L’inefficacia ipso iure del sequestro conservativo tributario

12 Agosto 2015

L'autorizzazione a procedere al sequestro conservativo dei beni, ottenuto dall'Agenzia delle Entrate, sulla base di un avviso di accertamento, in seguito dichiarato illegittimo, deve essere considerato a norma dell'art. 22 D.Lgs. n. 472/1997, ipso iure, privo di effetti, in quanto il titolo sul quale si fondava è inefficace.
Massima

Qualora l'Agenzia delle Entrate ottenga dal giudice tributario, ex art. 22 D.Lgs 472/1997, l'autorizzazione a procedere al sequestro conservativo dei beni del contribuente sulla base di un avviso di accertamento fondato, a sua volta, su un provvedimento di cancellazione dall'Anagrafe Unica delle Onlus successivamente dichiarato illegittimo, il sequestro conservativo deve, ai sensi dell'art. 22 D.lgs 472/1997, essere dichiarato, ipso iure, privo di effetti per sopravvenuta inefficacia del titolo sul quale si fondava.

Il caso

L'Agenzia delle Entrate, giusto il disposto di cui all'art. 5 del D.M. 266/2003, secondo il quale “La Direzione regionale delle entrate, qualora, successivamente all'avvenuta iscrizione a seguito del controllo di cui all'articolo 3, accerti la mancanza o il venir meno dei requisiti di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, provvede alla cancellazione dall'anagrafe delle ONLUS” disponeva, con provvedimento del 7.2.2012, la cancellazione dell'Ente dall'Anagrafe Unica delle Onlus ritenendo, per l'appunto, che l'Ente non soddisfacesse i presupposti, previsti dal summenzionato articolo 10, per la legittima fruizione della qualifica di Onlus.

Per l'effetto, in virtù dell' art. 5 quarto comma D.M. 266/2003, così come anche chiarito dalla Circolare n. 22/E del 16 maggio 2005, l'Agenzia delle Entrate notificava, all'Ente, avviso di accertamento per omessa dichiarazione dell'imposta IRES relativa all'anno 2008, giacché il contribuente, escluso dalla categoria “Onlus”, non aveva più titolo per beneficiare dell'agevolazione fiscale di cui all' art. 150 D.P.R. 917/1986

Entrambi i provvedimenti venivano impugnati dall'Ente avanti la competente Commissione Tributaria Provinciale di Milano (di seguito “CTPM”).

Medio tempore, l'Amministrazione finanziaria si avvaleva dell'istituto di cui al già citato art. 22 D.lgs. 472/97 ottenendo, dal giudice tributario, l'autorizzazione a procedere al sequestro conservativo delle somme presenti sul conto corrente dell'Ente.

Successivamente, però, su ricorso del contribuente, la CTPM dichiarava illegittimo (i) il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate con il quale veniva disposta la cancellazione dell'Ente dall'Anagrafe Unica Onlus e, conseguentemente, con una ulteriore sentenza (ii) l'avviso di accertamento per l'imposta IRES essendo, oramai, venuto meno l'atto-presupposto di cancellazione dalla predetta Anagrafe.

Nel frattempo l'Agenzia delle Entrate notificava, nelle prescritte forme di legge, il sequestro conservativo al Terzo (istituto di credito) chiedendo, al Tribunale di Brescia, di eseguire la misura cautelare nei confronti delle somme depositate presso il conto corrente dell'Ente.

In tale occasione, il Giudice dell'Esecuzione del Tribunale di Brescia, con ordinanza, ritenendo la disciplina contenuta nell' art. 22 settimo comma, terzo periodo del D.lgs 472/1997 di carattere speciale, rispetto a quanto previsto dall' art. 669 novies c.p.c., ha dichiarato inefficace il sequestro conservativo concesso in favore dell'Agenzia delle Entrate sancendo l'improseguibilità della procedura.

La questione

Analogamente a quanto previsto per la tutela di crediti non tributari, l'art. 22 D.lgs. 472/97, sulla falsariga dell' art. 671 c.p.c. stabilisce, pur prevedendo un'autonoma disciplina nei propri commi 2,3,4,5 e 6, che per la valida concessione del sequestro conservativo l'istante dimostri la simultanea presenza dei requisiti tipici dell'azione cautelare, ossia il fumus boni iuris ed il periculum in mora.

In altri termini sono necessari:

(i) quanto al fumus, la sussistenza di una precisa e documentata contestazione al contribuente di fatti che configurano gravi violazioni di norme tributarie tali da determinare il convincimento che esiste una ragionevole fondatezza del diritto. Tale “ragionevole fondatezza” non può che (anzi deve) emergere dagli atti–presupposto previsti dalla norma tributaria per la concessione della misura cautelare, id est l'atto di contestazione, il provvedimento di irrogazione della sanzione ovvero il processo verbale di constatazione; e

(ii) il “fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito”, secondo la dizione dell'art. 22 D.Lgs 472/97, ossia il periculum che, nel tempo occorrente per agire giudizialmente al fine di ottenere un titolo esecutivo di formazione giudiziale, il patrimonio del debitore possa divenire insufficiente al materiale soddisfacimento del credito.

