La liquidazione da parte del giudice delle spese future non può essere arbitraria, né lontana dalle emergenze istruttorie

Filippo Martini
22 Giugno 2016

La liquidazione del danno patrimoniale consistente nelle spese sostenute per l'assistenza domiciliare a vantaggio di persona invalida e presuppone l'accertamento che la relativa spesa sia stata effettivamente sostenuta; nulla, dunque, può essere liquidato per tale titolo a chi non dimostri di avere sostenuto alcuna spesa al riguardo.
Massima

Nella liquidazione del danno patrimoniale futuro, consistente nelle spese che la vittima di lesioni personali deve sostenere per l'assistenza domiciliare, il giudice deve detrarre dal credito risarcitorio sia i benefici spettanti alla vittima a titolo di indennità di accompagnamento (art. 5, L. 12 giugno 1984, n. 222), sia i benefici ad essa spettanti in virtù della legislazione regionale in tema di assistenza domiciliare, legislazione che in virtù del principio jura novit curia il giudice deve applicare d'ufficio, se i presupposti di tale applicabilità risultino comunque dagli atti.

Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, non può essere liquidato semplicemente moltiplicando la spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita, oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e quindi abbattendo il risultato in base ad coefficiente di anticipazione; od infine attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie.

Il caso

A seguito di un sinistro stradale il conducente di un motociclo, che riportò gravissime lesioni in conseguenza della collisione con un furgone, adiva l'autorità giudiziaria per ottenere la condanna di tutti i convenuti, responsabili in solido, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.

Con sentenza 19 dicembre 2012, n. 14313 il Tribunale di Milano accolse parzialmente la domanda, attribuendo alla vittima il 50 % di responsabilità.

La sentenza venne appellata in via principale dagli originari attori (la vittima ed i suoi congiunti), ed in via incidentale dalla impresa di assicurazione.

La Corte d'appello di Milano, con sentenza pubblicata il 28 novembre 2013 n. 4152:

  • tenne ferme le statuizioni sull'an debeatur;
  • accordò alla vittima una più cospicua liquidazione del danno per spese mediche e di assistenza futura, per acquisto di macchinari terapeutici, per l'acquisto d'una automobile adatta alle sue condizioni, e per la ristrutturazione dell'abitazione.

La sentenza d'appello venne quindi impugnata per cassazione sotto vari profili.

La questione

Principalmente, le ragioni di contrasto e di censura sollevate avanti al supremo Collegio attengono alla misura delle somme che devono essere capitalizzate in ottica di anticipazione delle effettive esigenze che la vittima avrà in futuro, per assistenza domiciliare, cure ed ogni altra necessità assistenziale, sino alla presumibile fine della vita residua.

Di fronte alla esigenza di prevedere una somma che, con margine di approssimazione più realistico possibile, il giudice andrà a liquidare, avvalendosi della propria funzione discrezionale ed equitativa di cui all'art. 1223 e 1226 c.c., richiamato nel contesto del danno da illecito aquiliano dal disposto dell'art. 2056 c.c., si pongono essenzialmente una serie di problemi pratici ed empirici.

Ci si chiede, una volta determinata, con istruttoria non sempre agevole e spesso fumosa, l'entità prevedibile di costo annuale di assistenza, come conteggiare con capitalizzazione anticipata tale somma a favore della vittima, come scontare l'anticipata percezione del quantum e, non da meno, come determinare l'incidenza compensativa delle erogazioni che la socialità pubblica riconosce a favore della stessa vittima (vuoi per prestazioni socio-sanitarie, vuoi per quelle assistenziali degli assicuratori sociali obbligatori).

A tali aspetti, oggetto di forte controversia all'interno della magistratura di merito chiamata a regolare sul piano pratico le singole istanze della parte lesa, fornisce un contributo di chiarezza pratico ed empirico, la decisione in commento.

Le soluzioni giuridiche

Una prima questione affrontata con soluzione pragmatica e condivisibile riguarda la metodologia dell'indagine che deve essere condotta dall'interprete (il singolo giudice chiamato a valutare l'entità del complessivo danno) che deve avere ad oggetto tale imprescindibile assioma:

«La liquidazione del danno patrimoniale permanente futuro può avvenire, ai sensi dell'art. 2056 c.c., sulla base dell'id quod plerumque accidit, di fatti notori e di massime di esperienza: tra le quali, nel nostro caso, quella secondo cui chi non è in condizioni di provvedere alle proprie esigenze personali normalmente ricorre all'ausilio di un infermiere o di un assistente. La liquidazione del danno patrimoniale permanente passato può avvenire anch'essa in via equitativa, ex artt. 1226 e 2056 c.c., ove ne ricorrano i presupposti (ovvero l'impossibilità della stima del danno nel suo esatto ammontare)».

