Estensione del giudicato ai coobbligati in solido: presupposti e limiti

14 Novembre 2016

In tema di solidarietà tributaria ai fini dell'imposta di registro, l'opponibilità, da parte degli altri condebitori, della sentenza pronunziata tra l'Amministrazione finanziaria e uno dei condebitori in solido presuppone, oltre all'estraneità del debitore nel giudizio intercorso tra il proprio creditore e l'altro condebitore, anche il passaggio in giudicato della decisione.
Massima

In tema di solidarietà tributaria ai fini dell'imposta di registro, l'opponibilità, da parte degli altri condebitori, della sentenza pronunziata tra l'Amministrazione finanziaria e uno dei condebitori in solido presuppone, oltre all'estraneità del debitore nel giudizio intercorso tra il proprio creditore e l'altro condebitore, anche il passaggio in giudicato della decisione.

Il caso

Un contribuente impugnava l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro emanato dall'amministrazione finanziaria in virtù della ritenuta decadenza dai benefici fiscali richiesti un trasferimento di terreno edificabile, non assoggettato a piano particolareggiato.

Nei primi due gradi di merito le Commissioni tributarie hanno ritenuto legittima la pretesa fiscale. Nelle more del giudizio di appello il contribuente ha presentato una memoria in cui indicava la sussistenza di una sentenza favorevole, resa in favore dell'altro coobbligato solidale per l'imposta di registro relativa allo steso contratto di compravendita, non esaminata dal giudice di appello.

Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione eccependo la violazione del citato art. 1306 c.c. in quanto la CTR nel suo percorso argomentativo non aveva preso in considerazione l'esistenza e il contenuto della sentenza.

La Suprema Corte ha ritenuto preliminarmente che quando la sentenza è stata allegata in appello, la stessa non era ancora passata in giudicato e, quindi, la parte non poteva ancora invocarne gli effetti a sè favorevoli. La CTR, pertanto, non era tenuta a tenerne conto. Tale sentenza è divenuta definitiva solamente nel corso del giudizio di legittimità, in quanto non appellata dall'Amministrazione finanziaria.

Spetterà ora alla CTR del Lazio cui la controversia è stata rinviata a seguito della cassazione della pronuncia impugnata valutare la portata del giudicato al fine di verificarne l'estensione anche al coobbligato.

La questione

La pronuncia in commento fornisce lo spunto per trattare la questione relativa ai presupposti e limiti per l'estensione ad un contribuente di un giudicato favorevole formatosi nei confronti di un soggetto coobbligato.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 57 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 prevede che “oltre ai pubblici ufficiali, che hanno redatto, ricevuto o autenticato l'atto, e ai soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione, sono solidalmente obbligati al pagamento dell'imposta le parti contraenti, le parti in causa, coloro che hanno sottoscritto o avrebbero dovuto sottoscrivere le denunce di cui agli artt. 12 e 19 c.p.c. e coloro che hanno richiesto i provvedimenti di cui agli artt. n. 633, 796, 800 e 825 del c.p.c.”.

Tale disposizione introduce un principio generale di solidarietà passiva nel pagamento dell'imposta di registro.

Al riguardo, occorre evidenziare che è ormai acquisito il principio secondo cui la solidarietà tributaria non configura un istituto autonomo, ma si inquadra nello schema della comune solidarietà disciplinata dalle norme del Codice civile.

La nozione di solidarietà è recata dall'art. 1292, ai sensi del quale “l'obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità …”.

Ne discende che ciascuno dei debitori in solido è tenuto ad adempiere per l'intero l'obbligazione tributaria (ad esempio, nel caso di atto compravendita, tutte le parti contraenti sono obbligate al pagamento dell'imposta per l'intero).

