Nessun indennizzo per invalidità permanente nel caso di morte dell’assicurato

Vincenzo Papagni
26 Maggio 2015

L'espressione “invalidità permanente” designa uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all'esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna “invalidità permanente”. Ne consegue che, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall'assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale.
Massima

L'espressione “invalidità permanente” designa uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all'esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna “invalidità permanente”. Ne consegue che, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall'assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale.

Il caso

Mevia e i di lei figli Tizio, Caia e Sempronia convenivano dinnanzi al Tribunale di Milano una compagnia di assicurazioni esponendo che anni addietro il proprio congiunto Mevio aveva stipulato una polizza assicurativa a copertura del rischio di invalidità permanente causata da malattia e del rischio di degenza ospedaliera causata da malattia. Successivamente, Mevio, dopo aver contratto un tumore allo stomaco, veniva ricoverato ed operato, ma nel giro di poco tempo la malattia lo aveva condotto a morte. E l'assicuratore aveva rifiutato il pagamento sia dell'indennizzo dovuto per l'ipotesi di invalidità permanente, sia di quello dovuto per l'ipotesi di degenza ospedaliera. Il Tribunale di Milano accoglieva in toto la domanda degli eredi di Tizio, mentre la Corte d'appello confermava la condanna dell'assicuratore al pagamento dell'indennizzo dovuto solo per il rischio di degenza ospedaliera e non anche per quello di invalidità permanente. In particolare la Corte territoriale precisava che rispetto alla copertura per invalidità permanente il rischio assicurato nella specie non si fosse mai avverato perché la malattia contratta dall'assicurato ebbe esito letale: di conseguenza non essendo mai avvenuta la guarigione clinica, mai potevano essere consolidati postumi permanenti di sorta. Avverso quest'ultima decisione Tizio, Caia e Sempronia, i quali avevano dichiarato di agire anche quali eredi di Mevia, deceduta nelle more del giudizio, ricorrevano per cassazione facendo valere tre motivi di censura cui resisteva la compagnia di assicurazione con controricorso. Gli Ermellini, invero, accoglievano la tesi della società assicurativa e rigettavano il ricorso, condannando altresì in solido i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio. In particolare, i supremi giudici sottolineano come le espressioni contenute in un contratto – nella specie il lemma “invalidità” - se potenzialmente ambivalenti vanno interpretate secondo il senso che è loro proprio nel contesto giuridico, non certo secondo il buon senso od il linguaggio comune. E, l'espressione “invalidità permanente” designa lo stato menomativo che residua dopo la cessazione d'una malattia che si verificherà solo se la malattia guarisce con postumi permanenti, e non, come nel caso de quo, se la malattia dovesse condurre a morte l'ammalato.

In motivazione

« e norme che i ricorrenti assumono violate (gli artt. 1325 e 1882 c.c.) sono del tutto irrilevanti nel presente giudizio, nel quale mai si è fatta questione né di quali fossero gli elementi essenziali del contratto (art. 1325 c.c.), né del fatto che quello stipulato tra le parti fosse un contratto di assicurazione (art. 1882 c.c.) ».

«(…) Non vi è stata, in primo luogo, alcuna violazione del criterio di interpretazione letterale. (…) L'assicuratore, in forza di tale contratto, si era obbligato al pagamento in favore dell'assicurato d'un indennizzo nel caso in cui la malattia avesse causato una “invalidità permanente”».

« [Invalidità permanente] (…) definita come la perdita o diminuzione, definitiva e irrimediabile, della capacità dell'esercizio della propria professione (…) e di ogni altro lavoro (…), conseguente a malattia (…) la suddetta “perdita o diminuzione” non potrebbe che concepirsi una volta esaurita la fase acuta della malattia ».

«(…) Un contratto è un testo giuridico. Le espressioni in esso contenute, se potenzialmente ambivalenti, vanno interpretate secondo il senso che è loro proprio nel contesto giuridico, non certo secondo il buon senso od il linguaggio comune».

«(…) L'espressione “invalidità temporanea” designa lo stato menomativo causato da una malattia, durante il corso di questa. L'espressione “invalidità permanente” designa lo stato menomativo che residua dopo la cessazione d'una malattia. L'esistenza d'una malattia in atto e l'esistenza di uno stato d'invalidità permanente non sono tra loro compatibili: sinché durerà la malattia, permarrà uno stato di invalidità temporanea, ma non v'è ancora invalidità permanente; se la malattia guarisce con postumi permanenti si avrà uno stato di invalidità permanente, ma non vi sarà più invalidità temporanea; se la malattia dovesse condurre a morte l'ammalato, essa avrà causato solo un periodo di invalidità temporanea».