Il danno patrimoniale per assistenza alla vittima, dunque, vede come divisore empirico la data di liquidazione (con la decisione del giudice in sentenza) tra costi che si assume già sostenuti (dalla insorgenza della esigenza alla liquidazione) e costi che si presume verranno sostenuti nella vita residua.

Mentre per questi ultimi la prova presuntiva acquisisce rilievo primario sulla base delle emergenze oggettive, per i danni che si caratterizzano in un esborso che si assume già avvenuto, «il giudice non può prescindere dall'accertarne la concreta sussistenza, senza potere ricorrere a "ragionevoli previsioni", consentite per quanto detto solo con riferimento al danno futuro (Cass., sez. III, sent.,13 novembre 2014, n. 24205)».

Pertanto, quando si tratti liquidare un danno passato permanente che si assuma essere consistito nella necessità di una spesa periodica per assistenza, delle due l'una: o il danneggiato dimostra di averla sostenuta (anche attraverso presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.), oppure nessuna liquidazione può essere consentita. Il danno per spese di assistenza, infatti, quando si assuma essere già maturato al momento della liquidazione, è rappresentato dalla spesa sostenuta, non dalla necessità di sostenerla.

Un secondo passaggio essenziale nella determinazione del quantum che la vittima abbia diritto a ricevere quale contributo alle esigenze domiciliari e di assistenza, specialistica o meno, è rappresentato dalla necessità che il giudice tenga conto «dell'incidenza delle provvidenze accordate alla vittima dal sistema sanitario nazionale e regionale» (come «Indennità di accompagnamento», assistenza domiciliare socio-sanitaria, e così via).

Difatti, la Corte rammenta che «la percezione di tale emolumento incide dunque sulla misura del danno risarcibile, per il semplice fatto che lo elimina in parte. Nulla rileva che l'indennizzo scaturisca da una norma previdenziale: secondo il più recente orientamento di questa Corte, infatti, cui per brevità si può in questa sede rinviare, qualsiasi emolumento previdenziale o indennitario può incidere sulla liquidazione del danno aquiliano, se la sua erogazione è intesa a sollevare la vittima dallo stato di bisogno derivante dall'illecito (Cass., sez. III, sent., 13 giugno 2014, n. 13537)».

A corollario importante di ciò si aggiunga che è il giudice che, sulla base del principio jura novit curia, è tenuto a conoscere ed applicare le norme, regionali e nazionali, che portano alla attribuzione delle debende assistenziali a carico della collettività, incorrendo altrimenti in una violazione dell'art. 1223 c.c. e ad una sovrastima del danno patrimoniale per l'assistenza domiciliare.

Un'altra importante questione che viene affrontata dalla decisione in commento è quella che riguarda il criterio di capitalizzazione della somma nella prospettiva di costituire una percezione anticipata di un importo che andrà a coprire spese in progredire temporale fino alla esistenza in vita della vittima.

La immediata percezione di una somma anticipata anche di molti anni rispetto alla materiale tempistica di spesa, infatti, rischia di determinare, se mal conteggiata, o un ingiustificato arricchimento per il beneficiario (e per i suoi successori in linea ereditaria), ovvero, di contro, una misura di ristoro inadeguata nel tempo a sostenere tutte le spese che si verranno a determinare come reali.

A ciò si aggiunga che manca, nel meccanismo di calcolo preventivo, la importante variabile attuariale della conoscenza della effettiva durata in vita della vittima e quindi degli anni in cui la spesa determinata nella fase istruttoria verrà materialmente a presentarsi come reale.

La decisione della Corte di Appello che ha portato alla pronuncia n. 7774 della Corte qui in commento si era limitata, dopo aver determinato il costo annuo, a moltiplicare il dato per il numero di anni pari alla differenza tra la durata media della vita e l'età della vittima a momento del sinistro.

Così facendo, però, a detta del supremo Collegio, i giudici hanno disatteso il principio di diritto che, nel caso specifico attiene anche alla matematica finanziaria, di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c..

Difatti quando la liquidazione d'un danno permanente avvenga a distanza di tempo dal momento in cui è insorto, la corretta stima di esso deve avvenire:

  1. sommando e rivalutando, avuto riguardo al momento della liquidazione, le spese già sostenute;
  2. capitalizzando, al momento della liquidazione, le spese che si dovranno ragionevolmente sostenere in futuro.

Operando una mera moltiplicazione del dato matematico, la Corte ha commesso un grave errore consistito «nel non considerare che il danno futuro è un danno non ancora prodottosi al momento della liquidazione. Sicché, condannandosi il debitore a pagare oggi una somma che la vittima perderà fra n anni, si arrecherebbe un pregiudizio al primo ed un vantaggio al secondo, in virtù della regola plus dat qui cito dat».