Inoltre, in caso di mancato assolvimento del debito fiscale, l'Ufficio creditore può rivolgersi indifferentemente a ciascuno dei debitori in solido, senza che alcuno possa invocare il “beneficium excussionis”, fatta salva la possibilità per il debitore escusso di agire in regresso nei confronti dei condebitori solidali per ottenere da ciascuno il rimborso della rispettiva quota di debito (nel caso della solidarietà paritetica, mentre per quella dipendente, fermo restando la facoltà per il creditore di rivolgersi indifferentemente a tutti i coobbligati, il responsabile dipendente – ad esempio il notaio – che adempie può pretendere l'intero importo della somma versata da ciascun coobbligato).

Ciò premesso, come evidenziato con Circolare 28 novembre 1991, n. 11, il problema dell'estensibilità del giudicato favorevole formatosi nei confronti di un soggetto ad altri con lui solidalmente obbligati va risolto nel quadro delle disposizioni contenute nell'art. 1306 del c.c., ai sensi del quale “la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido … non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori” (comma 1), tuttavia “gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore…” (comma 2).

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che l'art. 1306, comma 2, del c.c. non ha valore sostanziale, ma opera sul piano processuale, in deroga ai comuni limiti soggettivi del giudicato di cui all'art. 2909 del c.c., ai sensi del quale l'eventuale accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato solo tra le parti, gli eredi e gli aventi causa (ex multis, Cass. civ. 13 novembre 2008, n. 27071; Cass. civ. 26 giugno 2003, n. 10202; Cass. civ., SS.UU. 22 giugno 1991, n. 7053).

In ogni caso, come chiarito dalla Suprema Corte nella sentenza 19 maggio 2003, n. 7783, “il peculiare effetto sancito dall'art. 1306 c.c., secondo comma, presuppone, per il suo dispiegarsi, il passaggio in giudicato della sentenza…”.

Non è quindi possibile per un coobbligato solidale invocare tale disposizione qualora altro coobbligato abbia provveduto alla “mera” proposizione del ricorso o abbia ottenuto una sentenza favorevole non definitiva.

In merito all'estensione del giudicato al coobbligato rimasto inerte a seguito della notifica dell'atto impositivo, La Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza 22 giugno 1991, n. 7053, superando le precedenti divergenti posizioni, ha enunciato il principio secondo cui l'inerzia del debitore non è ostativa all'estensione del giudicato formatosi nei confronti di un altro debitore in solido, a condizione che “oggetto della lite sia l'intero rapporto obbligatorio e non già, autonomamente, la parte relativa al condebitore, ossia un rapporto geneticamente e causalmente unitario, come si verifica nel caso in cui l'obbligazione tributaria abbia la propria causa nell'unico atto che ha determinato il trasferimento di ricchezza”.

In particolare, la Corte ha precisato che “non ostano all'estensione del giudicato le vicende extra o preprocessuali relative alla posizione sostanziale del condebitore inerte, eventualmente costituite da un atto amministrativo non impugnato”.

Nella stessa sentenza, la Suprema Corte ha altresì affermato che – a differenza del concreditore che può “far valere” la sentenza favorevole pronunziata fra altro concreditore e il debitore – il condebitore può solo “opporre” (ossia far valere in via di eccezione a fronte della richiesta del creditore) la sentenza pronunziata tra il creditore ed un altro condebitore e ciò costituisce una mera facoltà che egli è libero di esercitare (ex multis, Cass. civ. 3 febbraio 2006, n. 2383 e Cass. civ. 2 aprile 2003, n. 5020).

In evidenza
cfr. Corte di Cassazione 15 febbraio 2000, n. 1681, secondo la quale “il meccanismo previsto dall'art. 1306 cod. civ., costituente una deroga ai principi in materia di limiti del giudicato, non può operare ‘ipso iure'. Infatti, spetta soltanto al debitore valutare se la sentenza resa nei confronti di un condebitore solidale debba considerarsi a sé favorevole”. Negli stessi termini la Cass. civ. 5 aprile 1996,n. 3201, nella quale la Corte ha precisato che l'art. 1306, comma 2, del c.c. non ammette una efficacia immediata della sentenza favorevole nei confronti dei coobbligati rimasti estranei al giudizio, ma attribuisce semplicemente ad essi il potere di avvalersene e, quindi, l'estensione non può mai essere pronunciata dal giudice senza una precisa manifestazione di volontà del debitore.