La questione

La questione in esame è la seguente: ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, è dovuto o meno un indennizzo nell'ipotesi in cui la malattia patita dall'assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale?

Le soluzioni giuridiche

La legge, pur lasciando del tutto indeterminata la natura dell'evento assicurativo, tuttavia raggruppa i diversi possibili eventi in due grandi categorie: eventi produttivi di danni ed eventi attinenti alla vita umana. Con ciò la legge si adegua alla distinzione, che tradizionalmente suol farsi nell'assicurazione, tra assicurazioni contro i danni e assicurazioni sulla vita. Alla base della distinzione è posta la diversa funzione che ha l'assicurazione nelle due ipotesi: nell'assicurazione danni il contratto ha una funzione indennitaria; nell'assicurazione vita il contratto, pur proponendosi di procurare i mezzi necessari al soddisfacimento dei bisogni economici dell'assicurato, in relazione al verificarsi dell'evento assicurativo, non ha funzione indennitaria. Rispetto all'assicurazione contro le malattie e all'assicurazione invalidità e vecchiaia si è talora ritenuto che dovessero essere ricomprese tra le assicurazioni sulla vita o che costituissero una categoria intermedia tra l'assicurazione danni e l'assicurazione sulla vita. È di tutta evidenza che, invero, si tratti di rami dell'assicurazione contro i danni, almeno così come sono attualmente regolate, anche perché la legge espressamente prevede in queste ipotesi l'applicazione della surrogazione reale dell'assicuratore, la quale è un indice rivelatore caratteristico della funzione indennitaria dell'assicurazione.

Per quanto concerne una polizza malattia il primo elemento da considerare è naturalmente quello relativo alla nozione del concetto stesso di malattia in materia di assicurazioni private. Sul punto, si rileva come i contratti assicurativi fanno costantemente riferimento alla definizione formulata dall'Ania, che considera malattia ogni alterazione dello stato di salute non dipendente da infortunio, la cui dizione, seppur poco chiarificatrice, ha come unico fine quello di evitare che una stessa patologia possa essere contemporaneamente denunciata come evento infortunio e come evento malattia. Le polizze che hanno ad oggetto la tutela dell'evento malattia si articolano fondamentalmente su tre tipologie di prestazioni:

  • corresponsione di un indennizzo per ogni giorno di degenza in struttura pubblica o privata;
  • rimborso di quanto effettivamente speso per degenza, interventi, esami pre e post ricovero;
  • indennizzo proporzionale alla menomazione per i casi di invalidità permanente da malattia.

E, proprio due delle predette prestazioni, nello specifico, il rischio di invalidità permanente causata da malattia, nonché il rischio di degenza ospedaliera causata da malattia erano esplicitamente contemplate dalla polizza assicurativa che Mevio aveva stipulato.

Per la determinazione percentuale dell'invalidità permanente da malattia, i contratti assicurativi si rifanno esclusivamente ad una criteriologia liquidativa riferita alla invalidità generica o specifica, con una previsione di franchigia assoluta fissata rispettivamente al 25% ed al 33% della totale, e completata da dei fattori di correzione in virtù dei quali è possibile una modulazione dell'indennizzo che non risulta mai direttamente proporzionale alla entità della menomazione accertata. Nella sua abituale formulazione, quindi, e contrariamente a quanto avviene per la garanzia infortuni, in tema di menomazione conseguente a malattia la polizza comunemente non fa riferimento a nessuna particolare metodologia ed a nessun riferimento tabellare per l'apprezzamento del grado di menomazione, ed egualmente in nessun punto esclude la possibilità di fare ricorso anche a dei riferimenti prognostici per la definizione del grado di invalidità. Viene evidentemente lasciata irrisolta la questione metodologica dell'apprezzamento della invalidità, in ultima analisi trasferendo alla medicina legale le questioni della elaborazione dottrinaria e delle successive modalità applicative. E, nel caso che qui ci occupa, proprio l'apprezzamento di un'eventuale invalidità è oggetto della quaestio. Mevio, difatti, affetto da una neoplasia allo stomaco nell'arco di pochi mesi muore e a seguito del decesso gli eredi del de cuius reclamano l'indennizzo per l'invalidità permanente da malattia. Nel merito, tuttavia, la Corte territoriale rigetta la richiesta di indennizzo per essere l'assicurato venuto a morte senza mai essere avvenuta alcuna guarigione clinica e quindi senza mai essersi verificata la circostanza della stabilizzazione dei postumi. Ed è proprio questa l'unica soluzione coerente alla questione in parola, così come ribadito esplicitamente dal decisum. Pertanto, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall'assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale.