Ciò premesso, nonostante talune affinità, non possono sottacersi le differenti peculiarità (in termini di assenza) che contraddistinguono le misure cautelati fiscali rispetto a quelle tradizionali.

Invero, il procedimento cautelare civilistico è ben più articolato e completo rispetto a quello fiscale. Il Codice di rito, infatti, disciplina una serie di istituti, di cui non v'è traccia nell'art. 22 D.lgs. 472/1997, che secondo un orientamento dottrinale potrebbero essere, ex art. 669 quaterdecies c.p.c., comunque applicati, in sede giurisprudenziale, se ed in quanto compatibili, alle fattispecie di cui al sopra citato articolo.

In particolare:

  • la possibilità di riproposizione dell'istanza da parte dell'amministrazione finanziaria dopo una sentenza di rigetto, ad opera del giudice tributario, qualora si verifichino mutamenti delle circostanze o siano dedotte nuove ragioni di fatto o di diritto (art. 669 septies)
  • la potestà, per la magistratura tributaria, di revocare, nel corso del giudizio di merito, il provvedimento cautelare concesso ante causam (art. 669 decies) e
  • la facoltà, per il contribuente, di impugnare la sentenza con la quale è stata autorizzata la misura cautelare (art. 669 terdecies)

A tali peculiarità debbono aggiungersi quelle rilevate nell'ordinanza in commento le quali hanno condotto il Tribunale di Brescia a considerare il sequestro conservativo tributario (ed in senso più ampio l'art. 22 D.lgs. 472/1997) come parte integrante di una disciplina speciale rispetto a quanto previsto dal codice di rito negli articoli 669 bis c.p.c. ss.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Brescia, preso atto dell'intervenuta declaratoria di illegittimità dell'atto impositivo, ad opera della CTPM, ha ritenuto che il sequestro conservativo divenisse, utilizzando le stesse parole dell'ordinanza, “inefficace ex lege”. In altri termini il Giudice ha sostenuto l'inapplicabilità, alla fattispecie de qua, dell' art. 669 novies terzo comma c.p.c. optando, invece, per una pronuncia dichiarativa che desse atto dell'automatica inefficacia della misura cautelare derivante “dall'accoglimento del ricorso (avverso l'atto impositivo) con sentenza anche non passata in giudicato”.

Invero, il ragionamento giuridico sotteso a tale decisione si compone di diversi passaggi che portano, in esito allo stesso, a qualificare l' art. 22 come norma di carattere speciale rispetto alle disposizioni del codice di rito.

In primis sembrerebbe che l'organo giudicante abbia aderito ad una interpretazione letterale dell' art. 22 D.lgs. 472/1997, secondo il quale “I provvedimenti [cautelari N.d.R.] perdono altresì efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda [avverso l'atto impositivo N.d.R.]”. Nel silenzio della norma circa la necessità di rivolgersi al giudice che ha emesso la misura cautelare per vederne rimossi gli effetti è verosimile che il Tribunale di Brescia sia ricorso all'antico brocardo “ubi lex non distinguit nec nos distinguere debemus” giungendo a concludere che qualora l'atto–presupposto del provvedimento cautelare venga posto nel nulla, anche con sentenza priva di giudicato, la conseguente misura cautelare debba essere caducata ipso iure.

In secundis il Giudice ha espressamente riconosciuto l'inapplicabilità del già citato art. 669 novies c.p.c.. Non sarebbe richiesto, dunque, l'intervento del giudice tributario in virtù della peculiarità della procedura ad instar dell' art. 22 D.lgs. 472/1997 rispetto alla disciplina generale contenuta negli articoli 669 bis ss. c.p.c. e cioè: adozione del provvedimento cautelare da parte del collegio con sentenza (e non con ordinanza), impugnabilità tramite appello (e non con l'ordinario mezzo del reclamo).

In tertiis è lo stesso art. 22 a prevedere espressamente le ipotesi in cui la Commissione Tributaria è chiamata ad intervenire in ordine agli effetti del provvedimento cautelare (i.e. cancellazione di ipoteca per inefficacia derivante da omessa tempestiva notifica dell'atto di contestazione o di irrogazione della sanzione, riduzione dell'ipoteca o del sequestro per parziale accoglimento del ricorso del contribuente). Ciò a dire, in altri termini, che se il legislatore avesse voluto attribuire al giudice tributario anche la potestà di dichiarare inefficaci le misure cautelari, precedentemente emesse, lo avrebbe stabilito expressis verbis come accaduto in relazione alle fattispecie testé menzionate.

Osservazioni

L'ordinanza in commento, dunque, a parer di chi scrive, ha il pregio, sulla base del solo dettato normativo, di aver precisato talune questioni che, nel silenzio del legislatore, erano state trattate, prevalentemente, a livello dottrinale.

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