Al contrario, i principi di calcolo di una somma attualizzata alla data della sentenza e riferita a costi annuali di competenza di un numero indefinito di anni a venire devono essere ispirati ai seguenti alternativi criteri:

  • «Il primo consiste nel sommare tutti i danni che la vittima patirà tra il momento della liquidazione e il momento futuro in cui il pregiudizio sarebbe comunque cessato (nel nostro caso, la morte naturale per vecchiaia), e moltiplicare il risultato per un saggio di sconto, al fine di tenere conto dell'anticipato pagamento, che farebbe arricchire la vittima del c.d. "montante di anticipazione».
  • «Il secondo criterio consiste nel moltiplicare il danno annuo patito dalla vittima (debitamente rivalutato all'epoca della liquidazione) per un "numero" che tenga già conto del montante di anticipazione. Questo "numero", detto coefficiente di capitalizzazione, semplifica l'operazione di liquidazione consentendo un solo passaggio anziché due».

In ogni caso, conclude la Corte, la anticipazione di una somma che verrà spesa presumibilmente in futuro deve sempre tenere in conto del beneficio finanziario costituito dalla immediata disponibilità della somma da parte del soggetto destinatario dell'importo.

Quanto poi alla complessa questione dei criteri matematici di calcolo più idonei a determinare l'entità della somma capitalizzata in anticipo, la Corte di Cassazione aveva di recente già dato chiare indicazioni sulle modalità attuariali più conformi alla legge (si veda in modo esaustivo, Cass. 14 ottobre 2015, n. 20615, con nota di R. Berti, I criteri utilizzati per liquidare il danno patrimoniale da incapacità di guadagno devono soddisfare la regola dell'integralità del risarcimento, in Ri.Da.Re.).

Un ultimo aspetto che la Corte affronta nella decisione in evidenza è quello legato alla mancata detrazione dall'ammontare complessivo della somma riconosciuta alla vittima, della complessività delle provvidenze riconosciute dall'Inail negando il presupposto che (a detta della corte territoriale) solo il “danno biologico” riconosciuto ai sensi del D.Lgs. n. 38/2000 andasse a compensare il danno subito dall'istante.

Nel censurare la parzialità della decisione dei giudici di merito, la Corte rammenta che «nel sistema attuale l'Inail, nel caso di danno alla salute consistito in invalidità superiori al 16%, indennizza sia il danno biologico, sia il danno da incapacità di lavoro. Quando dunque l'Inail eroga una rendita all'assistito, una quota di tale rendita è destinata al ristoro del danno alla salute; e la parte restante è destinata all'indennizzo del danno patrimoniale».

Il giudice di merito, pertanto, deve innanzitutto distinguere il valore capitale della parte di rendita destinata al ristoro del danno biologico, da quello destinato al ristoro del danno patrimoniale, e quindi sottrarre i due valori, rispettivamente, dal credito risarcitorio per danno biologico e dal credito risarcitorio per danno patrimoniale da incapacità lavorativa.

Osservazioni

Resta da porre in evidenza che tra le righe della sentenza la Corte rammenta la facoltà (alternativa al complesso impianto liquidativo delineato nella decisione) che il giudice adotti lo strumento della costituzione di una rendita vitalizia a favore della vittima, regolata sulla disciplina normativa dettata dall'art. 2057 c.c..

Si legge, infatti, in un passaggio non trascurabile della motivazione, che il giudice adotterà tale elaborazione di calcolo «per compensare il decalage temporale tra il momento di scadenza dell'obbligazione risarcitoria (oggi) e il momento di avveramento del danno, quando non opti per la liquidazione in forma di rendita (art. 2057 c.c.)».

E' certamente, quello dello strumento della costituzione di una rendita vitalizia, un meccanismo che rende la realtà risarcitoria più aderente alla effettività del danno, benché la erogazione del compenso avvenga diluito nel tempo, proprio perché ravvicinato alla insorgenza della esigenza reale e disancorato da un meccanismo statistico e prognostico di permanenza in vita del danneggiato principale.

Se è vero che la giurisprudenza di merito è restia ad adottare tale strumento compensativo (si veda però su questa rivista i contributi a commento della importante decisione resa dal Trib. Milano, 27 gennaio 2015 con nota di L. Vismara, Invalido al 90% per errore medico: si risarcisce con rendita vitalizia, in Ri.Da.Re.), sembra che l'invito che la Corte rivolge nell'inciso evidenziato, sia quello di una maggior applicazione di tale non frequente meccanismo empirico, proprio per la sua maggiore adattabilità alla realtà del danno.

Guida all'approfondimento

M. Rodolfi, Il danno patrimoniale da lucro cessante: tra riduzione della capacità lavorativa specifica, generica e flessione di guadagno, stato dell'arte, in Ri.Da.Re.

L. Munaro, Danno patrimoniale futuro della vittimi principale ipotesi particolari, in Ri.Da.Re.

Sommario