Osservazioni

L'assicurazione privata contro l'invalidità permanente da malattia è, fra i prodotti assicurativi privati che in qualche modo si occupano del bene salute del cittadino, la più recente delle forme di garanzia introdotte nel nostro mercato. Questo tipo di tutela, commercializzata per la prima volta in maniera autonoma (anche se per molte compagnie necessariamente vincolata all'essere titolari anche di una polizza infortuni) agli inizi degli anni Ottanta, resta a tutt'oggi un prodotto che non ha avuto una grande diffusione rispetto, ad esempio alla polizza infortuni ed alle polizze rimborso spese da malattia ed infortunio, ed inoltre la maggior parte dei casi afferisce a contratti collettivi aziendali. Fra le norme contrattuali che spesso generano controversie, vi è quella che stabilisce quale deve essere il momento, cioè il quando l'assicurato deve essere sottoposto a quantificazione dell'invalidità permanente.

La maggioranza delle polizze contro l'invalidità permanente da malattia prevede delimitazioni temporali circa i momenti in cui si debba procedere a valutazione dei postumi della malattia. Talora è indicato un solo limite, identificato per lo più in almeno un anno dalla denuncia, talaltra è fissato un periodo sia minimo sia massimo, non prima del sesto e non oltre il diciottesimo mese. Il termine di aspettativa di un anno ha frequentemente alimentato contenziosi in ragione del decesso dell'assicurato sopraggiunto nelle more e del correlato rifiuto, prima di accertamenti medico-legali e, poi, di indennizzo alla morte. Pertanto, si comprendono agevolmente le iniziative giudiziali di eredi così come le decisioni di giudici che, ravvisando violazioni all'art. 25, L. 6 febbraio 1996, n. 52 (Clausole abusive nei contratti con i consumatori), hanno superato le tesi oppositive di parte convenuta ed hanno disposto CTU intesa alla quantificazione del grado percentuale di invalidità permanente.

Spesso le polizze di invalidità permanente da malattia stabiliscono che il grado di invalidità permanente debba essere determinato a fine malattia, in qualunque momento si verifichi e comunque non oltre un determinato periodo dalla denuncia della malattia. È di tutta evidenza che con l'espressione “fine malattia” non si allude alla guarigione, concetto incompatibile con la sussistenza di postumi permanenti, ma alla stabilizzazione dei postumi, cioè ad una situazione clinica in cui è possibile quantificare le conseguenze della malattia perché la stessa ha esaurito le sue manifestazioni o è diagnosticato e circoscritto il suo effetto. La previsione, difatti, corrisponde ad una esigenza reale e comprensibile: fino a che la malattia è in corso o in fase attiva non è possibile stabilire la modalità di evoluzione e quindi l'entità dei postumi.

Peraltro secondo l'orientamento dominante – ribadito anche nel decisum (v. Cass. civ.,sez. III, sent., 16 maggio 2003, n. 7632) – i giudici di legittimità chiariscono che il consolidarsi di postumi permanenti può mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. La nozione medico legale di “invalidità permanente” presuppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l'organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile.

In realtà, non può tacersi che l'indicazione in polizza di un limite temporale anteriormente al quale non può essere qualificata l'invalidità permanente, costituisce una esigenza irrinunciabile dell'assicuratore. Infatti, se così non fosse, l'assicurato in certe non rare situazioni patologiche, potrebbe, “al limite”, pretendere sempre l'indennizzo massimo, cioè quello correlato alla fase acuta della malattia. Allo stesso modo il problema si pone per le malattie che hanno rapida ed infausta evoluzione verso il decesso, come nell'ipotesi che qui ci occupa. In questi casi l'epilogo della malattia è la morte, (la cui tutela è eventualmente fornita da una polizza vita) e non la invalidità permanente per la quale è stata stipulata la polizza.

Guida all'approfondimento

M. Canale, A. Mannucci, Riflessioni medico-legali sulle polizze di assicurazioni invalidità da malattia, in Resp. civ. prev., 1992, 185

F. De Ferrari, L. Palmieri, Manuale di medicina legale, Giuffrè, Milano, 2007, 509, 512

G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, C. Angelici, G.B. Ferri (a cura di), Torino, 1999, 979

L. Letta, Malattia letale ed indennizzo dell'assicuratore privato per l'invalidità permanente, in Resp. civ. prev., 2002, 206-217

R. Luvoni, F. Mangili, E. Ronchi, Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente da malattia nell'assicurazione privata, Giuffrè, Milano, 1992

E. Ronchi, L. Mastroroberto, U. Genovese, Guida alla valutazione medico-legale dell'invalidità permanente, Giuffrè, Milano, 2009, 107, 124, 127

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