La prescrizione del diritto al risarcimento decorre dal momento della diligente percezione della malattia quale ingiusta conseguenza di un comportamento colposo

19 Maggio 2015

L'individuazione del momento iniziale del decorso prescrizionale in ipotesi di fatto dannoso lungolatente, non coincide con la mera conoscibilità soggettiva da parte del danneggiato ma deve essere saldamente ancorato a due parametri obiettivi e cioè all'ordinaria diligenza con la quale il danneggiato ha avuto o avrebbe potuto avere la conoscibilità della patologia, ed al livello delle conoscenze scientifiche dell'epoca che lo avrebbero posto in condizioni di attribuirne la causa e la paternità.
Massima

L'individuazione del momento iniziale del decorso prescrizionale in ipotesi di fatto dannoso lungolatente, non coincide con la mera conoscibilità soggettiva da parte del danneggiato ma deve essere saldamente ancorato a due parametri obiettivi e cioè all'ordinaria diligenza con la quale il danneggiato ha avuto o avrebbe potuto avere la conoscibilità della patologia, ed al livello delle conoscenze scientifiche dell'epoca che lo avrebbero posto in condizioni di attribuirne la causa e la paternità.

Il caso

Tizio ha convenuto in giudizio avanti il Tribunale Civile di Milano il Ministero della Salute e l'Azienda Ospedaliera Universitaria XY per ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti in conseguenza del contagio dell'epatite C dovuto ad emotrasfusioni praticategli nel 1978 durante un ricovero nel predetto ospedale.

Si costituiva in giudizio l'Azienda Ospedaliera che eccepiva, tra le altre eccezioni, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno chiamando però in causa la propria assicurazione per essere da questa manlevata, che, costituitasi sollevava le stesse eccezioni.

Si costituiva anche il Ministero della Salute anch'esso sollevando le eccezioni di prescrizione.

Con sentenza n. 11789/2012 il Tribunale di Milano, respinte tutte le eccezioni pregiudiziali, condannava sia il Ministero della Salute che l'Azienda Ospedaliera convenuta a risarcire i danni subiti dall'attore, dichiarando tenuta alla manleva verso l'Azienda Sanitaria l'assicurazione garante della RC.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello l'assicurazione ribadendo la respinta eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno.

La sentenza veniva impugnata anche dall'Azienda Ospedaliera che riproponeva tutte le eccezioni già sollevate in primo grado.

Anche il Ministero della Salute, costituitosi, proponeva appello incidentale sollevando nuovamente eccezione di prescrizione.

La Corte di Appello di Milano, con la sentenza che si commenta, riformava la sentenza impugnata ritenendo il diritto del danneggiato estinto per intervenuta prescrizione.

Secondo la Corte meneghina l'inizio del decorso prescrizionale non poteva coincidere né con l'accertamento dell'epatite cronica da virus C, avvenuta nel 2000, né tantomeno con la domanda di indennizzo ex L. n. 210/1992 presentata nel 2001, ma dall'accertamento positivo degli anticorpi HCV-RNA effettuato nel 1995 quando già il ceppo virale prima denominato non A e non B, era stato selezionato come genotipo epatico C, se non dal 1989, quando comunque veniva fatta diagnosi di epatite cronica ancorché non ancora individuata, sicché, essendo stato richiesto il risarcimento dei danni solo nel 2005 a mezzo lettera raccomandata, il diritto si era prescritto per il decorso sia del termine quinquennale nei confronti del Ministero della Salute, che risponde a titolo di responsabilità extracontrattuale, che di quello decennale verso la contrattualmente obbligata Azienda Sanitaria.

La questione

La questione in esame riguarda l'individuazione del momento iniziale del decorso prescrizionale del diritto al risarcimento del danno in caso di patologia lungolatente, come nel caso appunto di un virus da epatite C la cui individuazione risale ad epoca di molto successiva al contagio dovuto ad emotrasfusioni infette: da quale momento decorre la prescrizione? Dal contagio? Da quando si ha coscienza di una patologia virale ancorché non individuata (virus non A e non B)? Da quando si è fatta richiesta di indennizzo ex L. n. 210/1992 o piuttosto dal momento in cui si sarebbe potuto sapere, con l'ordinaria diligenza in relazione alle conoscenze scientifiche dell'epoca, di essere affetti da una patologia virale attribuibile a quelle uniche emotrasfusioni infette?

Il problema trova applicazione in ogni caso in cui si sia manifestata una patologia in epoca ben successiva all'esposizione ad un determinato fattore inquinante, come per esempio nel caso di esposizione all'amianto, dove i tempi di latenza del mesotelioma o del carcinoma polmonare arrivano persino a 45 anni, o in ogni ipotesi di patologia conseguente ad inquinamento da falde acquifere o da coltivazioni inquinate o comunque da contaminazione ambientale, come per esempio il caso Seveso.

