L’equilibrio tra la lotta alla doppia imposizione e la tutela dei principi UE

Daniele Russetti
03 Febbraio 2016

In tema di libera circolazione delle persone è necessario che i principi di non discriminazione e di parità di trattamento vengano interpretati in senso non ostativo rispetto ad una Convenzione contro le doppie imposizioni.
Massima

I principi di non discriminazione e di parità di trattamento in tema di libera circolazione delle persone devono essere interpretati in senso non ostativo ad una Convenzione contro la doppia imposizione, come quella in vigore tra la Svizzera e la Germania, per cui la competenza ad assoggettare ad imposta i redditi da lavoro dipendente di un contribuente tedesco che non possiede la cittadinanza svizzera - benché quest'ultimo abbia trasferito la residenza dalla Germania alla Svizzera, pur mantenendo il suo centro di affari nel primo di tali Stati - spetta allo Stato della fonte, i.e. la Germania; mentre la competenza ad assoggettare ad imposta i redditi da lavoro dipendente di un cittadino svizzero che si trovi in una situazione analoga a quella sopra descritta, spetta al nuovo Stato di residenza, ossia la Svizzera.

Il caso

La questione sottoposta all'attenzione degli euro-giudici riguarda il caso di un lavoratore frontaliero c.d. “all'inverso”, ossia di un cittadino tedesco che, per motivi di lavoro, aveva trasferito la propria residenza in Svizzera pur continuando a lavorare nel precedente Stato di domiciliazione, i.e. la Germania.

L'intervento della Corte di Giustizia UE si è reso necessario a seguito della controversia intercorsa tra il suddetto lavoratore e il Fisco tedesco che, con un avviso di accertamento, assoggettava de plano a tassazione i redditi di lavoro dipendente ritratti dal primo per il periodo successivo al trasferimento della propria residenza in Svizzera. Il contribuente impugnava l'atto impositivo de quo rilevando come l'impostazione adottata da Parte Pubblica, se da un lato, era in linea con le disposizioni contenute nella Convenzione contro la doppia imposizione Germania - Svizzera in punto di frontalieri - che elevano la cittadinanza quale criterio per la ripartizione della potestà impositiva degli Stati coinvolti - dall'altro lato, si poneva in contrasto con i principi europei di non discriminazione e di parità di trattamento sulla base della nazionalità/cittadinanza enucleati negli accordi di libera circolazione delle persone in vigore tra UE e Stati membri e tra UE e Svizzera. Pertanto, la parte lamentava di aver subito una disparità di trattamento rispetto ad un cittadino svizzero che avesse trasferito la propria residenza dalla Germania alla Svizzera, pur mantenendo il luogo di lavoro in territorio tedesco, in quanto la competenza ad assoggettare ad imposta i medesimi redditi sarebbe spettata allo Stato di residenza, ossia alla Svizzera (e non alla Germania).

A seguito del rigetto del ricorso veniva adito il giudice del rinvio il quale sospendeva il procedimento, sottoponendo alla Corte UE un'unica questione pregiudiziale avente ad oggetto il rapporto tra diritto europeo e diritto internazionale.

La questione

La tematica giuridica affrontata è la seguente:

i) se i principi di non discriminazione e di parità di trattamento, enucleati negli accordi sulla libera circolazione delle persone, debbano essere interpretati in senso ostativo ad una Convenzione bilaterale contro la doppia imposizione, in forza della quale il diritto ad assoggettare ad imposta i redditi di lavoro dipendente in Germania di un contribuente tedesco che abbia trasferito la sua residenza in Svizzera sia ancorato alla cittadinanza del suddetto contribuente.

La soluzione giuridica

La Corte di Giustizia afferma che se, nella sottoscrizione degli Accordi internazionali a carattere fiscale, gli Stati possono stabilire i criteri di collegamento che ritengono più opportuni per ripartire la potestà impositiva in caso di fattispecie cross-border e, dunque, stabilire “chi tassa che cosa”, gli stessi, però, non possono esercitare il proprio potere impositivo in violazione dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento e, più in generale, in contrasto con la libertà di circolazione che costituisce il diritto primario dell'Unione Europea, brocardi questi ultimi regolamentati ed enucleati anche a livello di diritto derivato UE (Corte CE C-336/1996: Corte CE C-527/2006; Corte UE C-303/2012).

Sulla scorta di ciò, i Giudici lussemburghesi sanciscono che qualora la cittadinanza sia elevata, nelle Convenzioni contro la doppia imposizione, a parametro per la ripartizione del potere impositivo degli Stati, l'eventuale differenziazione di regime tributario motivata in forza della nazionalità del singolo contribuente non integra alcun tipo di discriminazione vietata dal diritto UE.

Di poi, qualora l'esercizio della potestà impositiva, in forza delle Convenzioni in vigore, ruoti attorno ad una disposizione incentrata sulla nozione di cittadinanza/nazionalità, allora - continua la Corte UE - lo Stato europeo dovrà operare, in ogni caso, nel rispetto dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione.

Ergo, i Giudici UE arrivano a decretare la legittimità della disposizione della Convenzione bilaterale sulla doppia imposizione conclusa tra la Svizzera e la Germania, in forza della quale la competenza ad assoggettare ad imposta i redditi da lavoro dipendente di un contribuente tedesco che non possiede la cittadinanza svizzera, anche se quest'ultimo abbia trasferito la sua residenza, spetta allo Stato della fonte (la Germania); mentre, qualora lo stesso sposti la residenza in altro Paese (la Svizzera), spetta a quest'ultimo tassare.