Ne consegue, a parere dei giudici di legittimità che “il pagamento che egli abbia effettuato, prima o dopo il formarsi del giudicato favorevole nei confronti del condebitore, costituisce esercizio negativo e consumazione di quella facoltà, impedendo che possa successivamente ripetersi quanto sia stato in tal modo pagato” (v. anche Cass. civ. 22 maggio 2006, n. 12014; Cass. civ., 3 agosto 2005, n. 16332; Cass. civ. 24 gennaio 2001, n. 998; Cass. civ. 8 settembre 1999, n. 9519).

Il pagamento, infatti, poiché comporta l'estinzione del vincolo obbligatorio, preclude ogni possibilità di dedurre, a fondamento dell'azione di ripetizione, una circostanza idonea a paralizzare la pretesa del creditore solo in via di eccezione. In tale contesto, “non assume rilievo la circostanza, valorizzata in sentenza, secondo cui il pagamento sarebbe avvenuto unicamente per evitare iniziative pregiudizievoli dell'Amministrazione finanziaria”.

Tali principi sanciti dalla giurisprudenza di legittimità sono stati recepiti sul piano amministrativo con diversi documenti di prassi (cfr. Circolare n. 11/1991 e Circolare 9 gennaio 1992, n. 2, nonché Risoluzione 4 luglio 1995, n. 177 e Circolare 5 giugno 1997, n. 156), con i quali è stato chiarito che l'estensione del giudicato favorevole al coobbligato rimasto inerte non è comunque generale, bensì è condizionata alla sussistenza di determinati presupposti, ovvero:

  • la decisione favorevole è opponibile solo se definitiva;
  • la contestazione del condebitore più solerte deve riguardare l'intero rapporto obbligatorio;
  • il condebitore rimasto inerte non deve aver assolto il debito d'imposta.

In relazione a quest'ultimo punto, si evidenzia che la Corte di Cassazione, nella sentenza 8 gennaio 2013, n. 276 ha espressamente affermato che “… la definitività di detto accertamento nei confronti di un debitore inerte non preclude a quest'ultimo di avvalersi del giudicato riduttivo di quel valore formatosi a favore del debitore più solerte... Sempre che le ragioni che hanno determinato il giudicato più favorevole non siano personali al condebitore diligente e che l'interessato non abbia provveduto al pagamento dell'imposta, consumando così la facoltà di far valere l'eccezione…”.

Osservazioni

La pronuncia in commento, dando continuità all'orientamento della Cassazione, ha affrontato il diverso problema dell'estensione degli effetti del giudicato al coobbligato che abbia impugnato l'atto impositivo.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che l'estensione ad uno dei debitori in solido degli effetti del giudicato favorevole ottenuto da uno degli altri coobbligati trova un limite nella formazione di un giudicato diretto nei confronti del debitore medesimo.

Al riguardo, si richiama l'ordinanza Cass. civ. 3 settembre 2010, n. 19482, nella quale la Corte di Cassazione, alla luce del proprio consolidato orientamento, ha confermato che “in tema di solidarietà tributaria, il principio che il coobbligato d'imposta può avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da un altro obbligato, secondo la regola generale stabilita dall'art. 1306 c.c., opera sempre che non si sia già formato un diverso giudicato”.

Pertanto, prosegue la Corte, “il coobbligato non può invocare a proprio vantaggio la diversa successiva pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel caso in cui egli non sia rimasto inerte, ma abbia a propria volta promosso un giudizio già conclusosi (in modo a lui sfavorevole) con una decisione avente autonoma efficacia nei suoi confronti (ex plurimis, Cass. civ. n. 13997/2002, Cass. civ. n. 3306/2003 e Cass. civ. n. 5595/2003, Cass. civ. n. 18025/2004, Cass. civ. n. 1589/2006, Cass. civ. n. 28881/2008)”.

