Operazioni inesistenti, è utilizzabile lo storno delle fatture?

19 Giugno 2015

Lo storno delle fatture ex art. 26, D.P.R. n. 633/72, è uno strumento utilizzabile solamente quando l'operazione imponibile, non fittizia, sia venuta meno per specifiche patologie contrattuali. Ciò discende anche dal disposto dell'art. 21, co. 7, il quale prevede, allo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell'IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione, che, se è emessa fattura per operazioni inesistenti, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura. La disposizione dell'art. 21, da un lato, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d'imposta sulla base dell'applicazione del solo principio di cartolarità e, dall'altro, incide indirettamente, in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 19, co. 1, e art. 26, co. 3, anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta in totale carenza del suo presupposto, cioè dell'acquisto (o dell'importazione) di beni e servizi nell'esercizio dell'impresa, arte o professione.
Massima

Lo storno delle fatture ex art. 26, D.P.R. n. 633/72, è uno strumento utilizzabile solamente quando l'operazione imponibile, non fittizia, sia venuta meno per specifiche patologie contrattuali. Ciò discende anche dal disposto dell'art. 21, co. 7, il quale prevede, allo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell'IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione, che, se è emessa fattura per operazioni inesistenti, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura. La disposizione dell'art. 21, da un lato, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d'imposta sulla base dell'applicazione del solo principio di cartolarità e, dall'altro, incide indirettamente, in combinato disposto con lo stesso D.P.R., art. 19, co. 1, e art. 26, co. 3, anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta in totale carenza del suo presupposto, cioè dell'acquisto (o dell'importazione) di beni e servizi nell'esercizio dell'impresa, arte o professione. È quanto ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11396 del 3 giugno 2015.

Il caso

Il fisco ha appurato, ai fini IVA, nei confronti di una concessionaria di automobili una fantomatica vendita di automobili, in realtà mai consegnate e pagate.

Esso ha contestato l'emissione di fatture di vendita per operazioni inesistenti in quanto solo apparentemente una società concessionaria aveva acquistato autovetture da altre due società per poi sistematicamente addivenire alla risoluzione consensuale delle vendite, con emissione di note di credito in variazione entro l'anno ai sensi dell'art. 26, D.P.R. n. 633/72, senza che il prezzo venisse mai versato, né le autovetture consegnate dalle società venditrici alla società acquirente, peraltro tutte aventi sede lungo la medesima via, a breve distanza l'una dall'altra.

Il giudice di primo grado, in accoglimento del ricorso introduttivo ha ravvisato l'effettività delle operazioni poste in essere, una lecita finalità extrafiscale e la necessità della emissione delle fatture per legittimare la presenza delle auto all'interno dei locali della società acquirente. Il giudice del gravame ha puntualizzato che non è possibile la detrazione IVA sull'importo della fattura stornata entro l'anno se emerge, successivamente, che l'operazione è inesistente. È del tutto irrilevante, inoltre, il contratto esistente fra fornitore e cliente.

La questione

Come accertare l'esistenza delle operazioni commerciali tra le parti?

Gli Ermellini, rigettando il ricorso del contribuente, hanno precisato che dagli atti di causa è emersa la mancanza di qualsiasi cessione delle auto; in particolare dalla qualificazione contrattuale dei rapporti intercorsi continuativamente per circa tre anni fra le tre società emerge de plano che – per definizione – non vi era alcuna cessione di auto dalla mandante alla mandataria, per la chiara ragione che quest'ultima aveva unicamente l'obbligo di procurare la vendita, che sarebbe poi stata stipulata direttamente dalla mandante. Il che significa che, già in tesi, non c'era alcuna cessione di auto dalla mandante alla mandataria, la prima restando costantemente proprietaria della auto per le quali operava la seconda. Quindi le pretese cessioni erano sicuramente inesistenti, secondo la stessa prospettazione di parti appellanti.

Inoltre le tre società simularono una serie di compravendite, che non erano minimamente volute, come dimostra il barocco sistema di fatturazione – retrocessione - vendita definitiva, ed in realtà erano mirate a dissimulare un unico contratto di mandato. E, sotto lo specifico profilo di diritto che ne occupa, la Corte territoriale ha condivisibilmente aggiunto che l'art. 26 cit. vieta il ricorso alla fattispecie in esame in via ordinaria, e cioè al di fuori di casi eccezionali di patologia contrattuale, laddove nella fattispecie concreta si trattava proprio di un meccanismo ordinario escogitato per ovviare ai vincoli contrattuali, senza che ricorresse alcun fattore eccezionale sul piano economico e contrattuale.

Le soluzioni giuridiche

In tema di IVA, è onere del contribuente dimostrare la ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 26, secondo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per accedere al regime della variazione in diminuzione dell'imposta, tramite la corretta e completa registrazione delle operazioni, da cui emerga inequivocabilmente la corrispondenza tra le stesse, oppure, ove tale onere non possa essere così assolto, attraverso altri mezzi di prova nel rispetto delle regole generali ed in particolare dell'art. 2704 c.c., in forza del quale non è opponibile all'Amministrazione finanziaria una scrittura privata priva di sottoscrizione autenticata in data certa (Cass. civ. Sez. V, 11 aprile 2014, n. 8535).

La speciale procedura di cui all'art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, relativa alla facoltà di regolarizzazione dell'IVA, presuppone necessariamente che le operazioni per le quali siano state emesse le fatture da rettificare o da regolarizzare, perché relative ad operazioni venute meno in tutto o in parte, siano effettive e, pertanto, non è applicabile nel caso in cui le operazioni siano inesistenti. Laddove sia riscontrata l'emissione di fatture per operazioni inesistenti e successive note di credito per lo storno delle relative posizioni nell'ambito della procedura per la liquidazione dell'IVA di gruppo, tale contegno costituisce fenomeno elusivo e violazione del principio di abuso del diritto (Cass. civ. Sez. V, 18 novembre 2011, n. 24231).

Osservazioni

La speciale procedura di variazione prevista dall'art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l'operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perchè venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia un'operazione vera e reale e non già del tutto inesistente. Ciò discende anche dal disposto dell'art. 21, co. 7, del menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, il quale - nel prevedere, allo scopo di ricondurre a coerenza il sistema impositivo dell'IVA, fondato sui principi della rivalsa e della detrazione, che, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, «l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura» - da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d'imposta sulla base dell'applicazione del solo principio di cartolarità, e, dall'altro, incide indirettamente, in combinato disposto con gli artt. 19, comma 1, e 26, co. 3, dello stesso D.P.R., anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell'acquisto (o dell'importazione) di beni e servizi nell'esercizio dell'impresa, arte o professione (Cass. civ., sez. V, 10 giugno 2005, n. 12353).

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