Osservazioni

Nella sentenza in commento, la Corte di Giustizia fa anzitutto luce su quale debba essere la chiave di lettura da adottare nel momento in cui sorga un conflitto tra i principi di diritto europeo e gli obblighi internazionali, a carattere bilaterale, assunti dagli Stati, membri UE ovvero equiparati a quest'ultimi. I Giudici europei ribadiscono un concetto di assoluto valore. Se sul piano internazionale gli Stati sono liberi di regolamentare particolari materie o fattispecie cross-border, anche di natura fiscale, secondo i propri interessi, nel momento in cui tali Stati sono “ancorati” all'Unione Europea, o perché membri effettivi o in quanto vincolati a quest'ultima da particolari accordi bilaterali, allora gli stessi non possono agire in spregio agli obblighi assunti a livello europeo. Le norme pattizie debbono essere conformi al diritto UE e tale assioma estrinseca ancora più efficacia se in gioco vi sono la realizzazione delle libertà fondamentali, nonché la tutela dei cittadini/contribuenti dai fenomeni di doppia imposizione, intesi quale ostacolo - in atto ed in potenza - all'integrazione e stabilizzazione di un mercato unico. Dunque, la sentenza in questione assume particolare pregio poiché chiarisce in che modo si debba applicare il diritto tributario internazionale alla luce del diritto (tributario) europeo qualora ci si trovi di fronte a fattispecie che toccano entrambi i piani normativi in oggetto e da cui possa scaturire un fenomeno di doppia imposizione, situazione quest'ultima che non può più trovare asilo in nessun sistema normativo.

Il decisum europeo risulta, altresì, un ottimo spunto per analizzare tre tematiche che, specchiandosi l'una nell'altra, possono rappresentare un vademecum per far fronte e risolvere situazioni come quella oggetto del giudizio della Corte UE, sempre più frequenti in un'economia moderna basata sulla mobilità dei singoli: la causa e gli elementi costitutivi della doppia imposizione, nonché la tassazione dei redditi per l'attività di lavoro dipendente prestata all'estero.

Con riguardo alla prima, la conclusione è immediata: quando le relazioni economiche non si limitano più nell'ambito di un singolo Stato e si sviluppano oltre frontiera, queste assumono rilevanza fiscale in più Stati, generando un concorso di potestà impositive, frutto dei diversi criteri di collegamento - residenza o luogo di produzione del reddito - che gli Stati coinvolti adottano per attrarre a tassazione.

Tale quadro si complica leggermente quando si passa al processo di identificazione della doppia imposizione la quale si palesa a seguito dell'applicazione di imposte comparabili da parte di due o più Stati a carico dello stesso contribuente per il medesimo presupposto di fatto e per lo stesso periodo di imposta (i.e. doppia imposizione giuridica). Occorre però chiarire come:

  • in primo luogo, gli ordinamenti giuridici nell'ambito dei quali il medesimo fenomeno economico produce conseguenze fiscali devono essere sovrani ovvero indipendenti;
  • in secondo luogo, deve trattarsi di imposte similari e, dunque, comparabili;
  • in terzo luogo, il presupposto di imposizione deve essersi verificato nei confronti del medesimo contribuente: è il requisito della identità soggettiva. Difatti, se lo stesso bene o manifestazione di capacità contributiva sono presi in considerazione per attribuire le relative imposte a soggetti giuridici distinti, si parla in questi casi di doppia imposizione economica, contrapposta a quella di natura giuridica;
  • da ultimo, occorre ravvisare la sussistenza del c.d. aggravio: la doppia tassazione internazionale sussiste solo quando l'imposizione dei due Stati fa sì che l'ammontare complessivo delle imposte riscosse è superiore a quello che si sarebbe realizzato nell'ipotesi di esercizio del prelievo da parte di un solo Stato.

L'ultimo step implica, infine, una valutazione caso per caso da effettuarsi, in tre fasi, l'una prodromica rispetto all'altra:

i) l'esatta individuazione della residenza del lavoratore;

ii) l'identificazione della territorialità del reddito prodotto e/o percepito da quest'ultimo;

iii) la corretta applicazione delle regole impositive previste dallo Stato di residenza, dalle Convenzioni internazionali e dal diritto UE, al fine di evitare la doppia imposizione.

Ora, sulla base delle considerazioni fin ora svolte, appare chiaro come chiunque si trovi a risolvere questioni similari a quella precedentemente descritta, oltre a valutare con estrema cura i diversi elementi di natura fattuale (i.e. residenza, luogo di lavoro, attività svolta, durata di svolgimento di quest'ultima) dovrà soppesare questi ultimi avendo a mente non soltanto (e come dato di partenza) la legislazione tributaria degli Stati coinvolti, ma anche e soprattutto le eventuali disposizioni contenute nelle Convenzioni bilaterali, così come il diritto europeo. E ciò se vale per i giudici tributari - cui spetta il compito di verificare la corretta applicazione delle norme in questione, sia di matrice domestica che sovranazionale, e, dunque, stabilire se è stata integrata una fattispecie di doppia imposizione - tale dato dovrà essere considerato anche dal singolo contribuente che, in un'ottica di adeguata gestione della variabile fiscale, dovrà necessariamente agire con prudenza, ossia analizzare le disposizioni normative che lo riguardano, valutare attentamente le conseguenze fiscali che potrebbero scaturire dall'attività che si vuole svolgere e, se del caso, in ottica di piena collaborazione tra Fisco e contribuente, interpellare preventivamente l'Amministrazione finanziaria al fine di comprendere la sussistenza o meno di eventuali criticità, soprattutto quando non é in gioco solo il piano normativo nazionale, ma anche quello internazionale ed europeo.

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