Le soluzioni giuridiche

A mente dell'art. 2935 c.c., «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere», per cui la previsione del successivo art. 2947 c.c., secondo la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito comincia a decorrere dal giorno in cui il fatto si è verificato, opera soltanto laddove il collegamento eziologico tra il fatto e l'evento sia evidente, noto e conoscibile fin dal suo primo manifestarsi, ovverosia quando il danno coincide con il fatto che lo ha causato, come nella maggior parte delle ipotesi di danno conseguente ad una condotta illecita di terzi.

Tuttavia vi sono delle ipotesi nelle quali non può trovare applicazione la disposizione enunciata dall'art. 2947 c.c. bensì quella del precedente art. 2935c.c., sicché laddove la manifestazione esteriore dell'evento dannoso avvenga in epoca successiva al fatto che l'ha causato, la prescrizione non potrà decorrere dal momento del fatto e neanche dal momento in cui il danno si è manifestato, bensì dal momento in cui il soggetto danneggiato ha acquistato, o avrebbe potuto acquistare con l'ordinaria diligenza, la sufficiente consapevolezza della propria malattia e del suo rapporto causale con il fatto che l'ha causata, come avviene appunto nei danni lungolatenti.

È infatti evidente che non può essere tutelato un diritto laddove non si abbia coscienza che lo stesso è stato leso.

È per questo motivo che la giurisprudenza della Cassazione, a Sezioni Unite, risolvendo un conflitto apertosi tra le Sezioni Semplici, ha affermato che «il termine prescrizionale del diritto al risarcimento del danno di cui assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo, decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947 comma 1 c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche» (Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576; confr. Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 580; Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 581; Cass. civ., S.U., 11 gennaio 2008, n. 583).

Nel caso di specie, l'attore avrebbe potuto avere piena coscienza che l'infezione epatica virale non A e non B, poi individuata come epatite C, era conseguenza delle uniche trasfusioni di sangue alle quali fu sottoposto fin dal 1978 sicché avrebbe potuto, fin dalla diagnosi di tale patologia epatica, risalente al 1989, azionare il proprio diritto al risarcimento del danno e comunque avrebbe potuto farlo nel 1995 quando, già individuata l'epatite di ceppo virale C, gli fu diagnosticato l'esito positivo degli anticorpi dell'HCV.

Dunque il fatto che nel 2001 avesse presentato domanda di indennizzo ex L. n. 210/1992, non costituisce il momento iniziale del decorso della prescrizione ben potendo essere già conosciuta l'origine della patologia quantomeno dal 1995 se non dalla precedente diagnosi di epatite cronica quand'anche non A e non B.

Bene ha fatto la Corte di Appello dunque a dichiarare l'intervenuta prescrizione avendo l'attore chiesto il risarcimento dei danni dopo lo spirare del termine prescrizione sia quinquennale che decennale.

Osservazioni

Il risarcimento del danno conseguente ad una patologia manifestatasi in epoca successiva al fatto colposo o doloso di terzi dalla quale deriva, va effettuato nel rispetto dei termini prescrizionali di 5 anni, se si tratta di responsabilità aquilana, o di 10 anni se si tratta di responsabilità contrattuale.

Quest'ultima ipotesi ricorre sovente laddove la malattia lungolatente sia stata contratta per cause di lavoro, come per esempio l'esposizione all'amianto o ad altre materie inquinanti e perniciose per la salute, come per esempio vernici tossiche, o laddove sia dipesa da un'infezione nosocomiale che si manifesta a distanza di tempo dal contagio.

In tutte le altre ipotesi di malattie lungolatenti conseguenti a fatti illeciti extracontrattuali, la prescrizione è quella quinquennale.

È infatti pacifico il principio secondo il quale, instaurandosi tra ente sanitario ospedaliero e paziente un contratto, la responsabilità che ne discende è regolata dall'art. 1218 c.c. e dunque il termine prescrizionale è decennale (Cass. n. 589/1999; Cass., S.U., n. 577/2008) mentre la responsabilità del Ministero della Salute, che risponde della gestione e quindi controllo del sangue e degli emoderivati da trasfondere, è di natura extracontrattuale non esistendo alcun rapporto diretto con il paziente trasfuso (Cass., S. U., n. 581/2008).

Di fronte alla manifestazione esteriore di una patologia di dubbia derivazione e origine, è necessario rivolgersi diligentemente ad un medico per avere una diagnosi, perché, qualora esistano conoscenze scientifiche sufficienti ad individuare il tipo di malattia e la sua derivazione causale, ancorché il fatto generatore sia risalente nel tempo, è da quel momento che, avuta cognizione della lesione del proprio diritto, inizia a decorre il termine prescrizionale.