valutato dal giudice in una prospettiva ex ante, depurando il giudizio da tutti quegli elementi che non potevano rientrare nella cognizione dell'amministratore al momento di avviare l'operazione gestionale (Il principio è espresso anche nelle motivazioni della sentenza annotata: "le valutazioni circa il comportamento di amministratori di società, quali quelle in esame, richiedono una particolare attenzione per evitare il rischio di deformazione sempre insito in giudizi espressi ex post, occorrendo invece le si formuli ponendosi correttamente in una prospettiva ex ante".). Si afferma al riguardo che il giudice deve verificare - sulla base delle allegazioni della società attrice - se l'amministratore abbia compiuto, prima di procedere, una istruttoria adeguata alla tipologia dell'operazione (ad esempio, attraverso l'assunzione di pareri da parte di professionisti, lo svolgimento di due diligence, etc. Si è osservato in dottrina che non "sembra soddisfacente tradurre l'esecuzione diligente del dovere di amministrazione nel semplice agire informato, posto che l'obbligo di agire informato è già autonomamente presente all'interno dell'art. 2381, comma 6, c.c."; cfr. M. Bodellini, Ancora sui criteri di accertamento e di valutazione della condotta degli amministratori, in Giur. comm., 2011, 5, 1187); se l'iter che ha preceduto la deliberazione gestionale risponda a schemi procedimentali che nel caso concreto un amministratore con quell'incarico e con quelle specifiche competenze avrebbe dovuto adottare. La giurisprudenza aggiunge che la configurazione dell'istruttoria prodromica all'operazione deve avvenire facendo sì che la stessa contempli anche "un criterio di prevedibilità e prevenibilità delle conseguenze insoddisfacenti e pregiudizievoli correlato all'ordinaria diligenza professionale a cui ciascun buon amministratore è obbligato". In dottrina si pone inoltre l'accento sulla necessità che la scelta gestionale dell'amministratore, oltre a essere adeguatamente istruita e "procedimentalizzata", risponda a canoni di razionalità, in caso contrario dovendosi ritenere violato il dovere di diligenza e disapplicare la business judgment rule.

Conclusioni

La sentenza annotata ribadisce un orientamento pacifico in ordine ai confini della responsabilità di cui all'art. 2392 c.c. Gli amministratori di s.p.a. (in assenza di violazioni ai doveri specifici imposti dalla legge o dallo statuto) rispondono dei danni cagionati da scelte gestionali rivelatesi economicamente dannose o svantaggiose per la società solo qualora venga accertato che dette scelte costituiscono la conseguenza dell'omissione di un'istruttoria adeguata, della mancata adozione di una corretta procedimentalizzazione dell'iter decisionale, oppure si risolvano in operazioni palesemente irrazionali (intrinsecamente ovvero sotto il profilo della coerenza tra i risultati dell'istruttoria e la deliberazione adottata). Nel quadro testé brevemente delineato, risulta di immediata percezione la grande discrezionalità - che sembra, peraltro, ineludibile - rimessa dall'ordinamento al giudicante nello stabilire quando un'istruttoria possa dirsi "adeguata", e quali siano "le cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità".

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