Significativa è anche la Cass. sentenza n. 476/2013 secondo cui “… nel caso l'acquirente ed il venditore di un immobile abbiano impugnato, con autonomi ricorsi, l'avviso di liquidazione emesso ai sensi del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 a ciascuno di essi notificato, l'acquirente nei confronti del quale sia intervenuta la definizione della obbligazione tributaria con sentenza passata in giudicato, non può chiedere, impugnando la cartella di pagamento notificatagli in base al predetto titolo giudiziale, di avvalersi ai sensi dell'art. 1306 c.c., comma 2 del giudicato più favorevole formatosi nei confronti del venditore, in quanto la norma invocata presuppone che nei confronti del condebitore solidale che chiede l'applicazione del giudicato più favorevole intervenuto nei confronti dell'altro condebitore non si sia già formato altro giudicato”. Ciò in quanto, “l'art. 1306 c.c. dispone in deroga ai limiti soggettivi ma non anche ai limiti oggettivi del giudicato, non consentendo pertanto di rimettere in discussione l'"an" ed il "quantum" della pretesa definitivamente accertata con sentenza irrevocabile” (con la sentenza n. 15244 del 2012 la Cassazione, confermando questo orientamento, ha affermato che “Mentre il coobbligato non può invocare a proprio vantaggio la diversa successiva pronuncia emessa nei riguardi di altro debitore in solido, nel caso in cui egli non sia rimasto inerte, ma abbia a propria volta promosso un giudizio già conclusosi (in modo a lui sfavorevole) con una decisione divenuta definitiva nei suoi confronti, può, invece, avvalersi del giudicato esterno, formatosi nei confronti di altro obbligato in solido per la medesima imposta qualora il giudizio instaurato, ancorché a lui sfavorevole, non sia divenuto definitivo, come nel caso di specie”).

Sull'argomento, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, nella citata Cass. sentenza n. 7053 del 1991, aveva già affermato il principio secondo cui il coobbligato solidale soggiace ai limiti “derivanti dal giudicato diretto formatosi nei suoi confronti (perché non si potrebbe determinare un conflitto di giudicati e il condebitore inerte non potrebbe invocare un diverso giudicato contro il ‘suo' giudicato) e, in generale, da preclusioni processuali: o verificatesi nello stesso processo (come nel caso in cui il condebitore, presente in giudizio, non impugni la sentenza a lui sfavorevole che altri invece impugnino) o in altro processo, come nel caso in cui il condebitore abbia separatamente agito per contestare l'obbligazione e sia rimasto definitivamente soccombente”. (cfr. anche Cass. sentenze 26 gennaio 2006, n. 1589; Cass. civ. 10 giugno 2005, n. 12367; Cass. civ. 19 maggio 2003, n. 7783).

Con specifico riferimento all'ipotesi in cui il condebitore, presente nel giudizio, non impugni la sentenza sfavorevole che altri condebitori invece impugnino, la Corte di Cassazione, con sentenza 5 agosto 2002, n. 11683, ha chiarito che detto coobbligato, avendo rinunciato alla impugnazione, ha fatto acquiescenza alla sentenza, con conseguenti effetti analoghi a quelli scaturenti da un provvedimento conclusivo ottenuto in un separato giudizio (cfr. Cass. civ. 29 gennaio 2007, n. 1179).

Di analogo tenore la Risoluzione 12 luglio 1996, n. 121, nonché la circolare 5 giugno 1997, n. 156, nelle quali è stato precisato che l'art. 1306, comma 2, del c.c. non è applicabile in presenza di un giudicato diretto formatosi nei confronti del condebitore che chiede l'estensione del giudicato più favorevole.

Ovviamente, perché possa verificarsi l'estensione del giudicato ad altro coobbligato è necessario altresì che il giudizio non sia fondato su ragioni personali e riferibili esclusivamente allo stesso condebitore che abbia impugnato l'atto; al contrario l'impugnazione deve vertere in merito alla pretesa in sé, in ragione cioè degli elementi oggettivi che fanno ritenere dovuto il tributo da entrambe le parti.

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